Racconto di un naufragio
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un importante cambiamento nelle condizioni meteo del nostro pianeta, e per un velista /navigatore le previsioni sono diventate elemento fondamentale per evitare problemi a noi, alla barca e all’equipaggio. Io conosco abbastanza bene alcune zone del nostro mediterraneo, specie l’Adriatico, lo Ionio e l’Egeo, e particolarmente in alcuni periodi queste aree sono interessate da forti depressioni, con evidenti problemi e devastazioni che ne sono seguiti: riportai con il racconto Uragano la brutta avventura capitata a Paolo in una baia di Lefkada nel 2020, e trovo sempre utile far conoscere situazioni, che spesso sono disavventure, che leggo qua e là.
Così quando mi è capitato di ricevere il racconto che troverete in calce, mi sono messo a cercare in internet maggiori informazioni sulla barca, sull’episodio, sugli esiti, e inserendo la frase naufragio del Kalyeta ho trovato molta documentazione, articoli della Gazzetta di Mantova e proposte di navigazione con la barca . L’ho raccolta, analizzata e ve la ripropongo, perchè è avvincente per la sua dinamica ed evoluzione. Da sempre so che il mare sotto Capo Matapan può riservare spiacevoli sorprese, con l’incontro delle perturbazioni fredde che scendono da nord nell’Egeo e quelle umide che entrano dall’Atlantico attraverso Gibilterra; io stesso ho fatto questa esperienza al primo imbarco da Allievo Ufficiale in navigazione da Genova verso Istanbul, quando il 31 dicembre 1968, a bordo dell’Anna C, una pesante bufera ha impedito i festeggiamenti dell’anno entrante. Rollio e beccheggio impedivano di rimanere in piedi nei saloni ed i passeggeri boccheggianti rimanevano rintanati nelle cabine, altro che festeggiamento e champagne…. e così non mi sono stupito nel leggere che il naufragio di questa barca è avvenuta proprio a Sud del Peloponneso, in navigazione da Creta verso la Sicilia.
Riporto per dovere di cronaca prima quanto scritto sul quotidiano di Mantova, e poi il racconto di chi c’era…..
gazzettadimantova
4 nov 2016 — Di Francesco Romano
CASTIGLIONE DELLE STIVIERE. È una storia incredibile. Di quelle che solo sul mare capitano. Due castiglionesi, a bordo di un caicco, una barca in legno di origine turca, vengono colti da un improvviso uragano nel mare della Grecia. I venti che soffiano ad oltre 160 chilometri orari spezzano gli alberi delle vele che cadendo creano falle nello scafo. Quando tutto sembra perduto, compare una nave filippina che salva uno dei due uomini mentre il secondo, ferito, dopo una notte in balìa delle onde solo con il giubbotto di salvataggio viene individuato e recuperato da un elicottero della guardia costiera greca. Ora sono a casa. Hanno perso tutto, barca compresa, colata a picco. Ma possono raccontare la loro avventura.
Tutto comincia circa due mesi fa. Michele Marchetti, 39 anni, è a San Vito lo Capo, nel Palermitano, dove ha appena finito di restaurare, dopo due anni di lavoro lo splendido caicco Kalyeta, 24 metri di lunghezza a poppa tonda, due alberi che può navigare a vela o a motore. Può ospitare una dozzina di persone a bordo e l’idea è quella di farlo navigare dalla stagione 2017 sulle acque della Grecia per ospitare turisti in crociera. Michele la passione per mare e barche la eredita dal padre Romano, che con Angelo Foschini ha vinto per dieci volte la 100 Miglia del Lago di Garda e un campionato italiano di vela. Per questo, dopo aver lavorato nel settore giardinaggio, si dedica a Castiglione ad attrezzare un cantiere nautico per le imbarcazioni del Garda. Da questi contatti nasce una sponsorizzazione. Un industriale bresciano che acquista due caicchi. Michele li sistema con l’impegno di metterli in mare per la stagione turistica 2017. La prima imbarcazione pronta è il Calyeta che salpa da Trapani il 10 settembre destinazione Grecia. Cefalonia Itaca, Zacinto, poi Creta dove si ferma due settimane. «I tour operator chiedono sempre la documentazione fotografica – spiega Michele –. Per questo eravamo in Grecia a preparare il book. Siamo stati fermi per bassa pressione. Poi la capitaneria ha dato l’ok a ripartire perché si era aperta una finestra di bel tempo di una settimana». Michele viene raggiunto da Amerino Franceschetti, di Grole, 63 anni, anche lui esperto di vela e vincitore di una 100 Miglia sul Garda. Il compito è riportare il Calyeta in Sicilia rifacendo a ritroso la traversata d’andata. Il mare è perfetto, si naviga ma la seconda notte la situazione degenera in modo improvviso ed imprevisto.
«Il vento ha iniziato a ululare, sentivo le chiamate di aiuto delle altre barche in zona – spiega Michele –. Capisco che sta arrivando qualcosa di molto grosso. Decido di invertire la rotta di 180 gradi per uscire dall’occhio del ciclone». Ma il vento cresce ancora con folate di 160 chilometri orari. Le onde, alte come un palazzo, sballottano quell’imbarcazione di legno. Michele ed Amerino lottano per otto ore nella tempesta. «Non sentivo più le braccia e non vedevo nulla per le ondate continue in faccia – racconta Carretta – e ho dovuto scendere sotto navigando solo con gli strumenti». La rotta è giusta, ma una bomba d’acqua colpisce l’imbarcazione. Il caicco, frustato di lato, sbanda. All’interno si rovescia tutto. «Cosa più grave sento un tonfo sopra coperta – il racconto del naufrago – salgo di sopra e vedo l’albero di prua scardinato e caduto sul fasciame creando una falla dalla quale entra l’acqua». Dopo alcuni istanti anche l’albero di poppa crolla creando un secondo buco. Le cinque pompe vengono attivate al massimo, ma non riescono ad evacuare l’acqua che entra. Ormai la barca è ingovernabile. «Decidiamo di lanciare l’allarme il mayday. Mi risponde la guardia costiera greca. Dicono di tenere duro perché in quelle condizioni di mare nessuna motovedetta riesce a prendere il largo. Penso che siamo spacciati, ma sento dalla radio una voce italiana». È il centro soccorso di Roma che sta dirottando una nave cargo filippina in zona per i soccorsi. Di lì a poco la sagoma immensa della nave compare.
Ma non è finita. «Non riusciamo a salirci, ci lanciano delle cime di corda, ma è impossibile arrampicarsi». La decisione è drastica. In pochi istanti si sceglie tra vivere e morire. Così si fa l’unica cosa possibile: «Per avvicinarci il più possibile decidiamo di speronare la nave – racconta Michele – ci gettano delle cime, Amerino è ferito a una mano. Lo aiuto ad issarsi, ma un’onda ci spazza via e ci ritroviamo in acqua. Ritentiamo di salire e una seconda onda enorme ci divide. Io riesco a stare agganciato e vengo issato a bordo, Amerino ricade in mare e si perde tra i flutti. In quel momento ho pianto». Anche il capitano filippino piange, abbraccia Michele e lo calma. «Vedrai, salveranno il tuo amico». Che infatti dopo sei ore in acqua viene recuperato vivo da un elicottero. I due, senza più nulla, da giovedì sono a casa. «Voglio ringraziare i filippini che ci hanno salvato – dice Carretta –. So già che riprenderò il mare perché è la mia vita».
“Kalyeta” era una motonave costruita tutto in legno massello con tecniche moderne, ma con disegno e linee tradizionali: una barca molto robusta e marina, con il ponte in teak, armata a ketch (due alberi) con rande auriche e fiocco e trinchetta a prua. A disposizione degli ospiti c’erano 6 cabine con letti matrimoniale tutte le cabine hanno bagno autonomo e aria condizionata , ed una cabina indipendente per l’equipaggio. autonomi
UN PEZZETTO DELLA MIA VITA
Atene 02/11/2016
Ciao a tutti Amici miei, ora che sono sereno, posso spiegarvi cosa mi e’ accaduto tra il 30 e il 31 ottobre: lunedì 24 ottobre: cambio programma, quello che doveva essere il trasferimento da Creta a Venezia, si tramuta in Creta-Sicilia, merito di una ottima notizia che aspettavamo da tanto, della possibilità di operare tra le Egadi e le Eolie. Inizia la programmazione del viaggio.
Marta torna a casa con Bruno in aereo e vengo raggiunto dal mio Amico Amerino, che mi accompagnerà in Italia in navigazione con me a bordo del caicco KALYETA.
Alla sinistra del Kalyeta si era liberato un posto da un paio di giorni, quando ormeggia una vela 43 piedi, battente bandiera spagnola, con a bordo due personaggi che capisco a pelle sarebbero divenuti grandi Amici. Massimo e Ralf, due ragazzi appena arrivati da 18 mesi di giro del mondo, cotti da 1000 miglia di bolina direttamente da Suez. Ne nasce subito una bellissima intesa,racconti,scambi di idee e la condivisione della stessa rotta: Creta-Sicilia. Aspettiamo solo la finestra giusta,l’alta pressione,dopo giorni e giorni di nord, nord est ,il Mare incazzato, arriva la notizia meteo che aspettavamo in mezzo porto: finestra di alta pressione, 7/8giorni di bel tempo, stabilità per lo Ionio meridionale. Decidiamo: si parte sabato pomeriggio.
Sabato 29 ottobre: primo mattino cambusa, paghiamo l’ormeggio e andiamo in Capitaneria di Porto a ritirare il permesso di navigazione e gia’ che son li’, chiedo opinione sul meteo per la nostra rotta, visto che 4 siti meteo davano ok ed infatti ecco l’ok anche la parte della Capitaneria Ellenica con un bel: good like time! goooo!
Ore 13, spaghettata tutti sul Kalyeta, caffettino e via tutti i fronzoli dal pozzetto, sistemato le cime, controllato vele e tutti i livelli. Tutto ok, si può andare.
Ore 17…..si parte.
Esce per primo il 43, Giampi, a seguire parte il Kalyeta, con il rumore in sottofondo di decine di scatti di cellulari che immortalavano la sua imponente bellezza.
Via, mare in scaduta, mezzonda in poppa, 10 miglia,50 miglia,70 miglia, ed e’ mattina, proseguiamo, mare buono, 100 miglia, 120, giu’ la canna da traina con l’artificiale regalatomi da Max e taaac,dopo mezzora parte a razzo la frizione e vai col primo tonnetto da 4 chili, pronto per diventare la cena del mio trentanovesimo compleanno.
Ore 16.30, 150miglia dalla partenza, mare leggero di poppa,il Kalyeta velocissimo, media di 7.5kn con punte di 8.4. Il GPS mi dava 1 giorno e 14 ore all’arrivo, perciò avevo risalito quasi 15 ore di anticipo.
Ore 17: sono alla mia postazione Fly e mi sto’ divertendo a surfare con onda vecchia di poppa,quando dal VHF escono almeno 4 chiamate di aiuto,sembrava impazzisse la radio,e nel mentre mi domandavo che cavolo stesse accadendo qualche miglio dietro di me, visto che ero il più avanti del gruppo,di colpo sento le mie sartie che cominciamo a fischiare, sempre di più, comincio a sentire il vento che mi spinge così forte di poppa che non riesco più a tenere dritta la barca, un continuo intraversarsi con conseguente sballottamento. Mi giro, guardo a poppa e vedo l’inferno! tutto nero,fulmini,decine di fulmini paralleli che scaricano contemporaneamente in Mare,onde che sembrano palazzi e di colpo mi raggiungono rendendo ingovernabile il Kalyeta. Li’ la decisione fulminea di invertire la rotta di 180gradi, prendendo di prua mare e vento, nella speranza che in breve tempo passi la tempesta. Amerino esce dalla dinette e mi chiede perche’ tornassimo indietro ma in quel momento vede Mare e Vento e capisce da se’ e decide di rientrare nel salone. Inizia il calvario, 3.5kn di velocità controvento, arriva la pioggia che diventa tempesta, le onde impattano contro la prua come scogli, ogni otto segue una serie di tre del doppio delle dimensioni che scavalcano la prua, impattando sui prendisole e mi inondano il fly, da dove porto la barca. Il VHF ormai e’ un’unica richiesta d’aiuto, l’inferno, prendo la cornetta e chiamo il Giampi, Max mi risponde che senza vele sta’ facendo 18kn e non mi nasconde la sua preoccupazione. Io proseguo controvento,unica navigazione possibile per la tipologia di barca cui appartiene il Kalyeta ,ma si difende egregiamente, con i suoi 1000 quintali di peso, apre tutte le onde, con botte da risonanza da sembrare lo scafo un tamburo, ma purtroppo ecco arrivare l’imbrunire,la mia unica paura sta’ arrivando alla porta!!!
Il buio, l’impossibilita’ per me di prevedere l’impatto delle onde alte come un condominio, che impattano sul fianco, mi rendono consapevole che sarebbero state l’unico pericolo per il Kalyeta. Sono ormai 8 ore che dal Fly combatto questa situazione, a forza di prendermi ondate in faccia non sento più i rumori, ho freddo, sono sfinito. Le mie braccia per ore e ore hanno corretto il timone ed ora l’acido lattico non mi fa’ più sentire le braccia. Decido di scendere a portare la barca dall’interno, affidandomi solo alla traccia del GPS, visto che pioggia e onde rendevano totalmente nulla la visibilità dalle vetrate. Arriva una super bomba a sinistra, una seconda, un rumore cupo mi entra nel cervello, capisco che qualcosa era successo ma non capisco cosa, passano dieci minuti, 3kn di velocità, rotta di ritorno perfetta, ormai dall’inversione ho percorso 30 miglia, ma sono a 30 abbondanti miglia dal primo dito del Peloponneso Kalamata e’ troppo lontana e Porto Kaio, nel secondo dito del Peloponneso e’ inarrivabile . Una mega bomba mi prende al fianco di dritta, il tavolo del salone parte a proiettile e si infila nella penisola che separa dalla cucina, sembrava lanciato con la fionda, ma capisco che qualcosa di ben più grave era successo. Lascio un minuto il timone, scendo prima verso il corridoio delle cabine di prua, alzo il pagliolo e vedo l’albero di prua scardinato e appoggiato al fasciame con una grossa falla, chiudo, torno in salone e scendo in cucina, alzo il pagliolo e vedo che anche l’albero di poppa era scardinato, uscito dalla sua sede, appoggiato sul fasciame, bucando lo scafo. Tutte 5 le pompe fanno del loro meglio ma in poco tempo capisco che la mia Barca da Sogno, due anni di duro lavoro giorno e notte, non avevano più speranze. L’acqua saliva a vista d’occhio. Torno in salone e dico ad Amerino che stiamo affondando e che chiamo i soccorsi. Prendo la radio, canale 16 e via, may day, prendo l’Epirb satellitare e lo attivo. Dopo un minuto mi risponde la Capitaneria greca, gli do’ posizioni GPS, descrivo la situazione e mi dicono di tenere duro perchè con quel tempo nessuna vedetta della Guardia Costiera sarebbe potuta intervenire, nello stesso momento sento tra la voce nella radio dei greci, uscire una voce in italiano, il centro soccorso della Capitaneria di Roma era in contatto con me,mi dice che una nave cargo, la Mel Vision, era a dieci minuti da me, di tenere duro,stremato,non avendo più la forza nemmeno per parlare rispondo che stavamo affondando, che avevo bisogno d’aiuto.
Kalyeta, stanno arrivando, sono le parole che escono dal microfono della radio VHF.
Esco sul fianco, vedo delle luci e di li’ a poco vedo in parte a noi una montagna d’acciaio, 150 metri di nave, con fianchi alti 15 metri e mi dico come possiamo salirci sopra, come lancio su i miei pacchi sigillati con computer, ipad, hard disk, trolley con vestiti? Realizzo li’ che avrei perso tutto, tutte le foto della mia Vita erano nell’hard disk, tutto era sulla barca, ma io potevo prendere solo me stesso e Amerino! Usciamo sul ponte, ci lanciano due cime, ci urlano di saltare in Mare e raggiungere il fianco della nave, per poi arrampicarci alle corde e salire a bordo. Faccio una prova, ma prima di lanciarmi butto a mare 50 metri di cima, nel caso non riuscissi ad arrivare alla nave e faccio bene perchè due secondi dopo essermi tuffato mi trovo come in un fiume a trenta metri dalla poppa del Kalyeta, trovo per culo la cima e la risalgo fino a risalire a bordo del Kalyeta. Io e Amerino capiamo l’impossibilita’ di arrivare alla nave e decidiamo di andarci sotto bordo direttamente con la barca, usando il motore che non avevo mai spento. Marcia avanti ci avviciniamo, ci lanciano le cime dall’alto, tentiamo l’operazione ma in un attimo il vento ci allontana. Tentiamo di nuovo,ma nel mentre un onda fa ferire Amrino a una mano, perde sangue, gli do’ la mia maglia e gliela faccio bel avvolta sulla mano, ma le cose cosi’ si complicano, torno al VHF, comunico il problema in un mezzo inglese stanco: my friend catting mano, sangue, problem, shark, ma con il cuore in mano gli operatori dall’altra parte mi dicono che dobbiamo saltare su quel mercantile!Torno al timone, deciso di speronare la nave e di saltarci sopra entrambi in tempi celeri, motore a tutta forza, arrivo a tre metri e il mio stupendo Caterpillar 3208 scoppia aspirando ormai l’acqua arrivatagli all’aspirazione. In quello stesso momento cadono dall’alto due grosse cime, lego per bene Amerino, mi attorciglio l’altra al braccio e ci lanciamo. Un minuto infinito ci separa dalla nave, si alza il vento, le onde arrivano al ponte della nave, sono enormi, quasi ipnotizzanti! Una forza mostruosa, dall’alto lasciano cadere una scala in corda, prendo Amerino e lo faccio salire, tutto va bene per i primi cinque metri, io sono sotto di lui, ma li’ arriva una mega onda e lui mi cade sopra, mi sento distrutto, insaccato, trovo per culo una corda e mi attacco,allungo l’altro braccio e prendo Amerino per il giubbotto di salvataggio, lo tiro a me, lo reimposto alla scala e ricominciamo a salire,ma dopo pochi metri una grossa onda me lo porta via dalla scala, inerme me lo vedo andare via, in due secondi era a dieci metri da me, zona elica della nave, dico in me che ormai era andato, ma mi blocco, non potevo lasciarlo andare cosi’ ma poi non ho più comandato il mio corpo, le mie braccia e i miei piedi cominciano a scalare quella scala infinita, due tre onde tentano di portarmi via ma ormai ero una morsa ,arrivo a 50 centimetri dal ponte e in quattro uomini mi tirano dentro, sono salvo, corro a poppa, chiamo anzi urlo Ameeeeee,lo richiamo, ma il Mare era come latte. Mi prendono e mi portano dentro, mi spogliano di quei due vestiti che mi ero tenuto per non affondare, mi coprono con tre coperte e con i loro corpi mi scaldano. ERO VIVO, nemmeno un graffio, ma la mia Anima era morta, avevo perso Amerino, continuavo a vedermelo andar via tra le onde. Passa un’ora e il primo ufficiale mi viene vicino e mi dice che il Mio Amico era VIVO, in Mare, MA VIVO, doveva tener duro la notte ma alle prime luci dell’alba un elicottero militare lo avrebbe recuperato. Per me, dentro di me era morto ero disperato, lo avevo abbandonato, ero morto pure io. L’equipaggio della nave era composto da 22 uomini di Mare, 22marinai, di nazionalita’ filippina,un primo ufficiale filippino e un secondo ufficiale cipriota, tutti fantastici,p iangevano con me, venivano da me e mi abbracciavano,mi continuavano a ripetere che Ame era Vivo. Mi mettono in branda dopo che uno di loro mi regala le sue mutande, l’altro mi regala le sue calze, un’altro mi dona la sua maglia e visto non avevo vestiti un meccanico mi dona la sua tuta da officina nuova, unico contro la taglia, a fronte del mio metro e ottanta loro erano uno e sessanta e ne ero entrato compresso. Sono distrutto,mi addormento e mi sveglio quando di colpo in tre mi alzano di peso e mi portano sul ponte della nave e mi mostrano l’elicottero della Marina Militare Greca mentre preleva Amerino Vivo dal Mare. Era vivo cazzo,e in quel momento sono tornato in Vita anch’io! Cinque minuti dopo ,l’elicottero per radio comunica che Ame stava bene ,lo portavano in ospedale nel Peloponneso per controlli ma era OK! Li’ ho visto la felicità dei Marinai, urla, bbracci veri, emozione stupenda,poi mi guardo negli occhi con il Comandante, Ricky Anacan, filippino, occhi lucidi, la mia stessa eta’,mi abbraccia e piange di felicità con me! Quando mi hanno tirato a bordo questo grande Uomo si stava spogliando per calarsi e venire ad aiutarci in acqua. Gente Vera,Sentimenti Veri,Amici Veri!
Scoprono che proprio quel giorno era il mio compleanno, mi cantano gli auguri e mi chiedono in coro di cucinargli una buona carbonara per tutti e con immenso piacere,dopo aver rotto 25 uova,1 kg di parmigiano,1 kg di pancetta e tre chili di spaghetti abbiamo festeggiato la VITA di Amerino. Il giorno dopo, alle nove del mattino arriviamo al porto di Lavrio,a nordest di Atene, e prima di scendere per salire su una vedetta della Capitaneria che mi avrebbe portato a terra,uno ad uno, in fila sul ponte, questi Omini di un metro e sessanta me li sono stretti a me.
Non ho più il mio Kalyeta ma ho il Cuore pieno di ricordi ed emozioni……..
Mi mancherai Kalyetone,per me sarai sempre la più bella barca in legno di tutto il Mediterraneo.
Scoprirò dalla stampa che un uragano di 95kn si e’ formato dal nulla e per più di 20 ore non ha mollato d’intensita’, distruggendo ogni cosa trovata sul suo cammino………..