Mi chiamo Mario e sono morto nel 1983 di Maurizio Anzillotti
Mi chiamo Mario e sono morto nel 1983 di Maurizio Anzillotti
Le sculture subacquee del britannico Jason de Caires Taylor
Mi chiamavo Mario, facevo il pescatore e di pesca morii. Morii annegato nell’inverno dell’83 a largo di Malta. Il piede mi rimase impigliato ad una delle reti che calavamo e questa mi portò giù con sé.
Una volta in acqua, la rete si distese e io mi liberai, purtroppo ero già morto e non potei fare altro che andare giù, verso il fondo del mare. Ora sono lì.
Quello che rimane di me è abbarbicato a una roccia dalla quale mi diverto a vedere quello che accade in superficie. Spesso lo spettacolo è bello: pesci, squali, balene passano sopra di me a rendere un po’ meno monotona la mia giornata, ma ultimamente, tutto è cambiato e quello che scende dalla superficie non mi piace per nulla.
Il mare è diventato rosso intenso, color del sangue. Qualche giorno fa, ho visto scendere una donna dai lunghi capelli neri, volteggiava a mezz’acqua con quel suo pancione che si capiva che era in stato interessante, dopo poco, nella sua corsa verso il fondo, è stata superata da un bambino di poco più di otto anni. Mentre scendeva guardava in basso con gli occhi ancora carichi di terrore, l’espressione con la quale lo aveva colto la morte.
Da allora non faccio altro che vedere corpi che scendono, sono decine, centinaia, ognuno con la sua storia. C’è chi è morto di fame e chi di sete, chi è stato gettato in acqua da qualcuno e chi, invece, impazzito di paura, in acqua ci si è gettato da solo.
Dai loro vestiti si capisce che erano tutti poveracci, ancor più poveri di quanto ero io. Poi, tra un’ondata di corpi e l’altra, l’altro giorno, ho visto passare degli scafi di barche. Erano tante ed erano grandi barche a vela, le loro chiglie tiravano di bordo tra i corpi che ancora galleggiavano a mezz’acqua. Era una regata che veniva da Malta e le loro prue aprivano quelle acque pregne di sangue.
Negli anni che ho passato qua sotto, ho visto qualche barca venire giù, ma mai nessuno dei loro passeggeri. Quando ero vivo ero curioso e ora che sono morto, lo sono ancora di più, così, quando una delle donne che sono scese nel fondo del mare, mi è arrivata vicino, gli ho chiesto da dove venisse e cosa fosse successo.
“Vengo da un luogo dove la vita e la morte si fondono in un unico, perpetuo istante di paura – mi ha detto con voce sottile. – Sono fuggita per salvare i miei figli, credevo che quelli della tua razza fossero diversi, ma ora so che non è vero. Abbiamo gridato, pregato, ma nessuno ci ha salvato. Siamo morti, l’uno dopo l’altro, di dolore e di terrore. Vedi, quello laggiù che scende lento, con quella bella testa piena di ricci è Adir, mio figlio minore, aveva solo otto anni e tanta voglia di giocare”.
Ora è estate, il mare è calmo e i corpi hanno smesso di scendere, ma già so che in autunno avrò nuova compagnia.
Aspettando, mi chiedo perché, qui sul fondo del mare, arriva solo gente vestita di stracci.