Mamaroa parte 2
MAMAROA ED IO
I MILLE LAVORI DA FARE IN BARCA
Prima di partire per una traversata di migliaia di miglia, la barca deve essere esaminata e modificata in tante parti.
Vediamo quali sono i lavori necessari, e parlerò della risoluzione del complesso dei problemi tecnici, organizzativi ed umani che hanno preceduto la partenza di Mamaroa per l’Atlantico. Spero di non riuscire noioso in questa descrizione, che ritengo di dover fare entrando nei dettagli, ma mi sembra utile fornire più che una guida pratica ( ogni viaggio ed ogni barca hanno problemi diversi) l’esempio di un metodo che ritengo buono a giudicare dai risultati.
Nei mesi che hanno preceduto la partenza, tra maggio e settembre 1974, nonostante continuassero gli impegni di lavoro, la mia mente è stata costantemente rivolta alla partenza, quasi tutti i momenti liberi sono stati dedicati alla preparazione, in una specie di “ritiro” dal mondo che mi circondava, e posso dire che se tutto dopo è andato bene, ciò è dovuto in grandissima parte al lavoro fatto prima di partire.
Una preparazione seria, scrupolosa, pignola al limite, è essenziale per un viaggio. Senza di essa, prima o poi fatalmente avverrebbero grosse complicazioni. In questo periodo mi ha sempre accompagnato, giorno e notte, un quadernetto, diviso nei seguenti titoli:
- Lavori scafo-Opera viva
- Lavori scafo-Opera morta ed interni
- Attrezzatura velica e timone a vento
- Pubblicazioni, carte, documenti, Navigazione
- Medicinali e vestiario
- Alimentazione
- Problemi di terra, Organizzazione ritorno
- Acquisti da fare, (In relazione alle necessità elencate nei vari titoli)
- Spese generali e piano, economico
- Scorte, Varie
E’stata questa l’unica fase in cui la presenza di Annette non si è fatta molto sentire; un po’ perché la sua mentalità tipicamente femminile, tendente alla fantasia e all’improvvisazione, male si adattava a questo freddo lavoro di programmazione, ed un po’ perché, nonostante contassi moltissimo su di lei una volta in mare, volli assumermi il controllo dei preparativi, sapendo che soltanto mia sarebbe stata la responsabilità, dopo.
Preparazione della barca
Mamaroa è un Samourai strettamente di serie, e meglio di qualunque descrizione vale la riproduzione qui accanto delle linee dello scafo e del piano velico. Bisogna considerare che il progetto ( Arch. M. Bigoin) risale a circa 10 anni fa, e quindi non devono stupire alcune soluzioni non modernissime, come la dimensione un po’ eccessiva del pozzetto ed il bordo libero decisamente basso. Per contro, le linee d’acqua, di una eleganza eccezionale, il dislocamento (1600 kg.), indice dì una costruzione molto solida, la percentuale della zavorra (43%), il piano velico “potente–, ne fanno una barca di classe. Mi ha sempre dato un senso di sicurezza e di fiducia illimitati, e credo che questa sia la sua prima qualità, ma per rendere adatta al viaggio questa piccola barca, ideata per un impiego costiero e solo occasionalmente alturiero, si sono rese necessarie piccole ma importanti modifiche, che descriverò seguendo appunti scritti a suo tempo nel quadernetto.
Scafo
Il problema era di eliminare la possibilità di via d’acqua; prima ed irrinunciabile condizione infatti, quella di disporre di uno scafo robusto (e Mamaroa è robusta) e con tutte le prese a mare munite di valvole di chiusura. Quindi gli scarichi del pozzetto, per i quali il costruttore non aveva previsto valvole di chiusura, furono aumentati di diametro (per aumentare la rapidità di svuotamento) e muniti ciascuno di una valvola a saracinesca, facilmente accessibile dal gavone di poppa. Inoltre il WC, tipo Bull-Head, in plastica, molto leggero e funzionale, ma che non aveva questo requisito della valvola di chiusura, fu semplicemente….. eliminato, ed il relativo buco dello scarico chiuso con un tampone di legno, con all’esterno ed all’interno numerosi strati di vetroresina.
Le “esigenze fisiologiche” dell’equipaggio pertanto sono state soddisfatte, in mare, sedendosi “comodamente” sul pulpito di poppa (legati con la cintura di sicurezza quando le condizioni lo richiedevano) e, in porto, usando un semplice bugliolo, sistema rudimentale ma in fondo comodo.
Per evacuare l’acqua dì sentina, Mamaroa disponeva di due pompe: una operata dal motore, ed un’altra a mano, tipo Whale, di notevole portata, e con la leva di comando installata nel pozzetto, in posizione da poter essere operata all’occorrenza dal timoniere con la mano libera.
C’era poi un problema riguardante la tuga: per eliminare pesanti infiltrazioni d’acqua che si verificavano a causa della soluzione adottata dal costruttore di rendere totalmente apribile parte della tuga, decisi di rinunciare a questo vantaggio, indubbiamente comodo in porto, per migliorare l’abitabilità (l’altezza in cabina è di in 1,35), ma inutile in mare. Pertanto applicai un telo di tessuto gommato (del tipo usato per la copertura degli autocarri) sopra questa parte apribile della tuga, avvitandolo con una cornice di legno ed abbondanza di guarnizioni in gomma e mastice, e prolungandolo poi in modo da proteggere anche l’accesso alla cabina dal pozzetto. In questo modo l’interno del Mamaroa è risultato “quasi” asciutto anche nelle condizioni più critiche.
Altro punto relativamente debole era il pozzetto: come appare evidente dai piani, esso è decisamente grande in proporzione alle dimensioni della barca. Questo è un elemento positivo per assicurare mobilità all’equipaggio (non dimentichiamo che Mamaroa è una barca da regata), o per prendere il sole d’estate, ma diventa un punto debole in caso di mare forte in poppa, considerando anche il bordo libero basso; quindi decisi di ridurre la superficie, disponendo (vedi figura 1) a filo dei bordi del pozzetto una tavola di legno avvitata su dei riscontri in legno fissati internamente, e sulla quale sistemai la zattera auto-gonfiante tipo Avon ed un porta-canna per la canna da traina. Feci inoltre confezionare dei teli di protezione dal vento e dagli spruzzi da sistemare lungo il pulpito e tutt’intorno al pozzetto e lungo il tientibene verso prua fino circa al traverso dell’albero. Con queste soluzioni ottenni, oltre ad una migliore protezione del pozzetto e del timoniere, anche spazio sotto la tavola per mettervi una tanica di benzina (Mamaroa ha un motore entrobordo Couach a benzina da 5 cv) e le bombole di gas dì riserva per la cucina e per la stufa, diminuendo il pericolo di incendi ed esplosioni in quanto eventuali vapori si sarebbero subito dispersi all’aperto.
A proposito del gas e della benzina, desidero dire che chiaramente la presenza di questi esplosivi a bordo è tutt’altro che raccomandabile, e la soluzione motore diesel e cucina e stufa a petrolio è senz’altro da preferire, ma queste modifiche non erano possibili, e pertanto accettai la situazione così com’era, prendendo però scrupolosamente tutte le possibili precauzioni. E per finire con lo scafo, ultima operazione fu quella di applicare due mani di antivegetativa Veneziani tipo “Raffaello”, che ha dato un ottimo risultato (nessuna necessità di fare carena per tutto il viaggio).
Fig. 1: Mamaroa dopo i lavori di trasformazione; osservate la chiusura del pozzetto verso poppa
Interni
Il volume della cabina di Mamaroa è molto piccolo, l’altezza interna raggiunge nel punto max in 1,35: quindi d’obbligo l’andatura “carponi” negli spostamenti, se spostamento si può chiamare il percorrere circa due metri per “recarsi’ a prua.
Vediamo ora l’organizzazione dell’interno, con riferimento al disegno riportato sui piani: le due cuccette di prua furono abolite, e furono sistemati tutt’intorno dei sacchi a rete fissati sotto le mensole laterali per i viveri freschi (frutta e verdura) ed al centro alcuni sacchi di vele.
Al posto del WC (abolito), in A misi le cassette con gli attrezzi per le riparazioni e le ferramenta di scorta, Il gavone di fronte B ospitò le cerate e gli stivali, quello grande C le vele di uso non corrente e materiale vario, ed il D il serbatoio dell’acqua in acciaio inox (60 litri).
Il piccolo armadio appendiabiti E fu trasformato in mobiletto a mensole per il vestiario e per la farmacia, fu eliminato il frigorifero elettrico “Mivis” installato nel blocco cucina F, collocata la “libreria” di bordo ed il materiale di navigazione (sestante, portolani, libro di bordo).
Di fronte, il lavello G, con sotto un armadietto per le pentole, quindi, sotto le due cuccette H ed I, munita ognuna di un telo antirollio (vedi figure), furono messe le provviste in scatola, la seconda ancora con catena e cavo di nylon, la stufa e tutte le scotte e cordame vario. Altri sacchi a rete per indumenti furono fissati sotto le mensole che corrono lungo le cuccette.
In L il tavolo da carteggio, di tipo estraibile, e montato su due binari, in M un tavolo anch’esso estraibile da montare tra le due cuccette per i “pranzi a bordo” ed infine nel gavone di poppa N e sotto i sedili del pozzetto O e P, altro materiale di scorta, le due batterie collegate in parallelo (e munite di un voltimetro per rilevarne lo stato di carica), nonché buglioli, attrezzatura per la pesca subacquea ecc, ecc.
L’illuminazione, fatta eccezione per la luce a braccio snodabile del tavolo da carteggio, la luce della bussola di governo e le luci di via, tutte alimentate elettricamente, fu assicurata con due lampade a petrolio, di cui una munita di ritenuta per consentirne l’uso in navigazione.
Cinque litri di petrolio risolsero il problema dell’illuminazione per tutto il viaggio.
Timone a vento e timone di governo
Il timone a vento (vedi figura 2) è un Hydrovane di fabbricazione inglese, che comprai a Londra nel 1972 per 60 sterline.
Come mostra la foto, la pala a vento è ad asse orizzontale e questo assicura una buona sensibilità al complesso; il movimento della vela viene trasmesso al suo piccolo timone di governo, il che mi ha consentito di predisporre un sistema di governo di emergenza: infatti, nel punto indicato con una freccia in figura, feci saldare un tubicino in acciaio inox, su cui poter innestare all’occorrenza una barra di emergenza in alluminio. Bastava quindi scollegare la connessione tra pala a vento e asse timone ed innestare questa barra accessoria, per disporre di un timone di fortuna, non altrettanto efficace come quello principale, ma sufficiente a governare la barca con le vele ben equilibrate.
Dalla figura inoltre si vede la semplicità di installazione di questo timone a vento, ottenuta con tre soli perni inox da 8 mm, per cui il montaggio e lo smontaggio risultano molto semplici.
Il peso è contenuto in 15 kg. circa. Naturalmente i timoni più moderni, costruiti col sistema della pala oscillante (“a pendolo”), come Aries Navik, Hartler, Atoms, ecc, sono certamente più efficaci, ma il mio llydrovane, costruito con una semplicità e robustezza ideali, alla prova dei fatti ha guidato Mamaroa per 25 giorni nell’aliseo “senza che si rendesse mai necessario agire sulla barra del timone principale”. Anche quest’ultimo fu oggetto di cure “amorose”: oltre ad approntare una barra di rispetto, decisi di rinforzare l’attacco tra la pala e l’asse, facendo saldare esternamente quattro staffe di acciaio inox. Infatti il sistema costruttivo di fissaggio della pala dell’asse dell’elica (mediante staffe interne non ispezionabili) non mi dava grande fiducia, e poi avevo saputo tempo prima di un altro Samourai che aveva “perso” in mare il timone durante una regata, ed io volevo partire tranquillo,
Fig. 2: il timone a vento Hydrovane; la freccia indica il punto in cui innestare una barra per poterlo utilizzare come timone di fortuna,
Fig. 3: la sistemazione del doppio strallo all’estrema prua, necessario per poter utilizzare i fiocchi a farfalla nelle traversate con gli alisei.
Attrezzatura velica
Il piano velico di Mamaroa (vedi figura) è anch’esso strettamente i serie: un’attrezzatura a sloop Marconi di tipo moderno, con boma corto e genoa a forte sormonto, e con un’attrezzatura spi di tipo classico. Le condizioni del sartiame, della ferramenta inox e delle vele (dopo oltre tre anni d’impiego) erano ottime, si trattava quindi soltanto di completare l’attrezzatura per renderla più idonea ad un impiego prolungato con i venti portanti che avremmo incontrato in Atlantico. In sostanza, bisognava semplificare al massimo le operazioni relative ai cambi di velatura (a causa dell’equipaggio ridotto), ed irrobustire alcuni particolari dell’attrezzatura.
A questo punto mi venne in aiuto un mio amico inglese, il sig. Eddy Shute, uomo di mare di rara esperienza, e con molte traversate atlantiche alle spalle: in pochi minuti, durante una visita a bordo, mi consigliò sul da farsi, usando sempre molto modestamente il condizionale.
Lo ringraziai, sostituii al suo condizionale l’imperativo, data la grande stima che aveva in lui, ed ecco che cosa è venuto fuori.
Vele
Perchè Mamaroa potesse viaggiare da sola nell’aliseo, non bisognava contare né sulla randa (a causa del suo momento orziero non controllabile dal mio timone a vento, soprattutto nelle raffiche), né sullo spinnaker (che avrebbe imposto la necessità di turni al timone).
Bisognava invece poter issare due vele a prua, ciascuna munita di tangone, che “tirando la barca per il naso” avrebbero contribuito alla stabilità della rotta. Queste in teoria dovevano essere due trinchette, con un punto di scotta piuttosto alto, per evitare che con il rollio i tangoni finissero in acqua. Ma io disponevo di due genoa, e dopo alcune prove decisi di utilizzare quelli; nel caso di forte rollio avrei potuto issare due fiocchi, tagliati con il punto di scotta più alto, perdendo certamente in velocità, ma la nostra non doveva essere una regata.
Quindi ridussi l’acquisto di vele ad un solo fiocco 1, tutte le altre le avevo già, per cui alla partenza il “motore a vento” di Mamaroa era costituito da:
- 1 randa (con tre mani di terzaroli) da mq.9,60
- 2 genoa (uno più leggero ed uno più pesante) da mq. 16,50
- 1 genoa ridotto (che poteva essere all’occorrenza sia un genoa che un fiocco) da mq.11,60 – 2 fiocchi 1 uguali da 7,00
- 1 tormentina da mq. 3,50
- 1 spinnaker da mq. 40
- 1 drifter da 26
Manovre
Anzitutto, si rese necessario installare due stralli a prua sui cui inferire le due vele richieste, e due moschettoni per murare le rispettive bugne (vedi figura 3). Inoltre comprai un secondo tangone, come il primo di tipo telescopico (allungabile da m 2,20 a 4) che vennero attrezzati (figura 4) come segue: A, attacco per amantiglio (con rinvio nel pozzetto): B e C, attacchi per due ritenute, una di prua (con rinvio nel pozzetto), ex caricabasso spi, ed una verso poppa (ex braccio spi).
Ogni tangone veniva murato all’albero sul suo carrello (munito di attacco di riserva). Anche le teste dei tangoni (due per ogni tangone) potevano essere invertite in casa di rottura. Cosi preparati, ciascun tangone poteva essere fissato in una qualunque posizione, diventando quindi una manovra praticamente fissa. A questo punto bastava issare la vela e regolare la scotta (libera di scorrere nel bozzello D) secondo le esigenze. Per un cambio di vela era pertanto sufficiente agire sulla sola drizza e scotta relativa, rendendo la cosa estremamente semplice: anzi, in Atlantico su ogni strallo erano permanentemente inferiti un genova ed un fiocco in modo che un cambio di vele richiedeva poco tempo e soprattutto pochissima fatica.
Modifiche testa d’albero
Come si sa, le avarie più gravi all’attrezzatura sono proprio quelle che si verificano in testa all’albero, sia per la difficoltà delle riparazioni, sia perchè quando sotto gravi comportano la perdita dell’albero. Apportai quindi alcune modifiche per aumentarne le robustezza (figura 5).
Anzitutto sostituii il terminale originale dello strallo di prua con una forcella (A) alla cui estremità fissai i due terminali Norseman dei nuovi stralli. Siccome non mi soddisfaceva la soluzione di affidare tutto lo sforzo al solo spinotto (B), decisi di applicare la staffa di rinforzo (C) e di fissarla all’albero con il perno passante (D). Questo perno serviva anche a rinforzare l’attacco delle sartie alte, insieme con l’altro perno (E). Inoltre, per garantire maggiore robustezza all’attacco dei due paterazzi (F), rinforzai la lamiera della testa d’albero saldando delle rondelle inox all’interno ed all’esterno. Infine installai il bozzello (G) per disporre di una drizza di rispetto t oltre alle due preesistenti di fiocco e di spii), aumentai il diametro dell’amantiglio della randa (H) per poterlo all’occorrenza usare come drizza di rispetto della randa e saldai infine sulla testa d’albero il riflettore radar e su questo la banche-ne mostravento.
Un po’ di conti
Il fatto di doverci allontanare per sei mesi dal nostro mondo abituale, ha presentato ad Annette e a me molti problemi da risolvere in tutti i campi: anzitutto quello della sospensione del lavoro che ha comportato l’ottenimento di un periodo di sei mesi di aspettativa non retribuita.
Conseguentemente abbiamo vissuto per questo periodo dando fondo ai nostri risparmi, spendendo in tutto circa 2 milioni e mezzo (ripartiti in una spesa mensile di circa 300 mila lire tutto compreso, più circa 800 mila lire per spedire la barca dalle Antille a Marsiglia al ritorno); i biglietti aerei per noi al ritorno ci furono concessi dall’Air France. A questo andrebbero aggiunte le spese di preparazione del viaggio che orientativamente si sono aggirate, tutto compreso (materiali, scorte, attrezzature, vela, carte nautiche ecc,) sul milione di lire tenendo presente, però, che la maggior parte dei lavori li ho fatti io con l’aiuto saltuario di qualche operaio del cantiere dell’Argentario.
A proposito delle spese vorrei fare qui un discorso di fondo perché, secondo me il problema economico è strettamente personale. Nel corso del viaggio abbiamo incontrato molte barche, da quelle “miliardarie” a quelle tenute a palla soltanto dalla volontà sii chi ci stava sopra.
Questo fatto é molto importante: credo fermamente che la dimensione del mare è alla portata di tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità (e questo può significare la rinuncia ad altre cose come la casa, la bella moto, ecc,) ed il fatto di andare più o meno lontano, dipende dalla propria volontà molto più che da un conto in banca…. e questo rende andar per mare una cosa affascinante perché dà all’uomo, una volta tanto, la possibilità di misurarsi con un metro diverso dai soliti che purtroppo conosciamo.
Ma torniamo ai problemi di terra: il pensiero di doverci allontanare, sia pure per soli sei mesi, dai nostri cari ci ha dato la misura di quanto siamo legati al nostro piccolo mondo.
E poi i tanti problemi spiccioli, dove lasciare (finalmente) la 126, a chi affilare la casa, ed il pagamento del fitto, delle bollette della luce e del telefono, e dove farci spedire la posta, e come trovare qualcuno disposto a sottoscrivere una polizza di assicurazione su eventuali incidenti, e quale compagnia di navigazione opera nelle Antille (per il trasporto di Mamaroa al ritorno).
Un susseguirsi frenetico di problemi, per cui quando arrivò all’improvviso la fine di settembre mi accorsi di essere molto stanco, soprattutto mentalmente.
Ma il 30 mattina lasciammo Roma e dentro di me si accavallarono pensieri diversi: la sera venne a salutarci all’Argentario Maurizio con alcuni amici; volevamo partire come deciso alla mezzanotte del 1ottobre, ma fuori c’erano 20 nodi da Sud Ovest “dritti sul naso”, pioveva a dirotto, e noi avevamo davanti sei mesi di tempo.
Aspettammo cosi due giorni che la depressione passasse facendo vari lavoretti a bordo (una barca non è mai pronta al 100 per cento), e la mattina del 3 ottobre alle 7,20 Mamaroa lasciava Cala Galera.
E finalmente c’era il sole.
Caratteristiche: scafo tipo Samourai progettista Michel Bigoin lunghezza ft m 7,40 lunghezza al gall, m 5,80 larghezza max rn 2,40 pescaggio m 1,20 dislocamento kg 1600 zavorra kg 700 sup, valica (randa e genova) alt, in cabina m 1,35 motore Couach 5 HP mat di costruzione VTR
Fig. 4: la sistemazione di uno dei due tangoni da utilizzare con i fiocchi a farfalla; tutte le manovre erano eseguibili così dal pozzetto,
Fig. 5: il doppio strallo in testa d’albero; osservate la robusta staffa di rinforzo (C) fissata all’albero con un perno passante (D)
[continua]