LUIGI NAVA: una passione per il mare che gli ha fatto toccare le stelle
Poco dopo la morte di Luigi, per tutti “Gigi”, mi è stato chiesto di scrivere questo libro. Non ero d’accordo e ho cercato di resistere: troppo personale, troppo difficile, troppo dolore. Col passare dei mesi ho però cambiato idea pensando a come sarebbe stato bello rendergli omaggio e scrivere di lui in modo che ne restasse traccia.
Irene Moretti
Per i lettori di RTM, ecco uno speciale estratto del libro uscito in questi giorni
“dalle stalle alle stelle”, che racconta i quarant’anni di vela di Gigi e Irene.
CAPITOLO 15
La Numero 1 Uno
Il supergiro del mondo
A come Armatore: Gianni, insuperabile! A come Amici ospitati a bordo durante il giro: 125.B come Bottiglie di vino: ne abbiamo bevute circa 1500.
B come Blog: è stata un’idea azzeccatissima del nostro amico Rug-gero e mai ci saremmo aspettati un seguito di lettori così nutrito.
C come Cyclette: l’abbiamo usata in molti. Chilometri pedalati: non meno di 7000.
C come Compleanni: ne abbiamo festeggiati 22.
D come Derive: ci hanno regalato momenti di grande diverti-mento e sano agonismo.
D come Deus ex machina: Luigi, in più di un’occasione.
E come Equipaggio: senz’altro il migliore reperibile su tutte le piazze del mondo!
F come Farina: ne abbiamo consumati non meno di 500 chili.
F come Foto: senza contare quelle cancellate, Anna ne ha scattate circa 23.500 e Davide più di 10.000.G come Gigi: l’artefice indiscusso del successo del viaggio.
G come Giorni impiegati a fare il giro del mondo: 645, dal 21 novembre 2005 al 27 agosto 2007.
G come Gasolio consumato: 140.000 litri!
H come Ho dimenticato senz’altro qualcosa.
I come Incidenti: una gamba fuori uso di Lele alle Marchesi e un incidente molto serio a Paola, investita da un motociclista a Phuket. Drammatico ma finito bene. I come Immersioni: numerosissime e spesso spettacolari.
L come Luigi: vedi G come Gigi.
L come Litri di acqua desalinizzata: 455.000.
L come Litri di acqua desalinizzata e bevuta: 57.000.
L come Lavatrici fatte: circa 2000 (e altrettante asciugatrici).
L come Lavastoviglie: più di 2000 carichi.
M come Miglia percorse: 31.000 (57.500 chilometri).
N come Nodi di velocità massima raggiunta a vela: 14,6 (27 km/h).
O come Onde: fino a sei metri nel tratto da San Blas a Cartagena, quaranta ore di montagne russe.
P come Pesci: quelli pescati alla traina e tirati a bordo non sono più di cinquanta, quelli pescati sott’acqua innumerevoli!
P come Pesci volanti: record durante la traversata dalle Vanuatu a Darwin, in una mattina ne abbiamo raccolti 101!
P come Pioggia: 35 giorni, di cui nove di fila a Papeete nel maggio 2006.
Q come Quanti ancoraggi abbiamo fatto? Non meno di 520.
R come Ritrovamenti in mare: otto materassini gonfiabili e una tavola da surf in una sola mattina (molto vento il giorno prima!).
S come Sogno: Gianni ha felicemente realizzato il suo.
S come Subacquea: mi prendo il merito di averla inculcata, con successo, a quasi tutti i presenti a bordo.
T come Traversate: dalle Canarie alla Martinica (2700 miglia) in 13 giorni; dalle Galápagos alle Marchesi (3000 miglia) in 15 giorni; da Vanuatu a Darwin (2250 miglia) in 14 giorni; da Bali a Singapore (900 miglia) in cinque giorni; da Phuket alle Maldive (1500 miglia) in nove giorni; dalle Maldive al Sudan (2400 miglia) in 13 giorni.
T come Temperatura dell’acqua: massima 32 gradi alle Maldive, minima 19 gradi in una baia della Turchia vicino a Bodrum.
T come Temperatura dell’aria: massima 42 gradi in Egitto in maggio.
U come Unica rottura di scatole: la burocrazia!
V come Vento: forza massima raggiunta 55 nodi nel golfo del Leone.
Z come Zanzare: per fortuna le grandi assenti!
Era l’ottobre del 2004 ed eravamo da poco tornati in Nuova Zelanda dopo i due anni e mezzo passati con Adriatica. Avevamo rimesso in acqua il nostro Va Pensiero, che ci aveva atteso pazien-temente in un cantiere di Whangarei, per prepararlo all’imminente stagione estiva.
La navigazione su Adriatica era stata trasmessa, a puntate, alla TV e noi avevamo acquisito un po’ di notorietà in più.
Una sera ci giunge una telefonata del nostro amico Riccardo, che di professione forniva apparati elettronici ai superyacht, che ci chiede se ci interessa lavorare su un Perini di 40 metri il cui armatore è intenzionato a fare il giro del mondo.
«No grazie, non ci interessa.»
La sera dopo, altra telefonata: «Sarebbe una grande opportunità per voi».
«No grazie, abbiamo appena messo in acqua Va Pensiero e cominciato a prepararlo per l’estate.»
La terza sera arriva la terza telefonata, questa volta non è Riccardo ma Gianni, l’armatore. Ci tiene al telefono una quarantina di minuti cercando di allettarci in tutti i modi: un salto professionale, si tratta di un cantiere prestigioso, tecnologia innovativa e tutti i comfort a bordo, equipaggio, stipendio considerevole, piena libertà nella scelta delle rotte e bla bla bla.
«Lei è molto gentile, ma no, grazie.»
Dopo la telefonata, avvenuta in una cabina telefonica con la cornetta a metà tra il mio orecchio e quello di Luigi, ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
«Ma poi, perché no?»
«Ma sei fuori? Sai quanti sono 40 metri?» ribatto e usciamo dalla cabina.
«Tu resta ferma qui, io vado in là misurando 40 passi da un metro.»
No, non è proprio possibile. È lontanissimo. E giù a ridere. Rifacciamo il gioco almeno tre volte, ma la distanza non si accorcia. Gli sparuti passanti ci guardano incuriositi, ma non possono capire…
Il giorno dopo Gianni ci ricontatta via email e ci dà un altro appuntamento telefonico per la sera. Altra mezz’ora al telefono. Ci riprova anche il giorno seguente con l’ennesima telefonata: «Sentite, sono genovese, ma un biglietto aereo per voi me lo posso permettere».
La testa va in fibrillazione, tutto va in fibrillazione. Luigi a questo punto è molto allettato, la sfida si sta materializzando e lo tenta. Dal canto mio non ho valide obiezioni da contrapporre. E così, un po’ imbarazzati, il giorno dopo andiamo dal direttore del cantiere per chiedere di alare nuovamente Va Pensiero e anche… molto in fretta.
«You kidding? You’ve just put her back in the water!»
Eh sì, lo sappiamo, però quando gli spieghiamo la ragione lui sgrana gli occhi e alza il pollice in segno di approvazione. Arrivederci Va Pensiero, arrivederci New Zealand, arrivederci amici.
«Ma quando tornate, quanto state via? Quanto dura un giro del mondo?»
«Boh, non sappiamo ancora niente.»
Atterriamo a Malpensa e “senza passare dal via”, Riccardo carica in macchina noi e i nostri numerosi bagagli e ci trasporta a Viareggio. Appena arriviamo abbiamo subito un segnale di buon auspicio scoprendo una coincidenza sorprendente: lo scafo della Numero 1 Uno – numero uno della produzione del signor Perini – è lo stesso che Antonio e Luigi avevano visto nel cantiere di Ortona vent’anni prima! Coincidenza o destino?
La barca, smisurata, è sul piazzale del cantiere e fuori dall’acqua sembra ancora più grande. Stanchissimi, saliamo a bordo, dove ci viene presentato Gianni, che ci sta aspettando.
È amore a prima vista. Ora che tutto è passato posso dire che è stata una vera sfida. La barca aveva un sacco di problemi da risolvere e il vecchio equipaggio era indeciso se restare col comandante uscente o venire con noi. Luigi era preso tra mille fuochi, d’altronde si rendeva conto di aver voluto la bicicletta e ora… doveva pedalare! Si era dato un mese di tempo per sistemare tutto e partire. Un mese di stress terrificante fatto di dodici ore di lavoro al giorno.
Eravamo rimasti a Viareggio in pianta stabile per tutto il periodo, confortati dalle frequenti visite di Gianni e dalla certezza che con noi in equipaggio stava per arrivare Emilio, nostro amico di Chioggia, pescatore professionista a bordo dei grossi pescherecci di famiglia, grande motorista ma appassionato velista, informatico, elettronico e sicuramente avvezzo alla fatica. Con nostra gioia Emilio aveva deciso di prendersi un anno sabbatico dal suo duro lavoro e affrontare questa avventura assieme a noi.
Il grosso veliero batteva bandiera italiana, una nota di merito per Gianni, perciò comandante ed equipaggio dovevano avere i certificati necessari per ottenere il libretto di navigazione, secondo la nostra normativa. Quanto a me, possedevo solo la normale patente nautica e quindi, per conseguire il libretto col grado di marinaio semplice, dovevo superare una visita medica e due prove pratiche: nuoto e voga. Prove a dir poco fantozziane, di cui ricordo un episodio altrettanto fantozziano.
Siamo schierati davanti alla capitaneria di porto di Viareggio in attesa di essere chiamati per la voga: una ventina di maschi aitanti, tutti ragazzi sui venti-venticinque anni e in mezzo al gruppo io, unica donna già attempatella con i soliti capelli bianchi. Davanti a noi un tenente donna con l’elenco dei partecipanti in mano. Scorre i nomi e chiede: «Chi di voi è Irene Moretti?».
Eravamo salpati il 21 novembre, a un mese esatto dal nostro arrivo in Italia: Luigi, Emilio, io e altri tre membri dell’equipaggio ancora incerti, da vagliare. Saltare senza inconvenienti la barra di sabbia invisibile e pericolosa che si forma continuamente davanti alle dighe foranee dell’infido porto di Viareggio era stato un altro buon auspicio.
Avevamo programmato un collaudo di circa un annetto per noi, per Gianni e famiglia, per l’equipaggio, per le problematiche della barca e per verificare la nostra volontà di continuare.
La prima traversata era stata pura routine, aliseo portante, navigazione comoda. Dopo i Caraibi ci eravamo concessi una puntatina a New York, che non fa mai male. Al momento di tornare in Europa, salpando con una tempesta in corso che ci avrebbe permesso di fare tanta strada velocemente, dopo sole 190 miglia, con davanti altre 2000 alle Azzorre, si era tranciato un grosso perno della poderosa timoneria. La cosa più sensata, vista la relativa vicinanza della metropoli, sarebbe stata chiamare soccorso e tornare indietro, soluzione caldeggiata anche dal nostro armatore, ma Luigi ed Emilio – l’uno bergamasco e l’altro chioggiotto, il che significa due teste molto dure – come al solito non ne volevano sapere e si erano infilati in sala macchine, mentre la barca, non più governabile, restava alla cappa sui Banchi di Terranova, traversandosi alle onde. Erano riemersi dopo cinque ore, stravolti ma vittoriosi! Cercare di non fare ricorso ad aiuti esterni, in effetti, è stata sempre una costante di questi due personaggi cocciuti e determinati.
Arrivati alle Azzorre, Gianni, che aveva passato gran parte del tempo a bordo, ci aveva presi in disparte riproponendoci il suo sogno di fare il giro del mondo e noi, questa volta senza dubbi, gli avevamo risposto di sì!
Eravamo ripartiti per il Mediterraneo con destinazione… Chioggia! Arrivo a dir poco sensazionale. Per farci spazio erano staterimosse alcune delle imbarcazioni ormeggiate nella strettissima canaletta della darsena di fronte a casa nostra. Eravamo entrati con l’enorme veliero e l’avevamo ormeggiato in bella mostra, per la gioia e la partecipazione di tutti.
Tocca al giro del mondo.
Il settembre e l’ottobre 2005 erano stati mesi convulsi, con un refitting eseguito in parte a Viareggio e in parte a La Spezia. La partenza del giro era ormai imminente. Il 21 novembre, esattamente la stessa data dell’anno precedente, avevamo festeggiato l’avvenimento allo yacht club di Genova. La Numero 1 Uno non era mai stata così in forma, il suo comandante mai così logorato!
All’interno del club, dove si svolgeva la bella festa, troneggiava un grosso pannello luminoso sul quale si leggevano quattro parole “I sogni sono tutto”. Era il modo in cui Gianni aveva voluto sintetizzare il significato di quel giro del mondo: il suo sogno nel cassetto stava diventando realtà. Luigi ed io lo stavamo realizzando, impiegando la nostra lunga esperienza di navigazione per cercare di offrirgli non solo i posti più belli, ma anche le stesse forti emozioni che ci avevano spinti a continuare questo lavoro affascinante ma faticoso.
Nonostante la grande stanchezza fisica, il peso delle responsabilità, la preparazione minuziosa per affrontare qualsiasi situazione prevista e imprevista, per Luigi questo giro del mondo aveva assunto un significato speciale, inatteso, straordinario, felice, magico, tenero, gioioso: Davide aveva deciso di far parte dell’equipaggio!
Ebbene sì, successe una cosa di portata enorme, non per gli aspetti tecnici o professionali, ma per il significato profondo che ebbe per me. Dopo aver terminato l’ISEF, Davide aveva iniziato la sua attività come istruttore di nuoto lavorando nella palestra di mio fratello Franco e per un paio di anni s’ingegnò ad applicare la sua preparazione teorico-pratica sotto la guida esperta del mio fratellino. Poi virò improvvisamente e fu assunto dalla Nike, che lo spedì in Oregon per un periodo di formazione e successivamente a Milano, dove lavorò nell’ambito del marketing sportivo. Motivi di cuore lo portarono poi a Treviso, in un’azienda simile a quella americana ma mille volte più piccola, dove per qualche anno occupò una posizione molto interessante. Un giorno mi telefonò e, come faceva spesso, sembrò interessarsi ai preparativi per l’imminente partenza. Quella volta, però, si soffermò a lungo sulla situazione dell’equipaggio che stavo formando, ben sapendo che mi serviva un marinaio di coperta. Capii che c’era qualcosa di strano nel suo interessamento troppo attento. Di lì a qualche minuto mi chiese se poteva avanzare la sua candidatura per quel ruolo! Aveva trentatré anni e una voglia matta di non pensare più con la testa, ma di usare anche il corpo e forse… di stare col suo papà! L’avevo seguito attentamente fin da bambino, ma sempre da troppo lontano. Fui felicissimo che, pur da adulto e in un brillante momento professionale, il mio piccolo avesse fatto una scelta così autonoma, coraggiosa e radicale. Sapeva che il suo ruolo sarebbe stato faticoso e, soprattutto, senza alcun favoritismo paterno, anzi…
Eravamo partiti dunque in un clima festoso, ma dopo poche ore ci eravamo infilati nel golfo del Leone, che aveva ruggito con 55 nodi di vento per un’intera giornata, intimorendo però ben poco le 275 tonnellate d’acciaio della nostra… barchetta.
Uscendo da Gibilterra con prua sulle Canarie, avevamo incontrato un imprevisto poco simpatico. Era il 29 novembre e Delta, una tropical storm al limite della stagione degli uragani (che si conclude ufficialmente il 1° dicembre), stava errando in modo un po’ anomalo in mezzo all’Atlantico, disturbando il regolare flusso degli alisei. In modo assolutamente imprevedibile la tempesta aveva cambiato improvvisamente percorso e si stava dirigendo esattamente sulle Canarie alla velocità di 25 nodi con un’intensità di vento fino a 65. Questa non ci voleva proprio!
Luigi, avvalendosi di tutte le possibilità tecnologiche e informatiche a bordo, aveva cominciato a seguirne il tracciato ora dopo ora in modo da stabilire una strategia per evitare lo scontro. Ancora una volta deus ex machina, aveva deciso di ridurre la velocità e di dirigere verso Madeira. Tattica vincente. Delta era passata 150 miglia a sud con rotta verso la costa africana. Quando erano riapparse le stelle avevamo capito di esserne fuori. Ce l’eravamo cavata con poco: 25-30 nodi in poppa e mare più che gestibile. Avevamo rimesso la prua verso le Canarie.
L’inverno ai Caraibi non aveva presentato sorprese. Gianni aveva trascorso moltissimo tempo a bordo, mentre la sua famiglia si era alternata, soprattutto in base agli impegni di studio dei due ragazzi, Nicolò e Giacomo, seguiti da mamma Anna. Gianni era un perfetto anfitrione, generoso e ospitale, cui piaceva attorniarsi di amici, che invitava a bordo numerosi. Quando sbarcava, per brevi periodi, avevamo proprio la sensazione che mancasse il settimo membro dell’equipaggio!
Se vuoi saperne di più scopri
dalle stalle alle stelle di Irene Moretti