Lo STED non perdona e non funziona come dovrebbe
Ricorderete che il primo articolo che pubblicai al riguardo (clicca qui per leggerlo) metteva in guardia tutti i velisti sulle difficoltà che avevo incontrato per il rinnovo del certificato di Sicurezza….Per fortuna io avevo l’Udicer, non il Rina , e avevo affidato la pratica ad Enrico, il cui recapito troverete in quell’articolo, ma purtroppo lo STED sta colpendo il diporto…..come potrete leggere qui sotto, nell’articolo di Alberto Bollis
Una recente, sciagurata circolare ministeriale contraddice il regolamento del Codice della nautica, cambia le carte in tavola e mette in subbuglio il mondo marinaro: coinvolte migliaia di imbarcazioni immatricolate che devono rinnovare il “Rina”. Uffici ingolfati e disorientati, procedure più costose, scafi obbligati all’ormeggio. La crociera in Dalmazia diventa un miraggio
Questa è una storia di ordinaria follia burocratica. Una storia che sta mettendo in subbuglio il mondo della nautica, che sta facendo impazzire agenzie specializzate, certificatori, consulenti, periti, uffici delle Capitanerie di porto, che rischia di costringere a terra migliaia di diportisti italiani già pronti a navigare in un’estate post-pandemia ormai quasi del tutto libera da condizionamenti e restrizioni anti-contagio.
Questa è la storia di una sciagurata circolare ministeriale risalente al 23 aprile scorso che in un sol colpo ha reso ingovernabile (e più costoso) il finora funzionante sistema di rinnovo della certificazione di sicurezza delle imbarcazioni: prima, se tutto era a posto, bastavano pochi giorni e un timbro per poter lasciare l’ormeggio in piena regola; ora – proprio alla vigilia della stagione estiva – si parla di attese bibliche. Mesi, per intenderci, durante i quali un comandante di unità da diporto, barca a vela o a motore che sia, non può neanche sognarsi di uscire in mare senza il rischio di incorrere in sanzioni pesanti o, nel malaugurato caso di un incidente, peggio ancora. E se l’idea era quella di attraversare l’Adriatico per godersi le bellezze delle isole dalmate o la frastagliata costa istriana, be’: non se ne parla proprio.
Prima, fondamentale, distinzione. Questa vicenda riguarda le imbarcazioni e le navi da diporto, dai dieci metri di lunghezza in su e dunque immatricolate. La scampano invece, fortuna loro, i “natanti”, ovvero gli scafi lunghi fino a 9 metri e 99 cm e non immatricolati.
Seconda distinzione: i guai sono minori per le imbarcazioni nuove, dunque alla prima immatricolazione. Travolte dall’insolito (o solito?) destino burocratico le barche immatricolate che si trovano nella necessità di rinnovare il certificato di sicurezza (nel gergo dei diportisti chiamato un po’ impropriamente “il Rina”, il Registro italiano navale), scaduto o vicino alla scadenza. In questo periodo sono, come detto, migliaia.
Alla prima immatricolazione la certificazione di sicurezza ha validità di 8 o di 10 anni, a seconda del tipo di imbarcazione. Dopo la prima scadenza deve invece essere rinnovata di cinque anni in cinque anni.
Il fac-simile del certificato di sicurezza
E’ importante sottolineare a questo punto una svolta digitale – tutto sommato meritoria – imposta al comparto della nautica dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (il Mit) un paio d’anni fa: l’istituzione di un unico archivio telematico centrale che, piano piano, raccoglierà i dati di tutte le barche immatricolate d’Italia. Un po’ come avviene con il registro unico automobilistico che tiene sott’occhio le targhe di automobili, furgoni, camper e camion circolanti. Prima, i documenti (cartacei) della singola imbarcazione erano conservati degli uffici territoriali di competenza (gli uffici marittimi delle varie Capitanerie di porto).
Andiamo sul concreto, facciamo un esempio e mettiamoci nei panni diciamo di un appassionato di vela, residente a Bergamo e proprietario di una imbarcazione da diporto di 11 metri ormeggiata e immatricolata a Ravenna, che si prepara con la famiglia a due sospirate settimane di ferie dal 15 luglio a inizio agosto. La mèta programmata: una crociera alle Incoronate e dintorni, meravigliosa e ampiamente collaudata.
Il nostro comandante (chi ha la responsabilità a bordo è sempre tecnicamente un comandante, che si tratti di un gommone, uno yacht o una nave) controlla scrupolosamente e per tempo i documenti e si accorge che il suo certificato di sicurezza è prossimo alla scadenza, immaginiamo che la data sia il 20 giugno 2021. Poco male: ha sempre curato appassionatamente la sua barca, la tratta come un gioiellino, ci spende lo spendibile per mantenerla, per sostituire le parti usurate, per dotarla in maniera adeguata. Ricorda l’ultimo rinnovo: aveva contattato l’organismo tecnico di certificazione (quello che appunto i diportisti identificano con “il Rina”) e aveva fissato la visita del tecnico autorizzato a bordo. Dopo qualche giorno, ecco l’ispettore presentarsi puntualmente in banchina. Stretta di mano, convenevoli e poi controllo scrupoloso dei documenti di navigazione, dello scafo, dell’apparato motore, dell’impianto elettrico, della protezione antincendio. Tutto a pasto? Tutto a posto. L’ispettore compila qualche scartoffia, riempie qualche modulo, appone una speciale timbratura sul certificato. Finito. E il comandante da quel momento poteva navigare tranquillo per altri cinque anni.
Ma il progresso avanza. Il tempo è passato e la pubblica amministrazione (anche quella marittima) si è aggiornata. Dunque, a inizio giugno 2021, il nostro comandante inizia la procedura per ottenere il rinnovo: chiama il “solito” tecnico abilitato dell’organismo certificatore e lo sente parlare con una voce strana e titubante: “Sì, sì, ma l’iter è un po’ cambiato…”. Ahi.
Ora bisogna rivolgersi a uno Sted, che sta per Sportello telematico del diportista, ovvero l’interfaccia territoriale dell’Ucon, che sta per Ufficio di conservatoria centrale (dove operano coloro che gestiscono l’Atcn, che sta per Archivio telematico centrale nazionale, già citato qualche paragrafo più su, quello che sta registrando gradualmente tutte le “targhe” delle barche d’Italia). Va bene, dice il nostro diportista, sarà senz’altro un passo verso la maggiore efficienza. Prende sotto braccio la busta stagna che contiene tutti i documenti di bordo e va allo Sportello.
“Devo rinnovare il certificato di sicurezza”. Per prima cosa, così impone il regolamento, il gentile addetto dello Sted ritira la licenza di navigazione e il certificato di sicurezza esistente e prossimo alla scadenza. Senza quelli, la barca non può più muoversi. E il nostro comandante rimane un po’ sconcertato: nel weekend aveva in programma un giretto di fronte alla costa romagnola… pazienza. “Quanto ci vorrà stavolta per il rinnovo?”. La risposta non è rassicurante: per poter mandare avanti la pratica, l’addetto dello Sted ha bisogno di ricevere un nuovo documento aggiornato: la cosiddetta Dci, che sta per Dichiarazione di costruzione e importazione. Costa 25 euro (“Sgrunt”, pensa il diportista), viene rilasciata dall’Ucina-Confindustria nautica e ci vogliono almeno dieci giorni (“Doppio sgrunt”, insiste mentalmente il diportista).
“Poi facciamo la visita, mettere il timbro e posso andare?”. E no, stavolta non va così, anche se l’articolo 57 del regolamento attuativo del Codice della nautica in sostanza lo prevede. Invece…
Ecco dunque l’inghippo, quello serio. Ecco dunque la famigerata Circolare ministeriale datata 23 aprile 2021 (firmata dalla dottoressa Maria Teresa Di Matteo, a cui in queste settimane fischieranno in continuazione le orecchie) che cambia le carte in tavola. Ecco il paragrafo che ha fatto sobbalzare gli addetti ai lavori e gli utenti coinvolti: “… gli organismi tecnici (per le imbarcazioni) e le autorità marittime (per le navi) non eseguono l’annotazione di rinnovo sul certificato. Il certificato rinnovato/convalidato, infatti, viene riemesso ogni volta dallo Sted, dopo la validazione da parte dell’Ucon, con gli estremi aggiornati”. E perdonateci questa raffica di acronimi: è la burocrazia, bellezza…
Controlli della Guardia costiera in mare
Da qui in poi è un mare in tempesta. La Dci arriva allo Sted dopo dieci giorni e solo allora l’addetto dello Sted può inserire i dati telematici per la domanda di rinnovo da inoltrare all’Ucon. Qui il nostro diportista ha un’ultima boccata d’ossigeno: gli viene rilasciata (dallo Sted) una ricevuta che per 20 giorni (ora allungati a 90, considerate le difficoltà da crisi epidemiologica) in teoria gli consente di tornare in mare aperto. Solo in teoria, però, perché non è chiaro come questo documento provvisorio e sostitutivo dell’originale venga vissuto dalle assicurazioni in caso di sinistro; e soprattutto è già certo che quel pezzo di carta viene categoricamente rifiutato per esempio dalle autorità marittime croate. In Dalmazia non si va. Punto.
Vabbè, pensa il nostro diportista, giugno me lo sono giocato. Ma la mia crociera è fissata per metà luglio, Sted, Ucon, Rina, Atcn o chi per loro, me lo rilasceranno in tempo ‘sto benedetto certificato di sicurezza rinnovato? La doccia è gelata: attualmente l’Ucon è oberato di richieste proprio per colpa della famigerata circolare Di Matteo. In ufficio a Roma sono in pochi, c’è il Covid e lo smart working, signori miei. Sentenza ferale: l’attesa media per il rilascio della nuova documentazione a oggi si aggira sui due mesi. E con l’avvicinarsi della bella stagione e l’aumento di domande, i tempi si stanno rapidamente allungando. Bam! Estate persa, addio Incoronate. E al nostro diportista, ormai disperato, vien voglia di imbracciare un lanciafiamme, stile Michael Douglas in “Un giorno di ordinaria follia”.
A nulla valgono le osservazioni più ovvie: c’è un regolamento che è in sostanza una legge dello Stato e che stabilisce una certa procedura. Come può una semplice e assurda circolare ministeriale prevalere su quel regolamento? Il dibattito è aperto. Alcune Capitanerie, in effetti, tendono a chiudere uno o entrambi gli occhi nel caso il nostro diportista venga pescato a bordeggiare senza aver già ottenuto il sospirato rinnovo; altre invece sono molto fiscali e sanzionano in maniera salata. “Dipende dall’ufficiale che incontri”, spiegano mesti gli addetti ai lavori.
Quel che è invece assolutamente certo è l’impossibilità di portare la propria imbarcazione in acque territoriali straniere: Croazia, Montenegro, Albania, Grecia, Tunisia e via andare non consentono proprio l’accesso senza i documenti di navigazione in regola.
Vale la pena di ricordarlo, per l’ennesima volta: in questo meandro kafkiano non si sta perdendo solo qualche sparuto velista, bensì migliaia di diportisti, con una cospicua quota rappresentata da chi tiene la propria imbarcazione nei porticcioli e nei marina tra Muggia, Trieste, Lignano, Caorle, Jesolo, Venezia, Sottomarina, Ravenna, Cesenatico e via verso Sud andando.
Soluzioni? Si mormora di un pressing a tutto campo sul ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti affinché ritiri la circolare galeotta, fatta uscire proditoriamente alle porte della bella stagione, ristabilendo fino a ottobre la collaudata procedura vigente in precedenza. “Se avessero aspettato fine ottobre-inizio novembre avremmo potuto gestire la situazione senza alcun caos”. Invece purtroppo si sa: noi italiani siamo sì un popolo di navigatori, ma i funzionari ministeriali sono esclusi.