Il trasporto e la navigazione nei tempi antichi
Oggi vi propongo un po’ di storia della navigazione, riportando un bell’articolo che mi ha mandato l’amico Christian Signorelli
Il trasporto e la navigazione nei tempi antichi. Tolomeo
L’organizzazione del trasporto
Nei tempi antichi l’organizzazione del trasporto pubblico non fu che raramente preoccupazione degli Stati, fatta eccezione per alcuni di essi particolarmente efficienti, quali l’impero persiano o l’impero romano, nei quali la buona organizzazione viaria fu ritenuta condizione per il mantenimento delle condizioni politiche esistenti; in ogni caso essa riguardò soltanto i lunghi trasporti internazionali, e mai i trasporti collettivi, ed in particolare l’organizzazione dei sistemi di cambio sulle direttrici stradali di maggior importanza e non i trasporti locali o cittadini.
Furono i Persiani a realizzare la prima importante rete stradale, denominata “strada dei re”, che copriva tutta l’enorme estensione dell’impero persiano per quasi 3000 chilometri, con stazioni in cui potevano essere cambiati i cavalli: sappiamo che di tali strade poté ancora giovarsi Alessandro Magno, a distanza di secoli, per marciare con inconsueta rapidità nella campagna bellica durante la quale s’impadronì dei territori asiatici sin all’ Himalaya ed all’Oceano Indiano. Relativamente al sistema romano, si ricorda che dalle strade di interesse militare, colleganti tutti i maggiori centri dell’Impero, si irraggiava un sistema di collegamenti locali verso le altre città principali che, ove utile, erano serviti ed attrezzati per funzioni di servizio sotto la supervisione di “curatores” che si occupavano dei lavori, delle cui spese e della attribuzione delle stesse allo stato, alle città od ai privati erano responsabili nelle quantità ritenute congrue ed a seconda del tipo di esse.
I percorsi sui quali si sviluppava quella che fu quasi una istituzione del trasporto, la Via della seta, non erano invece attrezzati convenientemente allo scopo: gli ostacoli naturali lungo le sue direttrici erano tutt’altro che di facile superamento, trattandosi spesso di seguire semplici tracce di sentiero, talora cancellate dalla pioggia e dalla neve, ove gli uomini e gli animali procedevano con enormi difficoltà; nei deserti le condizioni meteorologiche erano difficili sia d’estate che d’inverno, oltre a presentarsi i pericoli costituiti dal difficile orientamento, tanto che veniva consigliato di viaggiare di notte per potersi affidare alla visione delle stelle, e senza contare gli atti di brigantaggio cui i viaggiatori erano esposti.
L’epoca feudale fu caratterizzata da una completa disorganizzazione del servizio dei trasporti: fu solo con la costituzione degli eserciti permanenti che il servizio tornò ad avere una certa organizzazione, anche per l’esigenza di spostarsi con convogli di grandi proporzioni. Nacque così la concezione (non il “termine”) della “logistica”, termine mutuato più recentemente dalla cultura militare, per la quale essa é il ramo della scienza che si occupa del mantenimento delle truppe operanti, per assicurar loro i rifornimenti di viveri, armi e munizioni, l’equipaggiamento, i mezzi di trasporto, i servizi sanitari. Dalla definizione é già deducibile come la capacità di trasporto sia componente essenziale della logistica, relativamente alla quale ci siamo già soffermati per ricordare quanto le possibilità di trasporto abbiano giocato, con la loro evoluzione nel tempo, nelle operazioni militari del passato. Come appare da quanto detto, la logistica non é fatta solo di trasporto, ma anche di approvvigionamenti, di organizzazione di servizi, di ricerca di mezzi e via dicendo: il trasporto risulta però elemento essenziale del complesso, anche perché esso si trova ad agire in uno spazio non solo geografico ma anche economico, legato com’é al concetto di programmazione e determinato da influenze utilitaristiche. Perciò, se tra i fattori essenziali che determinano il successo di un’impresa occorre annoverare le persone interessate, la tecnologia impiegata, la capacità dei dirigenti, dobbiamo considerare allo stesso livello anche i servizi di trasporto, che la condizionano con il rifornimento dei mezzi necessari, con la distribuzione di quanto occorra all’interno della struttura e con la proiezione verso l’esterno del prodotto se trattasi di un’impresa industriale o commerciale.
Abbiamo visto anche come la complessità e la complicazione dei problemi che si ponevano, trovarono una facilitazione per la loro soluzione nello sviluppo delle conoscenze nel campo della matematica. Circa la modalità grafica con cui oggi si esprimono i valori numerici, si fa notare come ad essa si sia pervenuti rinunciando ad ogni tentativo di indicare la quantità rappresentata, diversamente dalla scrittura letteraria che invece giunse ad orientarsi sugli alfabeti fonetici, ritenuti dagli studiosi dell’argomento la modalità più progredita, solo dopo esser passata per gli ideogrammi, cioè una forma meno evoluta come espressione di cose o parole. Ma è stata proprio questa rappresentazione indipendente dall’entità rappresentata che ha permesso di estendere l’uso delle cifre indo-arabe tra popolazioni con i linguaggi più diversi, senza relazioni con la pronuncia.
Al mancato sviluppo di ogni struttura organizzativa dei servizi pubblici nelle città (salvo qualche embrione di organizzazione della circolazione nell’unica metropoli allora esistente, Roma, cui abbiamo già accennato), costituì eccezione la città lagunare di Venezia, ove i collegamenti tra le isole assunsero sin dall’origine, contrariamente a quanto si verificava tra i rioni per una normale città di terraferma, il carattere di servizio pubblico, supplendo così alla difficoltà per il cittadino di spostarsi attraverso l’acqua con i mezzi propri, fossero questi di carattere personale che collettivo: operazione iniziatasi con l’intervento del governo ducale mediante la istituzione dei cosiddetti “traghetti”, ossia un servizio di transito con una imbarcazione da una riva all’altra (“traghetti da rio”), o tra la città e la terraferma (“traghetti da viaggio”).
L’attenzione posta dalla repubblica veneziana nel fornire regole ai traghetti è deducibile dagli antichi documenti che quasi anticipavano i moderni atti di concessione per la precisione con cui venivano dettagliate le caratteristiche di svolgimento del servizio: si trova un atto del 1474 con il quale si definiscono i prezzi da praticare, si stabilisce che questi dovevano essere debitamente pubblicizzati, si fissa il numero di gondole di cui l’incaricato del servizio doveva disporre e l’orario delle prestazioni da rendere; ai fini della sicurezza della navigazione era anche decretato che la responsabilità del natante non dovesse essere mai affidata soltanto ad un conducente di nuova nomina, ma dovesse sempre essere imbarcata una persona esperta, cioè un maestro. Era anche stabilito che pure con soltanto due persone da traghettare il traghettatore dovesse dar corso all’operazione senza attendere l’arrivo di altri clienti.
Tecniche di navigazione
Per quanto concerne i problemi della navigazione antica, su due aspetti deve essere richiamata l’attenzione perché alla base della possibilità del raggiungimento di obbiettivi di ampio respiro che da alcuni studiosi vengono attribuiti ai navigatori degli anni che precedettero la nascita di Cristo: la possibilità della navigazione controvento e la capacità di effettuare navigazioni a grande distanza dalla costa. Si ritiene che la primitiva navigazione fosse legata all’andamento climatico stagionale nonché alla direzione e velocità dei venti, in quanto il tipo di vela impiegato non consentiva che limitate variazioni di rotta rispetto al loro spirare, per cui le navi dovevano prevalentemente navigare con il vento in poppa, sostando se necessario per tempi anche molto lunghi in attesa che le condizioni meteomarine fossero favorevoli sulle rotte che dovevano essere battute: tuttavia in alcuni testi classici si leggono spiegazioni dettagliate su come fosse possibile navigare controvento, pure con dettagli scientifici sull’argomento, per cui si può ritenere che almeno in ambito ellenistico alcuni navigatori fossero riusciti a risolvere questo problema. Comunque, la navigazione a vela si presentava ancora in una fase rudimentale, in quanto lo sviluppo della velatura e la sua manovra ponevano problemi e richiedevano capacità tecniche non ancora raggiunti, mentre un alto livello di perfezione era stato ottenuto nella tecnica della propulsione remiera: ancora oggi rimane a noi moderni di difficile comprensione, malgrado i tentativi di soluzione del problema effettuati anche con modelli, come fosse possibile organizzare e coordinare con continuità su ordini diversi (sino a 20!) e con più uomini sullo stesso remo, ciurme di regatanti che nelle due fiancate delle navi maggiori potevano giungere anche a qualche centinaio di persone ai remi.
Altre difficoltà, almeno nei primi secoli, erano poste dalla scarsa conoscenza dei movimenti degli astri su cui basare gli orientamenti necessari, e dalla mancanza di attrezzatura scientifica atta a fornire i dati geografici ed astronomici su cui fondare l’esattezza delle rotte percorse. Per tracciare una rotta necessitavano carte nautiche ed Ecateo disegnò nel VI sec. a.C. la prima carta del mondo, visto come un disco piatto circondato dall’oceano, con due soli continenti, Europa ed Asia che comprendeva il nord dell’Africa, allora denominata Libia.
L’osservazione che un astro come il sole o una stella è, in una certa stagione, più o meno alto nel cielo indicò la via per la misura della latitudine (angolo corrispondente al tratto di meridiano dall’equatore al punto nave), ma fu necessario aspettare molti secoli perché fosse inventato dagli Arabi il Kamal, un rettangolo di legno dal cui centro pendeva una cordicella con dei nodi, ciascuno corrispondente alla latitudine di un porto. Si prendeva fra i denti il nodo relativo alla città di destinazione, e tendendo la cordicella si allineava il lato inferiore del Kamal con l’orizzonte e si osservava il lato superiore rispetto al sole a mezzogiorno: se il lato si trovava in corrispondenza del sole si era sullo stesso parallelo della destinazione; se invece il lato si trovava più in alto bisognava correggere la rotta verso Nord, se al di sotto verso Sud. Il Kamal come strumento di misura della latitudine ebbe successive e più accurate evoluzioni: dalla balestriera fino al sestante che è ancora utilizzato come strumento di emergenza, al pari della bussola magnetica, in caso di avaria del sistema GPS. Questa situazione conoscitiva si perpetrò per l’intero medioevo, sino a quando, nel XV secolo d.C., non divenne nota la “Geografia” di Tolomeo e le conoscenze fisiche non resero possibile effettuare il calcolo della latitudine, cioè della distanza astronomica dell’equatore dal punto in cui la nave si trovava, anche se risultava che i Fenici già da tempi remoti fossero riusciti a navigare di notte basandosi sulla posizione delle stelle ed in particolare della Stella Polare, che veniva per questo indicata dai marinai col nome di “Stella Fenicia”. Ma elementi di dubbio sorgono per una datazione recente della possibilità di orientarsi in acque non conosciute, dalla constatazione che già in epoca ellenistica (ultimi secoli a.C.) gli studiosi conoscessero la cartografia, la trigonometria sferica e l’astronomia matematica, ed avessero inventato l’astrolabio, con il quale era possibile determinare la latitudine di un luogo dalla posizione del sole nel cielo. Con tali conoscenze sarebbe stato quindi possibile dar corso sin dal I millennio a.C. a modalità di navigazione, di cui si hanno scarse notizie ma che avrebbero potuto permettere a Eudosso di effettuare la traversata tra l’Egitto e l’India in mare aperto ed al marsigliese Pitea di navigare in Atlantico sino ad isole molto settentrionali, come da lui sostenuto nel libro “Sull’oceano”, viaggi sui quali permangono dubbi non chiariti dalla documentazione sino ad oggi reperita.
Il “Kamal” per la misurazione della latitudine
Intorno al 1300 d.C. vi fu l’introduzione della bussola magnetica inventata in Cina, ma perfezionata e diffusa in occidente soprattutto dagli amalfitani: la bussola, il cui ago punta verso il Nord magnetico, permetteva di identificare i punti cardinali (ferma la differenza fra nord geografico e magnetico) indipendentemente dalla visibilità. Verso la metà del 1500 venne poi proposta da Mercatore la carta nautica che porta il suo nome e che è ancor oggi di uso comune. Essa rappresenta una proiezione cilindrica del globo terrestre che ha la proprietà importante di rappresentare le rotte ad angolo costante con segmenti rettilinei (linee lossodromiche). In questa rappresentazione le linee ideali che sul globo terrestre sono i meridiani e i paralleli sono anch’essi rappresentati da linee verticali e orizzontali rispettivamente.
La carta nautica, la bussola e il sestante costituivano un buon sistema di navigazione che forniva informazioni circa la latitudine e l’orientazione della nave: non forniva però indicazione sulla longitudine (angolo corrispondente al segmento di parallelo dal punto nave al meridiano di Greenwich assunto con longitudine zero nelle carte nautiche) che è l’altro dato essenziale per conoscere la posizione della nave. Si sapeva che un metodo molto semplice per identificare la longitudine è quello di disporre di un orologio molto preciso: tarato questo sull’ora di Greenwich una nave che avesse navigato verso ovest e misurasse a mezzogiorno, cioè quando il sole è allo zenit, le ore 15, cioè un ritardo di 3 ore, può ricavare la propria longitudine con una semplice proporzione fra questo ritardo rispetto al tempo di rivoluzione della terra di 24 ore e la longitudine cercata rispetto al giro completo di 360°.
Il primo cronometro da marina “H1” (1728/1735) realizzato da John Harrison, che darà vita a successivi modelli sempre più sofisticati e precisi.
La soluzione al problema della misura della longitudine fu quindi affidata alla realizzazione di orologi che fossero molto precisi anche a bordo di navi in movimento, cosa estremamente difficoltosa da realizzare con le tecnologie del tempo (ad esempio con gli orologi ad acqua) e infatti fu solo verso la metà del 1700 che la determinazione del punto nave (latitudine, longitudine e orientazione) fu risolta grazie a misuratori del tempo più perfezionati.
Tolomeo
La visione del mondo generalmente ritenuta rispondente alla realtà da parte dei navigatori sino almeno al XV secolo dopo Cristo, rispondeva al sistema Tolemaico, secondo il quale la Terra, di forma sferica, stava al centro del mondo, e attorno ad essa ruotavano i restanti corpi celesti con un moto circolare uniforme, cioè a velocità costante; si consideri che anche la dantesca “Divina Commedia” è impostata su questo sistema, prevedendo che tutt’attorno alla Terra, posta al centro dell’universo con la sua voragine dell’inferno e la protuberanza del purgatorio, in un complesso di sfere concentriche di diametro crescente ruotino i pianeti allora conosciuti o ritenuti tali, tra i quali il Sole e la Luna. Colui che propose questa descrizione dell’universo con la pubblicazione di “Almagesto” (traduzione araba del termine “Il grandissimo”, contro il titolo iniziale “Trattato matematico”), manoscritto arabo poi tradotto in latino nel XII secolo, fu appunto Claudio Tolomeo, astronomo e geografo, nato e vissuto in Egitto (circa negli anni 85 – 165 d.C.). Elemento fondamentale della descrizione del mondo nel volume è il modello matematico del movimento dei pianeti (che comprendono la Luna ed il Sole) attorno alla Terra, schema rimasto inalterato nelle conoscenze sino alla pubblicazione degli elementi del sistema eliocentrico. La prima formulazione del modello non dava però spiegazione di alcuni fenomeni atmosferici, quale la successione delle stagioni, per cui Tolomeo apportò delle correzioni di più difficile comprensione, con l’inserimento di altre sfere più piccole (epicicli e deferenti) che resero più precise le previsioni, ad esempio delle eclissi: il sole percorre con moto uniforme il proprio cerchio, chiamato deferente, mentre gli altri pianeti ruotano su epicicli i quali si spostano ruotando sui relativi deferenti. Per secoli astronomi e navigatori poterono utilmente usufruire delle carte basate sul sistema geocentrico tolemaico, che si rivelò quindi sufficientemente preciso per gli scopi pratici.
Il sistema eliocentrico divenne patrimonio della scienza soltanto con la diffusione della teoria da parte di Copernico, nel XVI secolo, seppure già sostenuto, con contrasti non indifferenti, nel III secolo a.C. da Aristarco di Samo. Questo affermava che il sole e le stelle sono immobili, e che la Terra ruota attorno al sole con moto circolare, avendo anche un moto di rotazione attorno a se stessa secondo un asse inclinato sull’eclittica, ciò che determinava il succedersi delle stagioni. In relazione a questo, Leopardi scrisse: “Fu dogma di Aristarco il moto della Terra ed egli per tale opinione reputossi da Cleante reo d’empietà, quasi avesse turbato il riposo di Lari e di Vesta”. I contemporanei gli opposero l’osservazione che se la Terra si fosse mossa, le stelle avrebbero modificato la loro posizione, cui Aristarco replicò affermando che l’enorme distanza dalla Terra delle stelle sarebbe tale da evitare ogni effetto di parallasse misurabile, appoggiando ciò ad una misurazione delle distanze dalla Terra del Sole e della Luna e stimando le dimensioni di questi con un avanzato calcolo trigonometrico. Prima che si giungesse a quella che è oggi ritenuta la teoria definitiva sull’eliocentrismo, questa subì nel succedersi dei secoli alternanze di convinzioni: Platone ed Aristotele (IV sec. a.C.) si pronunciarono negativamente in proposito, ma poi Aristarco (III sec. a.C.), che concordava con Eraclide anche su di un moto di rotazione della Terra attorno ad un asse inclinato rispetto all’eclittica, ed un secolo dopo Seleuco, riaffermarono con convinzione l’eliocentrismo, negato da Tolomeo.
Quest’ultimo pubblicò in “Almagesto” anche un catalogo di stelle con cui aggiornava il già noto catalogo elaborato da Ipparco, fornendo però i dati di un numero inferiore di stelle senza aggiungervene altre, sebbene queste dovessero essere a lui visibili dalla latitudine inferiore in cui si trovava. Sua opera è pure il volume “Geografia” che dava informazione delle basi della geografia matematica, con la indicazione delle coordinate di circa 8000 località, in gran parte poco rispondenti alla realtà geografica anche perché erroneamente Tolomeo aveva valutato la dimensione terrestre sottovalutando la dimensione calcolata da Eratostene, introducendovi la misura di un grado di latitudine di 500 stadi (uno stadio valeva circa 157 metri) contro i 700 di Eratostene. Novità interessante fu comunque l’indicazione di queste posizioni in latitudine (misurata, come oggi, dall’equatore) ed in longitudine, per la quale il geografo stabilì il meridiano iniziale alle isole Fortunate (forse le attuali Canarie).
Tolomeo, che fu anche direttore della Biblioteca di Alessandria, fu autore di numerose altre opere tra cui “L’Analemma” sull’orologio solare, “L’ipotesi dei pianeti” in cui tratta problemi cosmologici, e “Ottica” sulla visione ritenuta derivante da raggi visivi uscenti dall’occhio, nonché studio di fenomeni dalla luce quali rifrazione e riflessione con particolare riferimento alla deviazione dei raggi al trapasso da un mezzo ad un altro di diversa densità, “Planisphaerium” in cui tratta problemi delle proiezioni e “Introduzione geografica”con lo studio di mappe terrestri. Molti dei suoi scritti sono basati su opere di suoi predecessori, come Eudosso, Aristarco, Apollonio, Ipparco, del quale ultimo ha praticamente riprodotto il catalogo stellare.
Si deve a Tolomeo anche il testo “Delle previsioni astrologiche” in cui egli affronta il problema dell’incapacità dell’uomo di comprendere l’influenza degli astri e che è considerato il libro fondamentale della astrologia classica contro gli interventi dei miscredenti che avrebbero gettato discredito sulle previsioni astrologiche, da Tolomeo ritenute rivelatrici di un destino ineluttabile!