martedì, Dicembre 3, 2024

Il mio pacifico (3)

PANAMA E LAS PERLAS

lunedì 11 marzo

Alla fonda a Panama

Siamo in baia a Panama, davanti al marina La Playita, finalmente all’inizio della nostra traversata del Pacifico.

Dopo il passaggio del Canale (ormai chiamato confidenzialmente così), che ha lasciato in tutti una piacevole sensazione di appagamento, ora siamo pronti con i coltelli sotto i denti, come si suol dire…. Cambusa fatta, specchietti per gli indigeni anche,

Dobbiamo ancora risolvere alcuni problemi di manutenzione straordinaria al pilota automatico Raymarine, ma speriamo di riuscirci domani. Al riguardo emerge con un certo disagio la difficoltà di reperire materiale specialistico, che dovrebbe arrivare da Miami, perchè neppure ordinandolo appositamente dal dealer specifico siamo riusciti  ad avere esattamente ciò che cercavamo.

Panama è una città caotica, in piena espansione, si dice che vogliano farne la Singapore del America centrale, e da quel che si percepisce, sono sulla strada giusta.  Gli operatori economici e finanziari non sono ancora in grado di offrire un servizio efficiente, lo abbiamo costatato di persona, ma lo sviluppo che si percepisce offre molti spazi di manovra (occupazione e investimento) e chi volesse esportare un Know – how in questo campo troverebbe un riscontro positivo in pochi anni.

Basti pensare che con il raddoppio del canale dal 2015, e conseguente ampliamento dei porti di Colon e Panama, il traffico merci e relativo indotto subiranno un incremento che inevitabilmente si ripercuoterà sull’economia del paese. Già ora la città è tutta un cantiere: stanno costruendo la metropolitana nuova, abbattendo la parte vecchia della città costruendo al suo posto nuova edilizia, e come ho già detto, stanno ristrutturando la parte vecchia della città per offrire al turismo nuove prospettive di “consumo di servizi”.

E non ultimo anche l’offerta per il diporto dovrebbe subire un balzo qualitativo e quantitativo con la costruzione in atto del nuovo bacino che ospiterà il nuovo marina, sul lungomare, proprio “sotto” i grattacieli della nuova città che si affaccia sul Pacifico.

Si dice che già ora siano molte le imprese italiane che partecipano ai lavori, ma deve essere ancora appaltata la costruzione della zona residenziale in precedenza occupata dalle forze americane, che si estende su un parco alla foce del canale, proprio di fronte al Pacifico.

Mi piacerà venire fra una decina d’anni e vedere la situazione…prima e dopo la cura….

Ripeto l’invito a chi mi leggerà a prendere seriamente in considerazione l’opportunità di sviluppo che offre lo stato di Panama a chi abbia voglia di lavorare: certo c’è da rimboccarsi le maniche, ma in Europa adesso non ci sono occasioni come questa: mancano i presupposti che qui invece ci sono tutti…….

Giovedì 14 marzo

Viveros

Las perlas. Dovevano  essere i carabi del Pacifico,  con  acque azzurre e trasparenti, patria dei subacquei, con spiagge bianchissime, ed invece  troviamo con un mare grigio e freddo, dove le spiagge si vedono solo con la bassa marea, perché quando questa risale, con oltre 5 metri di dislivello, la sabbia sparisce.

Senza carte dettagliate è sconsigliabile navigare, ci sono molti reef, e bassi fondali, isole e scogli affioranti, e  con l’acqua torbida e senza sole bisogna stare attenti, molto.

Ieri da Panama eravamo andati a vedere l’isola di Toboga, a poche miglia dal marina di La Playita, dove il fine settimana si riversano i vacanzieri della città; passiamo vicino all’isola di Taboguilla, che funge da appoggio per il bunkeraggio delle navi in transito, assicurando un inquinamento a tutta l’area, ed arriviamo a destinazione nel primo pomeriggio, con un po’ di sole, e prendiamo una boa  in una graziosa baia proprio davanti al paesino. A terra una bella spiaggia, ombrelloni colorati, alcuni bagnanti, ed  un istmo di sabbia bianchissima che unisce la terra ad un’isola poco distante.  Vorrei fare il bagno subito ma è ora di pranzo, e preferisco rimandare al pomeriggio: errore gravissimo, perché verso le 16 la spiaggia è sparita, l’alta marea ha già coperto l’istmo, e sopra  di esso scorre la corrente proveniente dal mare aperto.

Mi tuffo ugualmente per raggiungere terra,  anche se l’acqua sa un cattivo odore ed è scura,  e mi devo impegnare per raggiungere la spiaggia, dove arrivo infreddolito. Mi incammino verso il paesino, incontro prima un pescatore, poi Ninin, il guardiano che ci aveva fatto pagare la boa, che mi ragguaglia sull’isola e sui pericoli della navigazione nella zona, sia per il traffico  di navi che per i narco-trafficanti. Rientro a bordo sempre a nuoto, ma questa volta tuffandomi dal molo che esce in mare per oltre 50 metri, per ovviare ai molti metri di dislivello che impedirebbero ogni attracco sotto riva con la bassa marea. Non solo l’acqua è fredda, ma anche l’aria, e la sera  siamo costretti a cenare …vestiti e coperti, contrariamente al solito, perché finora una maglietta era stata più che sufficiente.

La mattina partenza alle 8, dopo aver fatto una buona colazione, e con un unico bordo, a vela raggiungiamo l’arcipelago di Las Perlas. Durate la navigazione ammiriamo  i tuffi dei pellicani che si gettano in acqua dall’alto per pescare, incrociamo parecchie navi, mettiamo in acqua la lenza che

ritireremo all’arrivo senza aver pescato alcunché, e mentre il comandante prepara una torta di mele io controllo la spedizione con Winlink/SSB di tutta la posta  e le news che avevo accumulato.

Prima dell’arrivo c’è anche  tutto il  tempo per sedersi in pozzetto e …pensare.

Si, perché un esercizio che non manca quello di organizzare e dare spazio a tutti i pensieri che affluiscono alla mente.

È un esercizio mentale che a noi del Nautico S.Venier  di Venezia ha  insegnato l’emerito Prof.Pinelli, detto Il Baffo: allievo di Benedetto Croce e relegato al Nautico per i suoi metodi di insegnamento fuori dagli schemi, ci ha insegnato, anzi ci ha obbligato a pensare sin dal primo compito di Italiano in 3^Capitani,  quando entrando in classe ci disse: cari voi, con le vostre testoline dovete abituarvi ad esprimere le vostre idee, cosa volete che vi dica, di parlare delle mosche? beh, per tre anni è stato il nostro riferimento, ed ancora oggi quando noi compagni di scuola ci troviamo, ed accade molto spesso, parliamo di lui. Un po’ misantropo è rimasto “signorino”, viveva con la sorella a Casteldario, in provincia di Mantova, veniva a Venezia tutti i giorni in treno, d’estate andava in moto fino a Verona, e leggeva i classici in latino e greco. Anni fa volevamo andare a trovarlo, ma scoprimmo che era morto, ed i paese nessuno quasi lo conosceva. Addio Baffo.

Beh, dei pensieri parleremo un’altra volta, perché pensando al baffo e ai miei compagni di scuola siamo arrivati all’isola di Viveros: tutto l’arcipelago è caratterizzato da un basso fondale che non supera i 20 metri, ed è costellato di scogli ed isolette. Alla fonda fa bella mostra di se una navetta inglese con 2 alberi, con uno stendardo issato a prua che sembra quello della corona: a bordo sembra non ci sia nessuno, ma lo scalandrone di dritta è abbassato, e a sinistra  una lancia coperta è pronta a portare i passeggeri: ci sarà qualche membro della corona reale. Proseguiamo per la baia scelta dal comandante per rimanere alla fonda, e con l’acqua torbida  che non si riesce a perforare con lo sguardo gettiamo l’ancora. Arriva dopo di noi anche Belisima, un altro Super Maramu del francese Remi, e la serata è vivacizzata prima da una visita fatta a loro, poi dalla cena con loro a bordo da noi.

Simpaticissima serata, con una meravigliosa coppia ultrasessantenne che sta facendo il giro del mondo come Refola.

Venerdi 15 marzo

Pedro Gonzales

Dopo la simpatica serata con l’equipaggio di Belisima, una notte tranquilla e una stellata luccicante hanno favorito un sonno ristoratore, e stamane il sole ed un bel vento da nord hanno subito invogliato a togliere l’ancora per una veleggiata fino all’isola Pedro Gonzales.

Abbiamo dato fondo davanti al paese, e siamo scesi in visita con il dinghi. Gli abitanti sono pochi, le case dignitose ma povere, le persone disponibili e comunicative.

Faccio molte fotografie, incontriamo un gruppo di ragazzi che con un insegnante studiano l’inglese, visitiamo l’unico negozio del paese che ha pochissime provviste, e quando in spiaggia chiediamo ad alcuni ragazzi se ci sono frutta e verdura fresche, uno di loro ci dice che ci avrebbe pensato lui: corre verso la foresta dietro alla spiaggia e sale sull’albero di papaia e mango per raccoglierne alcuni frutti che ci porta…. a chilometro zero…altro che supermercato, così si è meritato un compenso di 5$.

Ripartiamo poco dopo e ci ancoriamo per la notte nella baia adiacente. Arriviamo con la bassa marea, fondale circa 5 metri, e diamo fondo con 60 metri di catena perché la baia è esposta a nord, e per quanto le previsioni siano buone…non si sa mai, la prudenza non è mai troppa.

La baia è bellisima, vicino a noi ancorata anche Belisima, e a terra una lunga spiaggia fa da cornice alla foresta lussureggiante. Sotto gli alberi di cocco, sulla spiaggi, si nota però una grande terrazza coperta, che ci richiama l’attenzione: sarà un resort? un’abitazione privata? un bar? Decidiamo così di andare a terra, anche per fare una passeggiata, fare alcune foto e prendere confidenza con l’isola. Sbarchiamo tutti e cinque proprio davanti alla terrazza, sabbia e spiaggia sono pulitissimi, e vediamo che all’interno fervono i preparativi per un rinfresco; c’è un signore con il binocolo che scruta l’orizzonte, e gli chiediamo se siamo davanti ad un bar o un albergo, e ci risponde che la spiaggia è privata e deve arrivare il padrone con degli ospiti.

Non facciamo neppure in tempo a sorprenderci (come, qui una spiaggia privata, con un rinfresco di fronte al mare…) che arriva proprio lui a bordo di un pick up ed alcuni ospiti. Ci dice che effettivamente la spiaggia appartiene ad una società che ha investito per sviluppare il turismo nell’isola, sono attesi ospiti, e capiamo immediatamente che non siamo graditi. Chiedo comunque se possiamo fare un giro nei paraggi, il che ci è concesso purchè si rispetti l’ambiente.

Ci avventuriamo così lungo una strada sterrata, che da poco ha sventrato la foresta, sradicando piante ed alberi, snaturando un ambiente naturale incontaminato fino a poco prima…alla faccia del rispetto dell’ambiente.

Lungo i cigli giacciono alberi da frutto, palme, banani, manghi, papaia, e molte specie che non conosco, rendendo l’ambiente surreale per il contesto in cui ci troviamo. Dove il terreno è stato sbancato si vedono i paletti che delimitano il perimetro di future costruzioni, in cima alla collina che sovrasta la baia ci sono alcune gigantesche cisterne dell’acqua, ed un promontorio che poteva mantenere una sua identità naturale sta diventando frutto di una speculazione edilizia. Questa isola diverrà lo sbocco del fine settimana per i signori di Panama, alla faccia delle isole incontaminate di Las Perlas!

Mi viene subito in mente Berlusconi e Lavitola, il suo uomo a Panama, che con il chiacchierato presidente Martinelli hanno sicuramente qualcosa in comune a questo riguardo.  Mi è tornato in mente il sorrisetto del pilota quando siamo passati davanti al porto dove erano ormeggiate alcune navi militari americane e panamensi, allorché facendoci notare alcune vedette  ha detto: quello è un regalo dell’Italia a Panama……..intelligentis pauca….

Mentre rientriamo ci accorgiamo che la marea sta salendo ( a sera arriverà a +6m. dalla minima),  il vento è salito a 20 nodi ed alza onda, oltre a creare una corrente che rende fastidioso, lento e bagnato il percorso dalla spiaggia alla barca.

Siamo mogi perchè la scoperta di questa deturpazione ambientale ci ha fatto toccare con mano che il consumismo non si ferma, e lo sviluppo nel mondo  ha i suoi prezzi; la globalizzazione ormai

uniforma tutto e tutti, e pur di creare profitto   non si esita a sacrificare le ultime oasi nel mondo: quale sarà la prossima che vedremo distruggere?

In  questo viaggio fino a Papete avrò la possibilità di sentire e vedere con i miei occhi  cosa sta succedendo realmente, e  potrò raccontarvi che cosa è cambiato in Polinesia dopo 10 anni dalla mia venuta, e dirvi  se e il Pacifico è ancora salvo.

 

Sabato 16 marzo

Isla de San Jose

Sembra che finalmente il bel tempo si sia stabilizzato, e stamane ci siamo trasferiti con una bella veleggiata nell’isola di San Jose. Una baia splendida, la più bella vista finora, ed anche se non siamo soli, ma ben in… due (un catch canadese si è ancorato all’altra estremità della baia) il contesto è unico. Arriviamo con la bassa marea, diamo fondo con 60 metri di catena in 6 metri d’acqua, davanti alla spiaggia che si estende per circa 2 chilometri, e gira attorno a tutta la baia, a ridosso della foresta, dove le palme da cocco sono non solo corografiche ma invitanti per i loro frutti.

Verso le 11 noi uomini (soli) scendiamo a terra con il dinghi, che “posteggiamo” fuori dell’acqua, e andiamo in perlustrazione. Mi sono portato una borsa per i cocchi, ed armato di macchina fotografica comincio a “rubare” immagini che mi porterò dentro per la vita (che mi rimane da vivere), e sotto un caldo sole ci avviamo camminando sopra  una sabbia sicuramente incontaminata, anche perché con una marea di 6 metri poi l’acqua sommergerà tutto. Camminando lungo la spiaggia si scorge il sottofondo della foresta, impraticabile, con alberi dalle fronde altissime, ma con le radici tutte fuori dalla terra, con arbusti che fanno dei fiori arancione, già visti in Polinesia, e alberi del cocco di tutte le dimensioni: altissimi e ricchi di frutti ed altri appena spuntati, ancora con il cocco attorno alla radice. Questa è anche la patria del granchio del cocco, e le sue tane caratteristiche per i grandi buchi sulla sabbia ne fanno trapelare una vasta colonia. Sono buonissimi da mangiare, e sono giganteschi: pensate con la loro grossa chela rompono il guscio del frutto per mangiarne la polpa, tant’è che è pericolosissimo cercare di prenderli con le mani perché un loro colpo di chela trancia le dita.

Spero che ne assaggeremo in Polinesia, dove a Raiatea conto di conto di ritornare a mangiare da Miscelle che 10 anni fa mi ha viziato con i suoi manicaretti polinesiani, primo fra tutti il poisson crue.

Con Giancarlo raccogliamo alcuni cocchi, sia verdi dall’albero che maturi a terra, avventurandoci appena appena nel sotto-foresta: abbiamo letto che nelle isole di Las Perlsas ci sono serpenti e coccodrilli, e non vorremmo  fare brutti incontri, perciò non insistiamo nella perlustrazione e poco dopo  ce ne torniamo verso il dinghi, e quindi a bordo.

Un bagno non me lo toglie nessuno, e dentro un’acqua comunque fresca ma finalmente più pulita mi faccio prima una nuotata e poi con la spugnetta pulisco il bagnasciuga della barca: c’erano ancora le tracce dei parabordi usati nel Canale e la sporcizia della sosta a Panama, ed è un peccato che Refola si faccia vedere con le gonne rosse sporche, perciò…..olio di gomito e faccio il mio dovere di marinaio.

Abbiamo inaugurato il ….cinematografo a bordo, ed ieri in dinette abbiamo iniziato le proiezioni: per l’inaugurazione l’armatrice ha scelto il film Limitless, con De Niro, e penso che questo passatempo avrà un seguito; sicuramente da parte mia, quando la sera da solo mi vivrò la mia notte, scrivendo, leggendo, e quando sono già tutti a nanna, magari guardando una pellicola prima di andare a letto.

La vita di bordo ha preso i suoi ritmi, dove spicca il rito dell’aperitivo serale. Alessandro (il comandante) è un amante del gin tonic, come l’amico Carlo di Verona, e per lui è un rito assolutamente irrinunciabile: pensate che abbiamo a bordo la scorta di sweeps e gin calcolati fino alla Polinesia….sperando di farla durare fino a Papete, e  comunque dovremo fare un….. rabbocco.

domenica 17 marzo

Isla  Canas

Un altra bella baia, completamente ridossata a Nord (dal primo quadrante  arrivano i venti prevalenti), e ci siamo goduti questa domenica alla Isla Canas,  con due bei bagni ed una bella gitina con il dinghi  ad paesino di pescatori qui di fronte. Una unica stradina in riva al mare su cui si affacciano le case colorate di colori sgargianti: azzurro, verde, arancione, una cabina telefonica con il telefono muto, i lampioni senza luce, una chiesa  dentro ad una capanna ed un unico bar che vende solo birre, dove c’erano tre vecchi ubriachi fradici.  Le persone sono gentili, ci hanno chiesto se volevamo comperare frutta, alcuni bimbi uscivano da una casa con una fetta di torta in mano e si sono messi a giocare sulla strada mangiando  e pennellandosi il viso con i colori della guarnizione della torta stessa.

Mi sono divertito a fare loro alcune foto alle quali si sono prestati con  simpatica vivacità. Alcuni alberi di mango sullo sfondo, un’immagine di pace fuori dal mondo, con il frangere della marea che in pochi minuti è salita di un metro, raggiungendo il dinghi che avevamo messo in secca sulla spiaggia. Ce ne siamo tornati a bordo di Refola pronti per il rito del Gin Tonic prima, e par la cena poi. Anche queste routine fanno parte dei ritmi, e guai se non si da loro la giusta importanza: la colazione, il pranzo, l’aperitivo serale e la cena, e…attenti  a sgarrare o far attendere l’equipaggio….è come aver a che fare con i bimbi all’asilo, o con gli operai in fabbrica, che attendono l’appuntamento della mensa con lo spirito de… o si fa l’Italia o si muore…, altro che i sindacati e lo sciopero! Ma anche questa è la vita di barca.

Ora sono tutti a letto, sono rimasto  un  po’ fuori (dopo aver lavato i piatti) per tuffarmi nel cielo  blu notte, costellato di stelle e costellazioni che  mi accoglie con tutti i miei pensieri.

È quasi  un mese che sono a bordo, comincio a sentirmi a  mio agio, sto bene fisicamente (non lo dico troppo forte) dopo la scoppola di dicembre, e non vedo l’ora di iniziare la traversata vera e propria.

Stiamo ancora bighellonando intorno al golfo di Panama, aspettando che arrivi un pezzo di ricambio del pilota automatico Rymarine ( a proposito: devo fare anche io manutenzione al mio, dopo quello che ho visto su quello smontato…), e comunque dobbiamo ancora arrivare alle  Galapagos, da cui non salperemo  prima del 25 aprile, quindi….c’è tempo.

Il mio intento di completare la traversata del Pacifico è non tanto di dire…”l’ho fatto”, ne tantomeno per la parte della navigazione ( è un “fare”, per cui nel momento in cui si prende la decisione do per scontato che sia tutto pianificato, dalle risorse al mezzo e alla sicurezza)  bensì di ascoltare le sensazioni che si vivono durante la traversata, di vedere le reazioni nei rapporti, l’evoluzione delle relazioni e dei comportamenti, dello spirito di bordo  e della comunicazione fra l’equipaggio.

Ho ancora forte il ricordo del periodo trascorso a bordo del Lycia, un imbarco di oltre 5 mesi da Raiatea alle Fiji,   dove sono emersi aspetti  caratteriali e personali delle persone a bordo che mai mi sarei aspettato. Ho visto l’animale che è dentro ad ognuno di noi, perché dopo una settimana di mare non si riesce più a controllare l’IO, la bestia  che abbiamo dentro, e  ne sono rimasto talmente colpito da voler capire se quello che è successo è stato occasionale, e quindi completamente riconducibile solo alle persone che c’erano, oppure  una matrice applicabile sempre.

Non vi anticipo niente, anche perché non ne ho parlato con l’armatore, e tutto sommato la sua esperienza  di traversate già effettuate mi rassicura sulla validità di questa nuova esperienza.

Comunque alla fine di questo viaggio avrò la soddisfazione di aver fatto una significativa  esperienza sui percorsi più ambiti per chi voglia andare per mare:  oltre al Mediterraneo, che mi son goduto sia navigando da giovane Ufficiale con la Costa  che da velista con  A.Coppi sul suo Fabinou e con il mio  Sound of Silence,  ho fatto  C°Horn, C° Good Hope, l’Oceano Indiano, l’Oceano Pacifico tutto, l’Oceano Atlantico, ho attraversato il Canale di Singapore, il Canale di Panama, il Canale di Gibilterra, lo Stretto di Torres, ho visto Darwin, Perth, Sydney, e Auckland, e …… mi mancherà solo Suez, in programma per il 2014, con  con la mia barca, in carovana con A.Penati e P.Liberati e tanto altri, spero …   e vaiiiiiiiiiii……

La Peregrina

L’arcipelago di Las Perlas, nel golfo di Panama, è composto da più di duecento isole dalla vegetazione rigogliosa, le calme acque turchesi, le foreste vergini e le spiagge bianche orlate da palme da cocco, lo fanno sembrare più Caraibi che Pacifico

Per l’incredibile quantità e varietà di pesci e specie marine, l’arcipelago è considerato uno dei migliori posti al mondo per la pesca sportiva.

Il nome dell’arcipelago fu scelto nel 1513 dal conquistador spagnolo Vasco De Gamez de Balboa (il primo europeo che, attraversato l’istmo, avvisterà il Pacifico) e si riferisce al fatto che in queste acque si trovassero molte perle, tra le più grandi e belle del mondo.

Nei secoli a seguire Las Perlas divennero per questa ragione una destinazione ambita dai pirati che infestavano quei mari.

L’Isla Contadora, isola della contabilità, oggi meta turistica per eccellenza dell’arcipelago, era il luogo in cui gli spagnoli facevano la conta delle perle trovate dagli schiavi africani su queste coste. Uno di essi, in un giorno fortunato, si guadagnò la libertà trovando La Peregrina, la perla più grande del mondo: 223,5 carati immediatamente inviati al Re di Spagna Filippo II per essere donati alla futura moglie Bloody Mary Tudor, Regina dell’Inghilterra. Dopo la sua morte, La Peregrina rientrerà in Spagna, per essere sottratta da Napoleone Bonaparte nel 1808.

Per molti anni si persero le tracce del gioiello, finchè venne ritrovato, si dice, tra i cuscini di un divano di Buckingham Palace, perso probabilmente in occasione di un ballo.

La Peregrina, appartenuta anche all’attrice Liz Taylor, oggi vale 11,8 milioni di dollari

 

Lunedì 18 marzo

Isla  Contadora

Questa è l’ultima tappa che facciamo a Las Perlas, domani rientriamo a Panama perché è arrivato il pezzo di ricambio del pilota automatico. Siamo scesi a terra con il dinghi (con la differenza di  marea che c’è è impossibile  trovare un molo), rischiando ad ogni atterraggio di finire in acqua per la violenza delle onde che frangono sulla spiaggia, curiosi di vedere l’isola “in” dell’arcipelago.

È diversa da tutte le altre, in primis perché è molto abitata, c’è un piccolo aeroporto, molte ville con piscina privata, e poi per la vegetazione e gli animali.

Le strade asfaltate rendono facile attraversare l’isola, magari con un’auto elettrica, le piante che una volta dovevano essere foltissime oggi si possono ammirare come al giardino botanico, e gli animali circolano liberamente nella ex foresta, di molte specie. Abbiamo visto persino un daino, che sono riuscito a  fotografare, e ci hanno detto questa specie  è autoctona.

Ci sono tre piccoli minimarket, con ben poca merce appetibile, e poco altro di interessante, e comunque non abbiamo riscontrato una presenza significativa di  turisti stranieri  ne tantomeno di vacanzieri di Panama, solo velisti in transito: evidentemente non è periodo di ferie.

Alla fine la vera atmosfera di Las Perlas è quella offerta dalle spiagge deserte, incontaminate, con la foresta che scende fino al mare, e praticamente assenza di turismo di massa o d’elite, solo barche a vela, nessun motoscafo….

Martedì 19 marzo

Panama

Stamane alla sveglia ci siamo trovati immersi nella la nebbia, che  copriva tutto attorno a noi, creando un’atmosfera irreale: avevamo steso un po’ di biancheria ad asciugare che abbiamo trovato più bagnata della sera precedente, la coperta fradicia e solo dopo un paio d’ore il sole ha fatto capolino riportandoci ad un ambiente….tropicale.

Il trasferimento a Panama è avvenuto a motore, per assenza di vento, e all’arrivo  in baia la seconda sorpresa del giorno: una pioggia di cenere, proveniente da un grosso incendio a terra, ha creato una nuvola scura sopra la città che ha lasciato cadere una fuliggine nera che in breve tempo ha sporcato tutta la coperta ed è entrata anche dentro. Sembrava l’incendio di Monte Athos l’estate scorsa quando la nube di cenere ha coperto tutta la penisola di Cassandra….