Il mio pacifico (2)
Panama
Giovedì 28 febbraio
Emozionante e interessante, tutto: dall’atterraggio all’approdo al marina, all’incontro con l’agente per le pratiche alla presa di coscienza di come ci si deve muovere fra Colon e Panama city…. e non ultimo anche qui una quantità impressionante di barche di italiani.
Ci sono tre moli, e sul primo ce ne sono tre, tre sul secondo e due sul terzo, e almeno due sono in arrivo la prossima settimana, una delle quali con Vittorio Malingri.
Arrivando dal mare aperto, già da lontano si iniziano a vedere molte navi in fila indiana, alcune in uscita dal canale, altre alla fonda, e si deve fare zig zag per evitarle; in compenso l’entrata dell’avamporto è visibilissima, ed anche se ci sono molta corrente e turbolenza, in acqua si procede agilmente, dando la precedenza al traffico in uscita. Il marina Schelter Bay è visibile appena dentro alle bocche del porto, e chiamando al VHF con il canale 78 ci viene comunicato l’ormeggio. Avevamo già prenotato l’arrivo, per cui è stato tutto agevole, e in pochi minuti con una manovra perfetta il comandante ci ha portato in banchina.
Marzia era arrivata già ieri dalle San Blass e aveva appena fatto le pratiche di taratura della barca per l’attraversamento del canale, per cui abbiamo trovato in banchina l’agente che anche noi avevamo contattato, ed in quattro e quattr’otto ci siamo organizzati sia per le pratiche di immigrazione che per la taratura ed il passaggio del canale. L’atmosfera è perfetta, classica del America meridionale, con l’offerta di consumi molto orientati alla forte presenza di americani. A partire dagli orari degli uffici (ridotta e con molte festività), al clima, per finire all’ambiente del marina, il bar, il ristorante, il minimarket, i bagni puliti e con acqua calda ed il personale disponibile, ma con gran calma : non bisogna avere fretta e si ottiene quasi tutto. C’è anche la connessione internet, e compriamo subito la password che per una settimana, a 10$, ci terrà collegati al mondo. Scopriremo poi che la collegamento è più facile di sera, anche se la differenza di fuso di sei ore con l’Italia crea qualche problema di contatti; poi però ci si fa l’abitudine: quando si attraversa l’oceano, è sempre così, e ci si adatta a tutto.
Veniamo così a conoscenza dei risultati delle elezioni, e qualcuno ha pensato che è la volta buona che non ritornerà in Italia.
Venerdì 1 marzo
Bisognerebbe sempre diffidare delle opinioni della gente, e anche in questa occasione ne abbiamo avuto più di una riprova. Gli skipper a San Blass ci avevano preannunciato per l’attraversamento tempi di attesa anche di un mese, ed invece l’agente ci ha detto che già la settimana prossima sarebbe possibile passare; Panama: c’è chi ce l’aveva preannunciata come una città pericolosissima, al punto di non avventurarsi in giro da soli a piedi, ed invece scopriamo che i velisti in transito ci vanno in autobus, passando da Colon, ed atri sono andati a camminare per la foresta senza guida.
Noi non volevamo rinunciare ad “assaggiare” il clima della città e a fare qualche foto, e così ci siamo organizzati approfittando del taxi che dovrà portare domani wilma all’aeroporto. Partiremo prima delle otto, e ci faremo accompagnare in giro per i luoghi più significativi, in un giretto turistico, con una guida speciale. Sì, perché abbiamo scoperto che il tassista (gentilissimo) è abituato a seguire i clienti del marina, ed è complice con le autorità e quindi prenderemo due piccioni con una fava.
Oggi intanto il clima si annuncia caldo sin dal mattino, c’è il sole, siamo sui 30°, e fare lavori pesanti non è molto igienico, per cui ce la pendiamo comoda. Andremo a vedere come e dove are la spesa, il comandante farà i documenti d’immigrazione, e poi ce ne andremo a zonzo. Scopriamo così che il marina è anche un piccolo cantiere, si può mettere la barca a terra ed anche disalberare, ci sono artigiani per la verniciatura, la parte elettrica, meccanica e attrezzisti, e d’altronde questa è l’ultima possibilità di eseguire manutenzione “assistita” prima della Polinesia.
La maggior parte delle barche ormeggiate sono di passaggio nel loro giro del mondo, e ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti, mediamente tutte molto sicure, e ci sono anche belle barche, prestigiose, e di tutte le bandiere. Neanche a farlo apposta le barche del cantiere AMEL sono le più numerose, come avevo già costatato in questi primi giorni alle San Blass, come avevo già rilevato sia qualche anno fa in Pacifico sia nell’Indiano.
È piacevole soffermarsi con i velisti, tutti accomunati dalle stesse affinità e (pre)occupazioni: i lavori di manutenzione, le informazioni sulle tappe future, la cambusa da fare, le previsioni meteo, ma in primis….le provviste. Sì, perchè mediamente chi intraprende questi viaggi ha già esperienza di barche e quindi ha messo in previsione quali interventi eseguire sulla barca (motore, carena, attrezzature…) e dove, ma tutti sanno che i viveri sono l’elemento più importante (e spesso più impegnativo economicamente), senza il quale l’atmosfera di bordo può risultare insostenibile, al di la delle condizioni atmosferiche. E così anche ieri in una barca francese ormeggiata al nostro fianco, due coppie non più giovani sono arrivate sotto bordo con 5 (dico cinque) carrettini pieni di provviste, che sembrava impossibile riuscissero ad entrare in barca.
Anche noi però non scherziamo, tant’è che per il prossimo rifornimento che dovrà bastare almeno fino alle Marchesi, abbiamo già previsto di farcele portare a bordo dal furgone del supermercato…e per fortuna non dobbiamo imbarcare acqua perché siamo autonomi con il dissalatore.
Abbiamo anche avuto la richiesta di un imbarco, una velista che sta girando il mondo, ma….rimarrà a terra….
Panama
Domenica 3 marzo
E così dopo tanta attesa ieri abbiamo visto anche la città di Panama, (è una meta che da anni volevo raggiungere), perché non credo ci saranno più altre opportunità per visitarla, sempre che dopo il passaggio del canale, il comandante non decida di fermarsi qualche giorno in un marina della città.
Ieri è stata una giornata intensa, perché alla fine con il tour previsto (taxi dedicato) siamo riusciti a fare molte tappe, una più interessante dell’altra.
Alle 7.30 eravamo già pronti, e con Alfredo (il taxista, un omone di 130 kg, che non è mai uscito dallo stato di Panama) abbiamo concordato il percorso: rifornimento dollari in banca, un giro a Colon, visita al museo del canale, indagine sui marina di Panama, la visita alla città vecchia con desajuno, per essere alle 17 all’aeroporto, da dove Wilma sarebbe partita alle 19 per Verona.
Il marina Schelter Bay dove siamo ospiti, è inserito in una zona militare panamense, che una volta era controllata dagli americani, quando questi ancora gestivano il canale; ora invece è completamente abbandonata e “invasa” dalla foresta, che se l’è ripresa…situazione che poi costateremo per tutte le aree che il governo panamense si è ripreso dopo aver “scacciato” gli americani alla fine degli anni ’90.
Peccato, perché i segni di una comunità ben organizzata sono ancora presenti: gli alloggiamenti per i militari, per le loro famiglie, e per i civili americani che lavoravano al canale, è vicino alla foce dello stesso, ed anche il borgo sorto oltre100 anni fa, abitato dagli immigrati che hanno contribuito ai lavori per scavare il canale. Sembra che il governo panamense voglia troncare ogni riferimento con un passato, tutto sommato recente, e preferisca lasciare abbandonate e in deperimento tanti alloggiamenti che potrebbero essere utilizzati dalla popolazione per vivere più decorosamente di come facciano ora..
All’uscita dell’area controllata c’è una garitta, dove siamo “controllati”, perchè Alfredo ci racconterà (la sera rientrando, quando un cayenna ci supererà correndo quasi al buio) che in questa zona c’è un deposito della droga che è sequestrata dalla polizia ai narcotrafficanti, che poi si suppone dia origine ad altri traffici gestiti dal governo, considerato anche il via-vai di elicotteri che spesso anche di sera fanno rapide apparizioni nell’aria…. Per andare a Colon dobbiamo attraversare il canale passando sopra la prima chiusa, e dopo una curva, uscendo dalla foresta, ci troviamo la strada sbarrata…. dal fianco di una nave che in quel momento sta transitando all’altezza dell’asfalto, ed abbiamo la prima percezione della maestosità dell’opera, come poi apprezzeremo meglio durante la visita al museo. Dobbiamo quindi aspettare che il convoglio passi, e poi attraversiamo la chiusa transitando sopra le paratie serrate, con l’acqua 10 metri più in basso, mentre sono aperte quelle di uscita, per poi dirigerci verso il centro commerciale.
Attraversiamo anche il cantiere, dove stanno scavando il secondo canale, che sarà largo più del doppio dell’esistente, ed è impressionante guardare il movimento di persone e mezzi: la terra asportata ha già creato una collina come quella di San Siro.
Il prelievo con la carta di credito, operazione che mi era già stato possibile compiere a Cartagena (ho bisogno di $), si presenta un po’ difficoltoso, perché imprevedibilmente lo sportello automatico non riconosce il rapporto con l’istituto Italiano, e sono costretto ad entrare in banca e chiedere il cambio con gli €uro che mi concedono con molte precauzioni. Non vi dettaglio il controllo all’esterno della polizia con due guardie armate che mi hanno perquisito, ma anche quello all’interno sul passaporto effettuato allo sportello, come neppure alla frontiera mi hanno mai fatto. Alfredo addirittura mi ha aspettato con lo sportello del taxi aperto perché il rischio di rapina sembra essere alto….
Tutti ci hanno detto che Colon è brutta, ed è vero, perché oltre a non esserci nulla di interessante, sembra tutta una baraccopoli: durante la presenza americana l’edilizia era stata caratterizzata dallo stile post-coloniale, e mantiene ancora l’impronta di una urbanizzazione strutturata, mentre ora il contesto è di una città devastata dalla guerra. Mancano i serramenti sulle finestre, non esiste traccia di manutenzione, le facciate delle case sono sudice, come le strade e i marciapiedi, le immondizie sono abbandonate dappertutto e la gente che riempie le strade vive in mezzo alla sporcizia.
Il senso di pericolo si percepisce nell’aria, tant’è che è sconsigliato avventurarsi da soli per strada: le persone che devono prendere i bus, ed hanno le borse della spesa, stanno raggruppate per non essere derubate, e c’è polizia ovunque. Gli unici edifici che si riconoscono con un loro passato florido sono una chiesa cattolica, un albergo, il forte con gli alloggiamenti degli ufficiali e i bastioni ancora intatti con i cannoni puntati sul canale, oltre al viale principale con al centro le palme e i due sensi unici ai lati. Lungo il porto l’attività è frenetica, containers sono impilati in attesa di essere spediti, ed i docks ora vuoti ricordano un passato di grande floridità.
Ripartiamo delusi, ma una visita veloce andava fatta, anche per rendersi conto di persona dello stato di degrado in cui vive questa cittadina, e proseguiamo per la tappa seguente, al museo del canale.
La strada che percorriamo, per fortuna ben tenuta, passa in mezzo alla foresta tropicale, fra le vie d’acqua che caratterizzano il paesaggio, e per un certo tratto fiancheggia il canale; in macchina non è possibile seguire il tracciato sul navigatore perchè, come ci dice Alfredo, il governo vuole che si dimentichi la presenza dei gringos, anche se non si può negare l’evidenza dei fatti.
Deviamo poi verso la chiusa Miraflores per ammirarla dall’alto e visitare il museo del canale, che raccoglie tutta la storia del suo scavo; è molto frequentato dai turisti, e all’interno sui quattro piani è descritta l’evoluzione dello scavo con filmati, fotografie, documentazioni e spiegazioni dettagliate, oltre ad una stanza di simulazione all’ultimo piano, da dove sembra di stare sulla plancia di una nave e attraversare il canale e le chiuse. È una delle opere d’ingegneria più grandiose del mondo moderno: collegare due oceani per mezzo di un sistema di chiuse, passando attraverso un lago naturale le cui acque sono a un livello più alto del mare…., ed ora sta per essere replicata. Ogni giorno il canale lavora 24 ore su 24, fattura oltre 6 milioni di dollari, e nel 2014 sarà festeggiato il primo centenario dall’inaugurazione……
Riprendiamo il tour e ci troviamo dentro a Panama all’improvviso, perchè dopo una curva che sbocca dalla foresta, costeggiando il canale, si entra nella periferia della città, dove possiamo vedere i marina: c’è il primo (Balboa) che ha solo ormeggi alla fonda, ma con la differenza di marea di oltre 6 metri è di difficile accesso, il secondo (la Playita) ed il terzo (Flamenco) attrezzati con i pontoni mobili sono sicuramente più comodi, il quarto prevede solo ormeggi all’ancora liberi, ed è forse il meno comodo da prendere in considerazione, considerato anche che il fondale è basso.
Ci sono molte barche all’ancora, perché tutte quelle che hanno attraversato il canale dirette in Pacifico si fermano almeno una notte, sia per visitare la città sia per rabboccare la cambusa. I due marina attrezzati sono inseriti in un complesso commerciale di buon livello, per cui è possibile percepire un ambiente signorile, con le comodità cui siamo abituati in molti marina del mediterraneo, e che avevamo ormai dimenticato .
Con Alfredo, che si dimostra utilissimo anche per soddisfare le esigenze di un velista, è facile trovare le risposte che cercavo, e una volta esaurite le necessità della navigazione possiamo dedicarci alla visita della città.
Durante il trasferimento dalla zona dei marina attraversiamo un parco che ben assomiglia a una zona residenziale, costellata però di palazzine abbandonate, abitata una volta degli americani ricchi che vivevano a Panama, poi incamerata dal governo panamense e in attesa di destinazione urbanistica. Mi racconta Alfredo che, con tutti i cambiamenti strutturali e politici avvenuti dopo la dipartita degli americani, questo parco, tenuto appositamente recintato e chiuso, è ora in attesa di essere venduto a qualche finanziere che costruirà una zona signorile adatta allo sviluppo programmato per Panama, con alberghi dove il personale dovrà camminare con scarpe e guanti bianchi, contrariamente all’esigenza di un’edilizia popolare che possa ridare dignità alla popolazione, oggi soffocata dalla povertà, dal caro vita e da bassi stipendi .
Al di la della baia dove si affacciano i quattro marina, si stagliano i grattacieli con forme moderne e slanciate, con alberghi ed abitazioni ultramoderne, a testimonianza di una città che sta crescendo a ritmi vertiginosi, proponendosi come la prossima città più all’avanguardia del mondo dopo Singapore, ed effettivamente questo particolare balza subito all’occhio. Il traffico è molto intenso, le strade, di cui molte sopraelevate, s’intrecciano fra la costa e il nuovo centro, insinuandosi fra le recenti costruzioni e le demolizioni di vecchi quartieri, con la prospettiva di preparare la città ad affacciarsi tutta nuova sull’oceano, compreso un nuovo enorme marina che stanno costruendo sbancando il litorale, e che darà a Panama una nuova fisionomia ultra moderna ed efficiente.
La parte vecchia della città è oggi l’unica testimonianza di un passato coloniale spagnolo, ed è evidente il contrasto fra i vecchi palazzi che stanno cadendo o sono in piedi solo perchè puntellati, e il volto nuovo che appare fra queste “rovine” caratterizzato dalla ristrutturazione dei palazzi storici.
A differenza di molti altri paesi, dove hanno abbattuto e ricostruito ex novo il centro storico, qui a Panama hanno adottato il criterio di mantenere l’originale struttura, ristrutturando i palazzi anziché ricostruirli, il che offre al visitatore il sapore di un passato che viene fatto rivivere, con i suoi usi e costumi, sia culturali sia alimentari.
Così sono già mezze ristrutturate la piazza principale e altri palazzi storici, ed è bello passeggiare fra le bancarelle dove fanno bella mostra i cappelli panama, bianchi con la fettuccia nera, e gli scatti fotografici non sono mancati. Le stradine sono molto strette, una volta non c’erano le macchine, e curiosando nei portoni dei palazzi ancora da ristrutturare si percepisce la vita che corre, sicuramente di persone non abbienti ma fedeli alle loro tradizioni, purtroppo consapevoli che il prossimo palazzo in disuso sarà acquistato da qualche riccone e dopo la ristrutturazione sarà fatto rivivere per il turismo, quindi con negozi, alberghi e abitazioni.
Già adesso la presenza di turisti caratterizza il quartiere, e passeggiando l’atmosfera è più sicura. Cercavamo un ambiente con cucina locale, e annusando qua e là siamo capitati davanti ad una trattoria frequentata da persone del posto: siamo stati fortunati, accoglienza familiare, piatti del giorno molto appetitosi, e assieme ad Alfredo ci siamo gustati uno snapper fritto a testa, con il riso e un sughetto di pesce da leccarsi le dita, e da bere una spremuta di ananas naturale, come da loro abitudine alimentare.
Il tempo è passato in fretta, e verso le 15 siamo ripartiti verso l’aeroporto, che si trova dalla parte opposta rispetto al centro storico, in mezzo ad un traffico bestiale, al punto che per percorrere venti chilometri, abbiamo impiegato due ore.
In compenso, andando piano, ho potuto vedere bene tutta la periferia della città, che stranamente secondo me assomiglia moltissimo a quella di Rio de Janeiro, e si snoda fiancheggiata da centri commerciali, uffici, dai dealers delle principali case automobilistiche e meccaniche del mondo, e resa colorata da bancarelle con il tetto di paglia che vendono frutta e verdura tropicale: mango, papaia, avocado, arance, banane, cocco, angurie, meloni, mele e pere, sicuramente più invoglianti che al supermercato.
Arriviamo all’aeroporto giusto in tempo, Wilma sbarca al volo perché il taxi non può fermarsi molto, e con Alfredo me ne torno al marina.
Ed anche Panama…vista e piaciuta..
Intermezzo
Lettera agli amici……battimarzo, che ricordi…correvo in bicicletta lungo la riva a Cittadella, con tanti barattoli infilati in un filo di ferro attaccato dietro alla sella, e gli amici a battere con un bastone per fare rumore, per avvisare che marzo era arrivato, e l’inverno se ne stava andando.
Qui a Panama non è un’usanza in voga, però fa già un certo effetto sapere che siamo a marzo, e il viaggio intorno al mondo (un pezzo che mi manca) prosegue.
Massimo risponde
Strano ma vero, l’altra sera lungo le stradine del mio quartiere dei ragazzetti con bici e bussolotti hanno avvisato che marzo era in arrivo. Il primo a capirlo è stato il cane Brando che al primo rumore ha sconvolto anche i vicini di casa.
Che ricordi: una settimana alla ricerca di bussolotti e poi con la Jippetta di Milio Rizzo, 50 metri di bussolotti in tripla fila e passare per il centro con i vigili sbigottiti.
Torce, fiaccole e alla fine Focaccia e Aranciata al bar alla Cetra da John.
Sembra sia capitato ieri.
Atri ricordi
Eravamo ragazzini, alla stessa epoca del batti-marzo, ed in quel tempo c’erano ancora i carretti tirati da cavalli che trasportavano la ghiaia dalle cave del fiume Brenta ai cantieri edili Il carrettiere seduto sopra il carretto guardava la strada, le briglie in mano, ed il cavallo con lento incedere e senza scosse tirava il pesante carico verso la destinazione. Noi ragazzini andavamo a giocare nel parco che una volta apparteneva alla mia famiglia, poi finito nelle mani di un lontano parente per un testamento mal consigliato, al quale si accedeva da Riva Pasubio attraverso un grande cancello verde che aveva le feritoie basse, a livello della strada.
Avevamo inventato un gioco, la fantasia non ci mancava: avevamo un portafoglio vecchio, mettevamo negli scomparti interni della carta ben piegata che sembrasse cartamoneta, che sporgesse un po’ fuori, legavamo un filo di nailon trasparente attorno al portafoglio, e lo lasciavamo aperto a terra, sulla corsia della strada dove passavano i cavalli, tirandoci il filo dietro alle feritoie del cancello .
Uno di noi stava di guardia sopra una pianta che guardava la riva, e stavamo all’erta aspettando il malcapitato carrettiere. Questo arrivava, magari un po’ rallentato dal lento procedere del cavallo e accompagnandone i suoi passi con un gesto di tutto il corpo, su e giù, su e giù, tron tron, tron tron, quando di colpo lo si vedeva fare un sobbalzo e gridare al cavallo:ohhhi, ohhhi, per fermarlo. L’occhio che guardava la strada gli era appena caduto sopra il portafoglio che, aperto, sembrava promettere un facile profitto. Lo si vedeva guardarsi attorno, per essere certo che nessuno lo guardasse, poi scendeva dal carretto, che si era fermato qualche metro più avanti, dopo il cancello verde, e con passo felpato si avvicinava al portafoglio.
A questo punto subentrava la bravura di chi teneva il filo di nailon, che proprio nel momento in cui il carrettiere si abbassava per raccoglierlo, con un gesto veloce ed improvviso glielo sfilava da sotto le mani, e lo tirava dietro al cancello chiuso.
Il poveraccio rimaneva sorpreso, spesso di arrabbiava con noi, che ci sentiva ridere dietro al cancello, ma poi se ne andava brontolando.
Lo abbiamo fatto tante volte e ci divertivamo un mondo. A volte si fermava qualcuno in bicicletta, una volta una motoretta ha frenato di colpo e il conducente quasi cadeva, ma i più divertenti erano i carrettieri.
Una volta se ne è fermato uno, è sceso il “cocchiere”, ed anziché avvicinarsi al portafoglio dal centro della strada, è passato dal fianco, dal bordo della strada. Non ce ne siamo accorti, ha messo il piede sopra il filo, bloccandolo davanti al portone, e nulla abbiamo potuto fare: ha strappato il portafoglio e con soddisfazione se n’è tornato sul carretto. Ci aveva ricambiato lo scherzo, e noi ce ne siamo stati li, con un palmo di naso, a guardarci in silenzio con la testa bassa, mogi mogi, senza più il nostro gioco del momento.
Però, che bei ricordi di gioventù, che tempi..
Un’altra volta vi racconterò degli aquiloni…
Venerdì 8 marzo
Il canale di Panama
E così è arrivato il momento, il conto alla rovescia è terminato, e finalmente oggi siamo ripartiti.
Gli ultimi giorni di attesa si sono trascinati stancamente, da un lato per il clima che non favorisce l’accelerazione nel fare, dall’altro perché comunque ogni attività dipende dagli altri, come minimo nei trasporti fuori dal marina, dove tutto procede a rilento, e neppure una promessa di propina (mancia) da garanzia di sollecitudine.
Così per andare a Panama a cercare un pezzo di ricambio per il motore il comandante è partito con la navetta del marina (via Colon) alle 8 di mattina ed è arrivato a Panama alle 12, per ripartire già alle 17….e concludere ben poco, neppure uno sguardo alla città. Poi, per fare cambusa, siamo partiti per il supermercato con la navetta sempre alle 8 e siamo rientrati alle 14, per terminare di stivare alle 18…….abbiamo fatto provviste fino alla Polinesia, almeno 3 mesi di sopravvivenza (a parte il fresco) con una spesa di quasi 2500$….
Stamane sveglia alle 7, dopo colazione mi son messo a cucinare per avere i cibi pronti per il pilota e per noi, e dopo aver esaurito le pratiche portuali di uscita, pagato il marina e l’agenzia, alle 13 ci siamo avviati verso il punto segnalatoci dall’autorità del canale dove si sarebbe imbarcato il pilota.
Le regole che assicurano il transito sono ferree, i controlli altrettanto ed il costo invece….elevato: abbiamo speso in tutto oltre 1800$, che contribuiscono anche alla costruzione del secondo canale, che sarà pronto per il 2015.
Ci siamo messi alla fonda, aspettando il nostro uomo, dove alla spicciolata sono arrivate altre barche a vela, come noi per attraversare il canale, e siamo entrati nell’atmosfera. Eravamo tutti abbastanza tesi, avevamo preparato fuoribordo i 12 parabordi che ci avevano consegnato, le quattro cime da ormeggio azzurre, due a prua e due poppa da 50m ognuna, i vettovagliamenti per il pilota, perché fra le regole che ci avevano fatto sottoscrivere c’era quella di non fargli mancare acqua e riso pena una multa di 300$, e sotto un sole cocente è iniziata l’attesa Alcune navi in uscita scivolavano veloci verso l’Atlantico uscendo dal canale, una gasiera, una porta container, una porta-vetture, e finalmente è arrivato il nostro turno.
Avanti tutta, ed in men che non si dica siamo entrati in un’atmosfera magica, effervescente, elettrica quasi ci attendesse una prestazione da primato, come se dovessimo giocare allo stadio la partita della vita, con il mondo che ci guardava alla televisione, in diretta,……..perché alla fine è stato così.
Il giorno prima ci avevano detto che sul canale c’erano delle web-cam che riprendevano il passaggio delle navi sulle chiuse, e lo trasmettevano in diretta sul sito del canale di Panama, http://www.pancanal.com/eng/photo/camera-java.html
Io la sera ero andato a cercarlo in internet e lo avevo trovato, riscontrando che effettivamente si poteva vedere in diretta il movimento nelle chiuse. Quale occasione per coinvolgere gli amici nella mia avventura: e così ho inviato un’email a tutti indicando che c’era la possibilità di partecipare al passaggio di refola nel canale assieme a me, con un orario ipotetico… Per un velista “aficionado” ero certo sarebbe stato un gesto di amicizia e di piacere, un po’ come partecipare alla traversata assieme a me, un po’ rivivendo l’atmosfera vissuta assieme l’estate scorsa a bordo del sound of silence, un po’ perché nelle mie “peregrinazioni (in mare e non) ” porto sempre con me tutti quelli che mi vogliono bene, e quindi perché non tentare un collegamento virtuale durante il passaggio nelle chiuse?
Beh, ascoltate ora che cosa è successo. Avevo prima inviato un messaggio multiplo ai fedelissimi:
“siamo in attesa del pilota per iniziare il passaggio del canale di Panama. Come vi ho scritto ci sono anche le webcam. Quando siamo dentro, vi mando un messaggio e se vi interessa potete collegarvi in internet e vederci. Dovreste avere l’indirizzo del sito del canale che vi ho mandato”
Mi risponde prima Alessandro che mi scrive: “ti guardo” e poi Renzo “vedo una barca in attesa dietro le navi che entrano una alla volta tra le chiuse, siete voi quelli della barca?”
Capisco subito che il mio invito era stato colto al volo, e l’eccitazione aumenta, anche perchè il pilota sta dando le disposizioni per entrare nella chiusa: noi saremo al centro, si affiancheranno due barche a vela, una a destra e una a sinistra, dovremo dare quattro spring e prendere quattro traversini, due a dritta e due a sinistra.
Mancano due miglia alla prima chiusa, quella di Gatun, e preparo un secondo messaggio multiplo:
”siamo a due miglia dalla chiusa di Gatun, saremo dentro alla chiusa fra 30 minuti, siamo 3 barche a vela con noi al centro, dietro ad una nave rossa. Ci sentiamo quando siamo dentro”.
Ora tutto succede in fretta, con lo scenario che cambia ogni dieci minuti, noi un po’ attori un po’ spettatori, vediamo le tele del palcoscenico che salgono e scendono dietro al sipario, macchine fotografiche che scattano in continuazione: clic, clic, clic, e la mia, che è impostata con il bracketing a tre scatti, fa clicclicclic…
Le altre due barche si affiancano, le sistemiamo con gli spring e i traversini, formiamo un tridente, e assieme entriamo nella prima chiusa, dietro ad una grossa nave panamense, Xena; le due barche all’esterno passano le cime a terra, il tridente è così immobilizzato al centro, le porte si chiudono e l’acqua comincia a entrare.
In meno di quindici minuti ci alziamo di 15 metri, le cime a terra sono gestite dalla barche laterali per mantener il tridente al centro della chiusa mentre l’acqua sale, il pilota continua a dare disposizioni per tenere gli spring tesi e controllare la situazione, noi eseguiamo e ci godiamo l’atmosfera, che ha fatto alzare la temperatura.
E qui viene il bello:
mi arriva un messaggio di Paolo: “sul sito dicono che alcune webcam sono fuori uso a causa di fulmini. Ti sto seguendo”.
Poi uno di Alessandro: “vi vedo, siete sull’imboccatura?” Ed eravamo proprio noi.
Poi Giancarlo: ”vi vedo, sono in diretta, e siete già dietro ad una nave appena arrivata”
Poi ancora Alessandro: “ora siete in primo piano”, ed effettivamente il pilota ci dice che ai lati della chiusa ci sono le telecamere che riprendono…e tutti allora in barca ci siamo sbracciati a salutare….come allo stadio quando la telecamera zumma sulla gradinata…..
Poi ancora Paolo che mi chiede “quale delle tre è la vostra?”Sono emozionato e felice, non siamo soli, gli amici sono con me, e in un abbraccio corale non so resistere alla tentazione, prendo il cellulare, e chiamo e mi contattano tutti; Alessandro, Renzo, Giancarlo, Paolo, Franco, Wilma ( anche se non è davanti al PC ma sono certo che sta partecipando con il pensiero), e con loro condivido l’emozione, so che sono con me, anche se non riesco a chiamare tutti perché non c’è il tempo.
E così facciamo la prima chiusa, la seconda e la terza, prima del lago: ad ognuna ci alziamo di 15 metri, e ci portiamo alla fine all’altezza del lago, da dove usciamo verso le 17.30.
Fra una chiusa e l’altra ci trasferiamo a motore, le vasche sono lunghe circa 300 metri, mentre le navi sono tirate da locomotori a terra che percorrono il dislivello su una cremagliera: fa un certo effetto vedere alle spalle la chiusa appena lasciata che rimane a un “piano inferiore”, mentre noi ci alziamo assieme all’acqua che entra dal lago.
Gli scatti fotografici continuano, l’atmosfera è carica di elettricità perché ci sentiamo in mondovisione, ed è vero, e la skipper della barca vicina quando capisce quello che sta succedendo si affretta a chiamare in Svizzera per portare i suoi amici davanti agli schermi del PC.
….e così senza accorgerci ci troviamo all’uscita della terza chiusa, già all’altezza del lago, dentro il lago, e in un attimo su ordine del pilota molliamo spring e traversini e ci dirigiamo alla boa dove trascorreremo la notte.
Mi arrivano gli ultimi messaggi:
Paolo: “che emozione per me che vi guardo da casa, figurarsi voi…”
Renzo: ”Vi ho visto bene quando si è alzato il livello dell’acqua. Buon vento Mario e come vi invidio…”
Alessandro: “in uscita! A domani sera.”
Cari amici, quando leggerete queste news, saremo ancora virtualmente tutti assieme, sulla stessa barca, come un unico equipaggio, con una birra in mano, seduti a poppa, ad ascoltare la melodia del sound of silence, mentre le onde fanno da sottofondo passando sotto le chiglie delle nostre compagne di viaggio, le nostre amiche, le nostre barche a vela …
Alla prossima…..
Sabato 9 marzo
Panama2
Sveglia alle 5, colazione (anche se lo spirito soffre il corpo non deve soffrire…è la massima di Carlo) e siamo in attesa del pilota, che arriverà con oltre mezz’ora di ritardo.
Nell’attesa sonnecchio in pozzetto, ripensando alla giornata precedente, alle emozioni provate e mi pregusto anche quelle di oggi: chissà se gli amici saranno di nuovo davanti al PC….
Il pilota che arriva è un robusto giovanotto, che risulterà molto preparato, più di quello di ieri, togliamo le cime dalla boa alla quale ci eravamo ormeggiati la sera precedente e partiamo subito: dovremo percorrere circa 30 miglia prima di arrivare alla chiusa, per cui dopo un po’ tiriamo fuori anche le vele e mantenendo sul canale sempre il lato destro prendiamo velocità. Incrociamo molte navi, vediamo le draghe che mantengono profondo il canale ed altre che invece stanno dragando per allargarlo in previsione del nuovo tronco.
Offriamo un caffè al pilota, gli faccio compagnia anch’io, e approfitto del clima tranquillo per fare due chiacchiere sul canale in spagnolo, lingua che parlo ancora abbastanza bene. Vengo così a sapere che il lago dove stiamo navigando è artificiale, e non poteva essere evitato un bacino di compensazione fra i due oceani perché la loro differenza di marea di molti metri generava una corrente di una forza insuperabile.
È stato così deciso di crearlo allagando tutto il territorio sbarrato fra le chiuse e altre dighe edificate all’uopo, e così tutta l’economia del canale dipende dalla gestione dell’acqua, dalle provviste idriche che sono garantite da alcuni fiumi della zona, dall’acqua delle foreste pluviali e dalla pioggia che cade copiosa. Se non cade abbastanza acqua, o se ne cade troppa, viene messa a rischio la percorribilità del canale, ed è già successo che il livello del lago si sia abbassato al punto che se non fosse piovuto il transito sarebbe stato chiuso; nel frattempo il passaggio era stato concesso solo a navi con pescaggio inferiore che comunque erano procedute incolonnate in mezzo al …..poco canale rimasto. Sono poi stati necessari molti mesi per ripristinare il massimo livello del lago, che è molto esteso.
Altrettanto è successo che la troppa pioggia abbia quasi fatto tracimare il livello del lago e delle vasche, con grosso rischio di compromettere il funzionamento delle chiuse.
Una curiosità: le vasche delle chiuse in azione sono sempre due, ed avevo visto che quando le porte delle vasche venivano chiuse, rimaneva fra i due battenti alle nostre spalle una fessura larga quasi un metro, e mi chiedevo come venisse serrata, con quali pompe; il pilota mi ha spiegato che non esistono pompe in nessuna chiusa, e tutte le porte vengono serrate per compensazione dalla pressione dell’acqua che esce o che entra nella vasca , a seconda che si scenda o si salga.
Infine, mentre le attuali chiuse hanno i portoni a “battente”, quelle del nuovo canale saranno molto più alte e scorrevoli, ed inoltre il trasferimento delle navi fra una vasca e l’altra di una chiusa non sarà più effettuato dalle motrici e con l’aiuto del personale che gestisce i livelli spostando le cime a terra, ma tutto il lavoro sarà fatto dai rimorchiatori. Uno davanti e uno dietro, o di fianco, il che eviterà enormi costi di gestione del parco elettromotrici, del personale e consumo di energia….tutto cambia, anche la poesia del canale, antichi e collaudati movimenti ed esperienze di personale che per un secolo hanno permesso di scavalcare due mondi…
Fra una chicchera e l’altra ci sta uno spuntino per il nostro amico, un succo di frutta, e impariamo come i piloti vengono aiutati nel loro lavoro anche da un sistema di allineamenti, effettuato da mede o luci o fanali che da terra permettono di “guidare”la nave, consentendole di mantenere la giusta posizione nella corsia dedicata.
Si vede un faro che cambia di colore, a seconda che ci si trovi a dritta (verde) a sinistra (rossa) o al centro (bianca), e di conseguenza si danno le disposizioni al timoniere per l’allineamento. Ognuna di queste lampade costa 40.000$, e ce ne sono 14 nel canale…..la tecnologia al servizio della sicurezza…..
Fra una curiosità e l’altra arriviamo alla prima chiusa, formiamo il tridente con le stesse barche del giorno prima, senza alcun problema di manovra, mando il messaggio agli amici in Italia, e mi risponde subito Alessandro: “credo di vedervi. Siete in una barca da soli?”
Evidentemente la webcam sta riprendendo una barca davanti a noi, e mi affretto a rettificare il messaggio: ”fra 10 minuti entriamo nella chiusa MiraFlores, siamo in 3 come ieri, noi al centro”. E subito Alessandro risponde: “OK, vi vedo bene adesso”. Poi è la volta di Paolo che mi avvisa: ” fra 10 minuti sono a casa”.
Poi ancora Alessandro: “ben visibili”.e Giancarlo che sta vedendo bene il tridente e mi chiede dove sono…Nel frattempo Paolo è arrivato a casa e mi scrive:” vi vedo, mi viene in mente Dante :< e volta nostra poppa nel mattino dei remi femmo ali al folle volo>”. E poi lasciandoci m’invia gli auguri, sempre ispirato dalla letteratura storica: ”buon vento, che Poseidone vi sia propizio”.
Poi arriva il messaggio di Giancarlo:” vi vedo, Catamarano e le navi sono già passate. Rimanete solo voi e vedo la tua barca al centro…”
Alessandro: ”Mi è sembrato di essere là con te. Ora siete fori dalla webcam. Buon vento in Pacifico! In culo alla balena”. Infine Wilma che m’invia un “great”…
Così, fra un messaggio e l’altro, anche la traversata della seconda parte del canale di Panama passa in un baleno, e ci troviamo fuori da Miraflores, direttamente in Pacifico.
È finito tutto, il canale non è più un mistero, né una preoccupazione, ma una realtà che conosciamo di persona, dopo tante storie che avevamo sentito al riguardo per strada dagli skipper, tutte arricchite da personalismi e interpretazioni create per darsi un tono nel parlarne.
Tutto si è svolto nella massima calma, supportati da un bravo pilota, da un equipaggio preparato e da un comandante di grande esperienza che ha sempre avuto in mano la situazione e la sua barca, il grande Refola.
Il pilota sbarcherà dopo poco e noi ci avvieremo all’ormeggio, dove staremo fino a martedì. Che emozione cari amici essere stati anche oggi assieme a voi: ora che vi sto scrivendo siamo dalla fonda nella baia di Playita, a Panama, e pensando che solo tre ore fa eravamo con Refola a Miraflores, scrivendovi mi emoziono ancora, credetemi.
E poi….. mi ha fatto piacere essere assieme a voi, idealmente con me.
Ciaociao, alla prossima dal Pacifico.