Febbraio – Leò
Se è vero che dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna, ogni volta che incontro un navigatore che ha lasciato tracce significative nei libri di mare, cerco sempre di conoscere la persona che ha condiviso e condivide la sua vita; quando ne ho l’occasione, mi piace farmi raccontare la sua storia accanto al personaggio che ho già intervistato.
Nel caso di Leò l’attrazione per Luciano deve essere stata “fatale”, perché trascorrere cinque anni consecutivi a bordo del Guia, navigare con a lui nel grande Sud, deve essere stata un’esperienza molto importante, sia di vita sia di navigazione.
Quando si è giovani i sogni fanno parte della vita quotidiana. Non l’ho mai raccontato, ma anch’io, che trascorrevo ogni estate al mare, sognavo di andare in giro per il mondo in barca a vela, trovare una compagna con la quale condividere questo sogno, e avere magari un figlio al quale far conoscere la vita con una visuale scevra da vincoli “terrestri”.
Ricordo quando, ancora nel lontano 1970, sbarcavo a Genova e chiedevo all’amico Gianfranco di trovarmi una barca a vela da affittare fra un imbarco e l’altro per qualche settimana. Non esistevano ancora nè il charter nè il noleggio, la barca era una cosa da ricchi e io non lo ero… Così per avere una barca ho dovuto aspettare, consolandomi con le letture dei navigatori emergenti, Moitessier e Tabarly.
Non pensavo certo che avrei conosciuto chi ha navigato con loro, immaginatevi se oggi mi sarei lasciato sfuggire l’occasione di fare queste conoscenze, e di farmi raccontare la storia loro.
Così, quando sono andato la prima volta in Valsesia a incontrare il mio “personaggio del mese”, mi sono ritrovato con una persona che non aveva perso la sua impronta di navigatore, uno skipper per il quale navigare è stato una perenne ricerca. E con lui la sua compagna Leò, su cui avevo letto qualcosa nel libro L’esilio dei sogni.
Mi hanno affascinato subito entrambi: Luciano, per l’impronta che dava alle sue giornate alla ricerca di nuove rotte fra letture, musica e scrittura, nel suo studio che si affaccia sulle montagne; e Leò per il suo muoversi in casa, la sua oasi, come il bravo marinaio che si trova al posto giusto nel momento giusto, come aveva imparato quando si era imbarcata per vivere un’avventura straordinaria, accanto a Luciano Làdavas, che già si era fatto un nome nella vela italiana (quasi senza volerlo).
Potete immaginare la curiosità che mi ha pervaso, tant’è che dopo aver concluso la prima chiacchierata con il navigatore, ho chiesto a Leò se le sarebbe piaciuto raccontarmi la sua storia, e farla conoscere agli amici di RTM.
Così quando sono tornato da loro una seconda volta, è stato come se ci fossimo sempre conosciuti, E dopo una mattinata nello studio adiacente al cortile ‒ ah, non vi ho detto che loro vivono come un equipaggio, lui in plancia nel suo studio e lei “sottocoperta” nella casa principale – a rivedere l’intervista che poi Luciano ha pazientemente rivisto e integrato, mi sono seduto nella “dinette” con Leò.
Rimpiango, ora, di averli conosciuti solo adesso (meglio tardi che mai), perché frequentarli è come essere a bordo di una barca ‒ parlavo con lei, ma c’era lui nei suoi pensieri, sapeva che c’è lui, come un marinaio che sa di essere in buone mani perché in coperta c’è uno skipper di tutta fiducia.
E, dopo che avrete letto l’intervista, ditemi se non è vero!!!
Quasi sempre inizio con la solita domanda: Chi è Leò?
Sono una vecchia ragazza: gli anni sono passati, quando penso che ne mancano due agli 80… Però mi sento ancora quella di prima.
Ma chi era la ragazza di prima?
Vivevo un po’ con il senso del provvisorio, assaporando a fondo le cose che facevo senza pensare al futuro, vivendo l’istante nel presente.
Da dove nasce la tua conoscenza con il marety56?
Solo quando ho incontrato Luciano ho conosciuto il vero mare, perché prima avevo navigato su yacht a motore come ospite, e poi qualche volta con delle derive sul lago, ma giusto come passeggera.
Quindi non si può parlare di passione?
Direi proprio di no.
E prima di conoscere Luciano quale era il tuo rapporto con il mare? In famiglia qualcuno navigava?
Il mare era per me la vacanza esotica, le belle spiagge, le belle isole. Da studentessa, a 19 anni, ero stata in Grecia, Turchia, Marocco… Viaggiavamo in macchina partendo dalla Svizzera.
La famiglia, no, nessuno aveva mai navigato. Ed è una storia piuttosto movimentata… Mio nonno, originario di Guardabosone, era emigrato a Parigi; un grande anarchico che aveva aperto un albergo a Parigi, nel quale ospitava i fuoriusciti del fascismo.
I miei nonni sono morti presto, forse di tristezza per la scomparsa di mia zia Leonida, maestra discepola di Maria Montessori, morta di tubercolosi all’età di 30 anni.
Mio padre nacque a Guardabosone, casualmente, perchè i suoi genitori erano qui a passare le vacanze. Rimasto orfano da ragazzo, lasciò Parigi nel ’39 e tornò in Italia pensando ingenuamente che la guerra non avrebbe coinvolto il suo paese. Poi, nel primo dopoguerra, emigrò di nuovo, questa volta in Belgio con l’idea d’imbarcarsi su una liberty ship diretta in Canada; ma vi rinunciò, quando un suo amico gli disse che a Ginevra poteva trovare un lavoro. E lì si stabilì nel 1948, con me e mia madre.
Parliamo del tuo primo incontro con Luciano. Quando il tuo amico Italo ti ha chiamato per venire a Milano ad una festa a casa sua, sapevi già come sarebbe andata a finire? Eri molto giovane, architetto di futura fama, cosa ti ha spinto a mollare tutto e partire per con un velista?
Stavo finendo un lavoro importante a Ginevra. Era appena terminata la prima Whitbread, tutti si interessavano di vela… Quando ho incontrato Luciano, lui mi ha detto: «Sto preparando il Guia per andare a Tahiti, vuoi venire con me?». A me è venuto il guizzo di farmi un anno sabbatico, o anche solo qualche mese, tant’è vero che avevo conservato il mio appartamento a Ginevra. Ma poi mi sono lasciata sedurre dall’uomo e dal suo progetto.
Vedi questa foto? Quando ho conosciuto Luciano, io lavoravo in uno studio di architettura Ginevra ed ero così… Osserva i pantaloni, sono tornati di moda. Si direbbe una foto dei giorni nostri.
Cosa sapevi di Luciano, prima d’incontrarlo?
Ne avevo sentito parlare dagli amici velisti di Milano. Quando l’ho incontrato mi è piaciuto il suo carattere chiuso, ma capace di comunicare molto, anche senza parlare… Non sapevo nulla del suo passato e intuivo che eravamo molto diversi. Io, venendo da Ginevra, avevo una vita sociale molto più vivace e importante della sua… Non era il mio primo amore, ed ero curiosa di una nuova esperienza. Non direi tuttavia che sia stato un colpo di fulmine.
A quei tempi forse era tutto più facile.
Sì, anche perchè io sono nata nel 1946, ed è stata una giovinezza fantastica, di conquiste… la pillola, il ’68, tutto.
Sei mai stata gelosa?
No, questo no.
Se ho capito bene, hai navigato per amore. Per amore di un uomo o del mare?
Mah, un po’ tutte e due le cose.
Ripensandoci adesso, cosa ti ha più colpito di più? L’amore che cosa ti ha dato?
Mah, l’amore… Ripensandoci, ho navigato per la curiosità di conoscere un uomo, poi ho capito che Luciano skipper mi interessava più di Luciano uomo. Quando si tratta di mare emerge la sua sicurezza, la sua autorità, il suo fascino dico io, e questo a bordo di una barca ci sta… A terra, un po’ meno.
E allora come fai adesso?
Io mi sento skipper a casa mia, e lui continua a fare lo skipper come a bordo, allora ogni tanto abbiamo qualche diverbio…
Ma sono scontri solo dialettici, o no?
Si, tutto sommato abbiamo scoperto che, anche se ci scontriamo la metà del tempo, però in realtà non ci annoiamo. Sai, quando vedo le coppie avanti negli anni come noi, che si tengono per mano, che organizzano delle cose insieme, mi domando come mai noi non lo facciamo.
Però per voi è la stessa cosa identica: anziché tenervi per mano, è il vostro accettarvi per come siete che vi fa stare insieme.
Ogni tanto mi viene voglia di evadere, e penso che anche per Luciano sia lo stesso. Lui si rifugia nel suo studio, che hai visto, e io ogni tanto vado in Francia, in Toscana dagli amici, a Ginevra Insomma, una settimana di respiro…
Ti ricordi quali sarebbero stati i tuoi desiderata da giovane? Architetto di fama? Oppure?…
Volevo fare qualcosa che mi desse fama come architetto, e ho avuto la fortuna di fare dei lavori interessanti. Dopo l’università, negli anni ’70 mi sono trasferita a Milano, dove ho lavorato con architetti importanti, quali Enzo Mari e Sottsass. Allora a Milano si respirava un’atmosfera frizzante, con designer di talento che arrivavano dall’estero. Era molto stimolante.
Però Luciano aveva uno spirito insofferente, tant’è che ha lasciato Milano per il mare. Tu cosa hai lasciato?
Ho lasciato, appunto, una carriera che avrebbe potuto diventare importante.
A cosa riconduci il tuo cambiamento di donna… prima e dopo all’andar per mare… Ti sei sentita diversa? Ti riconosci in quella di prima?
Sì, certamente.
Cosa sapevi dei navigatori che negli anni 60 hanno fatto la storia della vela, Moitessier, Tabarly, Slocum, Peter Blake?
Moitessier era di attualità. A Ginevra la vela era considerata nella stampa locale: i miei colleghi erano velisti, e così ne sentivo parlare… ma non era un argomento che mi affascinasse, però m’incuriosiva.
E di Luciano cosa ti ha colpito?
Il personaggio, molto diverso dal mondo in cui vivevo io; non tanto perchè fosse uno skipper, ma per com’era taciturno, un po’ ermetico… così come lo è rimasto tuttora.
E adesso di lui cosa ti colpisce?
Che continua a coltivare, in gran parte in solitudine, le cose in cui crede fin da giovane: la musica, la grande letteratura, gli spazi tranquilli e puliti…
In Pacifico Luciano controlla lo spinnaker
Si può dire che siete ancora in navigazione?
Lui di certo… È molto esigente con gli altri, come lo è sempre stato con gli equipaggi; ma devo riconoscere che è esigente prima di tutto con se stesso… quasi sempre. Mentre io ho più il senso della realtà, e mi sembra di conoscere meglio le persone che mi trovo davanti.
Sì, anche a me è sembrato piuttosto severo… Ma ho avuto la piacevole sorpresa di essere accettato subito da lui. È vero, esige molto dagli altri perché lo fa soprattutto con se stesso, un po’ come sono io.
Ecco, sì, pretende tanto dagli altri, ma a volte è come se non capisse i particolari delle persone, che magari si rivelano poi non tanto amichevoli, o piacevoli o interessanti… Io sono più intuitiva, riesco a cogliere le sfumature, mentre Lui è forse troppo severo.
La sua severità è data anche dal rigore che impone l’attività che ha fatto: lo skipper ha sempre una responsabilità, e se non è severo, vorrei dire rigoroso, fa correre rischi alla barca e al suo equipaggio. Dopo tutto, anche a terra si rivela necessario esserlo…
Infatti, devo dire che ho sempre seguito alla lettera Luciano come skipper. Abbiamo navigato senza radio trasmittente in acque difficili, Capo Horn e i canali della Terra del Fuoco… Io ero inesperta, e le parole di Luciano: «In barca tu devi avere una mano per te e una per la barca, sempre, perchè se qui cadi in acqua sei spacciata» sono state la mia bibbia. Allora ero giovane, ed ero agile.
L’idea di cadere in mare e di non essere recuperata… no, per carità! Ho scoperto di avere un gran senso di sopravvivenza, e pur di non morire sono disposta a fare qualsiasi cosa. Questa certezza mi ha salvato, soprattutto durante il sequestro subìto a Panama.
A proposito di istinto di conservazione. Ricordo che quando abbiamo avuto l’incontro con i sequestratori ho pensato: a 29 anni non posso morire. Sapevo che avevano intenzione di farci fuori, ma c’è sempre una soluzione per scampare alla violenza. Avevo paura, però riuscivo a dominarla. Mi ripetevo: «Qui non dobbiamo perdere il lume della ragione, bisogna cogliere ogni istante, ogni possibilità di fare qualcosa, ma soprattutto non dobbiamo farci prendere dal panico».
Questa credo sia una tua caratteristica personale, che hai tirato fuori in quella circostanza. Ma la consapevolezza di averla ha influito nel tuo modo di navigare? Hai mai pensato di poter essere una skipper in seconda?
No. Ero un membro dell’equipaggio (l’unico a essere esatti), non ho mai protestato contro le scelte di Luciano, anzi, mi rendevo conto della validità di tutte le precauzioni che aveva anche nel preparare i viaggi. Un esempio: quando siamo partiti da Tahiti per scendere a Capo Horn, ha fatto montare una cupola sulla tuga del Guia… Aveva ragione: nei momenti più duri, abbiamo potuto timonare dall’interno. Non ho mai patito il freddo, anche perché ho una buona regolazione termica, so di non essere una persona delicata.
Dunque, quanti anni hai poi fatto in barca?
Cinque anni: siamo partiti da Antibes alla fine del ’74 e siamo tornati a Chiavari alla fine del ’79.
In quel periodo ti è mai mancata la terraferma?
Si, ogni tanto, anche se abbiamo fatto lunghe soste. Siamo rimasti un anno nella Polinesia francese, a Tahiti soprattutto, ma anche alle Marchesi e alle Tuamotu… Il piacere dell’avventura non mi faceva sentire la mancanza di una casa sulla terraferma.
Cosa ti ha spinto a mollare tutto e partire per Tahiti con Luciano?
La curiosità per quest’uomo, e il desiderio di una vita diversa, di esperienze diverse, come attraversare l’Atlantico a bordo di una barca a vela: un’esperienza così improbabile per quella che ero allora. Mi dicevo: «Lo fanno in tanti, e ora lo faccio anch’io».
Raccontami il tuo impatto con la barca a vela, la promiscuità in spazi ristretti. Per una donna di solito è più difficile rinunciare alla propria intimità.
Per me era più facile: a bordo c’eravamo solo noi due. Sul Guia avevamo quel giusto che ci serviva, non avevamo bagagli ingombranti… Anche se poi in Martinica abbiamo ospitato alcuni amici e abbiamo navigato fra le isole.
Hai conosciuto Giogio Falck?
Si, un uomo molto gradevole, accattivante, una sorta di vecchio ragazzo pure lui.
Come mai ha lasciato il Guia a Luciano?
Perchè era stato suo navigatore e skipper nella regata intorno al mondo, la Whitbread. Evidentemente Falck era soddisfatto dei risultati di Guia, la più piccola barca della flotta, e ha deciso di gratificarlo. Gli ha detto più o meno: «Ti lascio la barca per cinque anni, fai quello che vuoi, dove vuoi, ma allo scadere del quinto anno me la rendi»… Ed è ciò che abbiamo fatto.
Leò donna, navigatrice e madre… Come convivono?
Sono momenti della vita… da affrontare con la dovuta consapevolezza. Anche quando sono diventata madre ho fatto, sì, delle navigazioni con Joshua a bordo, ma non traversate dell’Atlantico. Ogni tanto raggiungevamo Luciano che era alle Baleari o in Martinica con un catamarano, e navigavamo noi tre da soli.
Joshua è nato nel 1988, avevamo già la casa qui. Luciano era in Nuova Zelanda, con una barca di Falck, e così quando Joshua è nato, con un mese di anticipo, Luciano non era presente. Ricordo che quando è nato bisognava dichiararlo all’anagrafe, e la levatrice mi diceva: «Ma signora, e suo marito?…» «Mio marito è in Nuova Zelanda» rispondevo, «arriverà a giorni». E siccome il padre non arrivava, alla fine mi disse: «Ma lei è una ragazza madre?». Non mi credeva più…
No, non ero una ragazza madre. Avevo avuto il coraggio di affrontare una gravidanza quando già avevo 41 anni. Luciano è poi arrivato, giusto in tempo per riconoscere il figlio…
Joshua: il coronamento di un sogno, lo avete voluto assieme?
Non proprio, è nato per caso. Quando non mi sono venute le mestruazioni, ho pensato “sarà una menopausa precoce”. Non mi immaginavo che invece… Conoscevo un ginecologo a Borgosesia e quando mi disse che ero incinta, un po’ mi spaventai per l’età che avevo. Gli domandai allora quale fosse stata la paziente più vecchia che aveva aiutato a partorire: «Una che di anni ne aveva 46, e inoltre tu sei in perfetta salute» mi rispose. Colsi dunque la mia ultima chance.
E Luciano cosa ha detto?
Luciano era contento. Quando gliel’ho comunicato, gli ho detto: «Aspetta ad annunciarlo, per scaramanzia… non si sa mai». Invece era talmente contento che cominciò a dirlo ad amici e parenti. E poi è stata una gravidanza perfetta.
E il nome Joshua, come la barca di Bernard Moitessier?
No… Eravamo nell’atollo di Ahe, alle prese con la costruzione dei due faré, quello per Bernard e quello per sua moglie. Sull’atollo viveva in quel periodo una coppia, lui francese e lei americana, con un figlio delizioso di cinque anni che si chiamava Joshua. Aveva un caschetto di capelli biondi e giocava nell’acqua senza nessuna paura: sdraiato sulla tavola da surf del padre, veniva sottobordo al Guia e mi chiamava… sapeva che gli avrei preparato una merenda appetitosa. Mi ci affezionai. Decisi che se mai avessi avuto un figlio lo avrei chiamato Joshua, come lui.
Il nostro Joshua dovrebbe arrivare il 20 dicembre da Tolosa ‒ dove vive e lavora da tre anni ‒ per passare il Natale con noi. Joshua ha un carattere molto simile al mio, e io ho un bel rapporto con lui… Gli abbiamo insegnato a essere un uomo libero, senza tanti pregiudizi. Ha un ottimo rapporto con le sue amiche. Per ora assomiglia poco al padre: Luciano è un misantropo e un egocentrico, mentre Joshua no. Gli amici lo apprezzano molto e gli vogliono bene. Diciamo che ha un bel carattere.
Sembra che Luciano faccia fatica a parlare di Joshua.
Perchè Joshua fa la sua vita… Io non tengo la contabilità delle sue telefonate dalla Francia… Meno male che non abbiamo avuto una figlia: Luciano sarebbe stato sicuramente geloso e apprensivo. I nostri tre gatti, per esempio, devono rientrare la sera e dormire a casa… Però, non vorrei essere fraintesa. In Luciano questo riflesso è come una deformazione professionale: l’ho visto più volte comportarsi allo stesso modo con qualche membro del suo equipaggio che rientrava a bordo all’alba, magari con la barca in cantiere, quando gli operai iniziavano a lavorare…
Hai conosciuto Moitesser? Cosa ti ricordi di lui?
L’ho conosciuto a Tahiti, era li in banchina a Papeete, mentre noi eravamo ospiti allo Yacht Club di Arue. Un giorno, mentre andavamo a fare spesa a Tahiti, lo abbiamo incontrato e Luciano lo ha invitato a pranzo sul Guia. Gli piacque subito la mia cucina, e così ogni tanto veniva a bordo.
Mi colpiva il suo modo di sedersi incrociando le gambe, un po’ da yoga, sulla panca, su un cuscino… Mangiava volentieri i miei piatti italiani, cucinati con i modesti mezzi di bordo, ma sosteneva che noi non sapevamo cucinare il riso. Lui veniva dalla vecchia Indocina, e allora ci spiegava le sue teorie sulla cottura del riso che dev’essere risciacquato almeno 15 volte. Poi, però, quando io gli preparavo un risotto con il riso che riuscivo a comprare, lui lo trovava buonissimo, e lo divorava. In seguito decise che voleva andare ad Ahe per provare a coltivare dei pomodori, anche se nessuno ci aveva mai provato. Ci disse che intendeva portare sacchi di terra e piantine da trapiantare… Alla fine ci convinse ad accompagnarlo con il Guia. Voleva stabilirsi lì con Helene, la seconda moglie conosciuta a Tahiti, e il loro figlio di quattro anni.
Io gli ho disegnato i piani dei due faré e Luciano lo ha aiutato nella costruzione. Bernard voleva sperimentare sempre nuove cose, che però non sempre andavano a buon fine… Un giorno lo abbiamo lasciato lì ad Ahe, e siamo tornati a Tahiti per poi scendere a Capo Horn.
Bernard era un bel personaggio, molto accattivante, che mi divertiva anche… Ma né per me né per Luciano era un “mito”, come dicono i giornalisti. Era un uomo, di certo un grande navigatore, che sapeva affascinare… Oppure lo rifiutavi in blocco, non c’era una via di mezzo.
Capo Horn a prua del Guia
Certo che Luciano ha conosciuto grandi navigatori. Tra Luciano e Moitessier c’è stato un rapporto abbastanza stretto. E Tabarly? L’hai conosciuto?
No, soltanto attraverso i racconti di Luciano.
E oggi chi è Leò? La donna di un navigatore, o una donna autonoma e indipendente.
Sono rimasta quella di sempre, di certo una donna autonoma e indipendente.
Che cosa ti contraddistingue? Se tu dovessi dire: questa è Leò…
Una donna libera, che ha scelto di vivere con Luciano.
Sei stata definita la donna “Architect with the hammer”, una star… Cosa ricordi di quella avventura a Panama? Hai avuto paura? Luciano ha scritto che deve a te la vostra salvezza.
Sul momento non ho fatto in tempo ad avere paura. Dopo, sì, ripensandoci ho avuto paura… Ma come ti spiegavo prima, era talmente grave la situazione che l’idea di morire, noi così giovani, protagonisti all’inizio della grande avventura… ecco, era assolutamente inaccettabile. Dunque dovevo assolutamente conservare il sangue freddo e rimanere il più lucida possibile.
Siamo stati fortunati perchè il socio dell’ungherese, il boliviano che accompagnava l’ideatore del sequestro, ha capito che il piano in effetti non si limitava a impossessarsi della barca, ma prevedeva di sopprimerci entrambi, prima Luciano e poi me, per non lasciare testimoni vivi… poi di sicuro l’ungherese avrebbe ucciso pure lui… In seguito abbiamo saputo che questo ungherese era ricercato dall’ Interpool, perchè ad Antibes aveva sequestrato una barca a vela con tre persone a bordo, e che le tre persone erano scomparse nel nulla.
Riguardo a questo episodio, Luciano ha scritto: «Uccidere ha sempre un senso». E vivere? Cosa pensi al riguardo, considerato che sei stata parte in causa nell’avventura?
Sì, per quegli uomini uccidere aveva un senso, negativo finchè vuoi, ma di certo lo aveva.
E per te uccidere loro ‒ quando finalmente avresti potuto farlo ‒ che senso avrebbe avuto?
Quando la situazione si è capovolta, io avevo una carabina carica e ho intimato all’ungherese di andarsene, di lasciare la barca… Ricordo che lui aveva dei bagagli e dei documenti che aveva messo ad asciugare in coperta. Voleva sicuramente falsificare qualcosa, e disse che voleva recuperare quelle cose prima di andarsene… A quel punto, sempre con la carabina puntata ho sganciato il gommone gli ho gridato che quella era la sua ultima chance. Allora si è tuffato e lo ha raggiunto.
Però, ecco il punto: decisi di non sparargli, anche se ero tentata di farlo sai… dopo 36 ore di angoscia. Però il cervello, quando sei in situazioni così al limite, funziona velocemente e ho pensato: «E poi questo cadavere… dovremo spiegare un sacco di cose». Insomma, tutt’al più avrei potuto sparargli in una gamba, però no, no, non è così facile sparare a qualcuno, anche per legittima difesa, e ho fatto l’unica scelta giusta. Luciano ha scritto una cosa che condivido in pieno: “Premere un grilletto è facile, ma poi non sei più lo stesso”.
Se pensiamo ai ragazzi giovani di oggi che sparano, che ammazzano, che accoltellano senza pensare a quello che fanno…
Continuo a riflettere su cosa significa e comporta sparare a una persona, fosse anche anche il peggior nemico… No, né io né Luciano l’avremmo mai fatto… Tuttavia, impugnare un’arma è stato decisivo per spaventare il sequestratore e convincerlo ad andarsene.
Luciano mi ha raccontato che è stata tua la scelta di vivere qui in montagna. In fin dei conti ti ritrovi nel tuo ambiente di origine, ma non ripiangi la vita in mare o quella che facevi a Ginevra?
In realtà questo non è il mio ambiente d’origine; anche se sono nata qui, ma sono andata via quando avevo appena due anni.
Sì e no. Soprattutto, non era il paese di adesso: nel dopoguerra non c’era niente, noi arrivavamo da Ginevra, mio padre aveva una Citroën di seconda mano, sai, come quella che aveva l’ispettore Maigret, che andava in moto con la manovella, e qui allora era l’unica macchina che parcheggiava in paese. La strada non era asfaltata. Arrivavamo dalla Svizzera con provviste di caffè, di zucchero e di cioccolato per i parenti. Questo per me era un posto esotico rispetto a Ginevra, dove invece vivevo e andavo a scuola, dove ero molto bene integrata e parlavo francese…
Non rimpiangi la vita in mare? I cinque anni vissuti in barca, a bordo del Guia…
Si, e no… Sai, qualche volta ho nostalgia di quel periodo, rimpiango il mare a bordo di una barca… Mi piacerebbe ancora, ma a patto di non fare tutte quelle fatiche, perchè oggi non sarei più in grado. Sì, mi piacerebbe essere a bordo di una barca, magari in un’isola tranquilla.
Verso la terra del fuoco
Ne hai mai parlato con Luciano? Potresti andare con lui.
No, non credo. Anche perchè quando si presenta l’occasione, magari l’invito di qualche armatore, lascio che ci vada Luciano, so che gli fa molto piacere. Così ci rilassiamo, ognuno nell’ambiente che preferisce… e la coppia può sopravvivere più serenamente.
Prima con lui abbiamo parlato di questo, perché anch’io ho appena venduto il mio Solaris, e gli ho chiesto come è possibile che con tutte le esperienze che ha avuto non lo chiamino, non lo cerchino?
Succede sì, ogni tanto, ma è lui che rifiuta… Credo per il timore di scoprire, una volta a bordo, una qualche incompatibilità di carattere con le persone. Accetta volentieri di navigare, ma possibilmente con il solo proprietario a bordo.
Mia moglie Wilma mi ha detto: «Adesso che siamo senza barca, andiamocene in qualche posto io e te». Pure tu, Leò, potresti dire: «Luciano, andiamo qualche mese in un’isola, torniamo magari in Polinesia», non ti viene mai questo pensiero?
No, anche perchè in questi ultimi anni abbiamo avuto molti impegni, non c’è stata nemmeno l’occasione di organizzare viaggi così impegnativi, anche come spesa.
Mentre Luciano scriveva il suo primo libro, sono andata a fare una rimpatriata a Ginevra per il 60° compleanno del mio carissimo amico Claude. Claude è gay, ci conosciamo da prima dell’università. Io arrivo a casa sua, andiamo alla festa di compleanno, e poi mi dice: «Rimani per il fine settimana? Ti faccio vedere la mia casa di campagna che ho comprato in Francia, un mezzo castello». E io rimango volentieri. «Ma non potresti fermarti un po’ di tempo?» insiste, «Ho un sacco di lavoro e avrei bisogno di un aiuto, devo ristrutturare lo chalet di Jonny Holiday a Gstaad. Ho tante altre commesse, tu potresti darmi una mano».
Mentre Luciano scriveva il suo primo libro, sono andata a fare una rimpatriata a Ginevra per il 60° compleanno del mio carissimo amico Claude. Claude è gay, ci conosciamo da prima dell’università. Io arrivo a casa sua, andiamo alla festa di compleanno, e poi mi dice: «Rimani per il fine settimana? Ti faccio vedere la mia casa di campagna che ho comprato in Francia, un mezzo castello». E io rimango volentieri. «Ma non potresti fermarti un po’ di tempo?» insiste, «Ho un sacco di lavoro e avrei bisogno di un aiuto, devo ristrutturare lo chalet di Jonny Holiday a Gstaad. Ho tante altre commesse, tu potresti darmi una mano».
Claude è arredatore, non è architetto, e conclude: «Sai, i disegni degli architetti fatti con il computer non mi piacciono affatto, capisco meglio i tuoi disegni fatti a mano».
«Va bene» gli ho risposto, «ma fammi tornare a casa a prendere due cose…ۥ» E così per due anni ho fatto la pendolare, mentre Luciano scriveva il suo libro.
Mi dispiaceva per Joshua, che faceva gli ultimi anni del liceo scientifico qui a Borgosesia; ma io tornavo ogni fine settimana, a volte dopo due settimane.
Io faccio fatica a rimanere sordo ai richiami del mare. Mi stupisce la tua scelta di vivere in modo tanto diverso da prima. Stanchezza di una vita girovaga? Oppure hai lasciato la barca per girare pagina? O è l’amore per Luciano?
Non saprei… Per girare pagina, forse. La prima idea fu quella di comprare una casa in Liguria, nell’entroterra, ma non siamo riusciti a realizzarla.
I miei da Ginevra, dopo la pensione, sono venuti ad abitare qui, in questa casa, mentre noi avevamo la mia casa natia, lì, nell’angolo della corte.
Abbiamo vissuto un primo periodo a Chiavari, perchè l’appartamento della madre di Luciano era vuoto. Dopo che ci siamo sistemati qui a Guardabosone abbiamo viaggiato parecchio, abbiamo fatto tanti trasferimenti di barche sia in Mediterraneo, sia attraverso l’Atlantico; ci siamo occupati anche di barche in allestimento. Io mi ero già occupata di interni di barche, anche all’estero,
Gli anni prima che arrivasse Joshua ci siamo mossi parecchio; e Luciano anche più di me, perchè ogni tanto io rimanevo qui da sola.
La tua filosofia di vita oggi?
Tutto sommato è rimasta quella di sempre: vivere un po’ alla giornata.
E la tua indole?
Ottimista. In ciò sono un buon contrappeso a Luciano: lui è un pessimista dichiarato. È proprio l’amore che muove il mondo? l’amore per un uomo, l’amore per la vita?
Non lo so… L’amore per la vita di certo, e anche la consapevolezza di vivere liberi, magari con poche risorse economiche, ma liberi di scegliere.
Pensando a quello che mi hai raccontato sulla diversità di carattere, ti è mai venuta voglia di dire… voglio stare da sola, voglio la mia vita?
A volte sì… però mi dispiacerebbe per Luciano. Non è facile da dire, ma sarebbe come rompere, tradire, quel patto di “equipaggio” che da cinquant’anni ormai ci lega… prima sul mare e poi in terra ferma.
Questo è vero amore.
Non lo so se è vero amore, perchè lui ha un carattere difficile, a volte lo detesto, mi dico basta, mi vien voglia di prendere le borse dell’Ikea, riempirle con le sue cose e buonanotte… Quando ero a Ginevra, 20 anni fa, ho pensato di buttarlo fuori di casa.
Sei contenta della vita che hai fatto? rifaresti le stesse scelte oggi?
Si, trovo che ho avuto finora una vita interessante, molto intensa.
Cosa ti ha dato il mare?
Un senso più profondo della vita… della vastità e complessità della vita.
Il mare e il navigare: sono in simbiosi o senza una barca il mare non è il mare?
Si, è vero… Stare in riva al mare a guardarlo mi dice ben poco. Il mare per me è una barca a vela e un’isola all’orizzonte.
Torneresti a vivere in barca pur di stare in mare?
No, non mi andrebbe più di vivere sempre in barca.
Vivresti in una houseboat sul mare? Te lo chiedo perché, sempre parlando di velisti, sono stato a trovare un mio amico nell’Oltrepò Pavese, e mi ha portato a mangiare sul fiume dove un suo amico ha comperato prima una barca di ferro cemento per farne un ristorante, poi una houseboat. Con la prima piena del fiume l’ha affossata sull’argine e quando l’acqua è discesa l’ha ancorata con cavi d’acciaio, e adesso vive lì, con tutta la fiancata di cristallo che guarda il fiume. Lo ha fatto perché così gli sembra di navigare.
Sei sicuro che non sia un po’ matto il tuo amico?… Scherzi a parte: no, sto bene qui… Anche se non mi dispiacerebbe avere la possibilità di spostarmi con una barca un paio di mesi all’anno.
Hai mai chiesto a Luciano di farlo? pensi che a lui non interesserebbe trasferirsi sul mare?
No, credo di no. Lui ha già scritto, e lo ripete spesso, che il mare lo porta dentro di sé.
Eppure il mare vi ha dato un passato talmente importante che sarebbe un ritorno agli inizi, a un ambiente che vi ha fatto conoscere ed amare.
È vero, e anche voi siete cambiati, ma siete sempre stati voi due insieme.
Si, ci sta la tua considerazione, però ci sta anche l’essere qui ora, tanto più che non sento nessun bisogno di ripartire lontano…
Penso che a volte sia utile andare a vedere cosa c’è dietro l’angolo… E se da una parte ho scelto di vendere la barca, perchè non potevo più navigare, dall’altra sono certo che tornerò a fare qualcosa di importante per me, che mi darà soddisfazione, gratificazione. So che mia moglie andrebbe via anche domani mattina, forse, e ha voglia di viaggiare con me, di fare cose nuove. Mi sembra di capire che a te è passata la voglia.
A proposito di angolo, Luciano dice che per fare nuove scoperte basta svoltare l’angolo della scrivania nel suo studio e guardare fuori dalla finestra “con occhi nuovi”. Sono d’accordo, lo capisco… A me comunque è venuta voglia di viaggiare, ma da sola, e adesso comincerò a farlo… Sono stata un po’ impedita per anni per problemi a un ginocchio. In realtà i miei viaggi sarebbero a casa di amici che ho sia in italia, sia all’estero, che m’invitano, e adesso che mi sento bene posso farlo.
Questo succede perchè non c’è una barca che ti obbliga ad andare, perché quando ce l’hai devi seguire il cuore ogni volta che “LEI” ti chiama, e devi buttare il cuore al di la di ogni ostacolo ascoltando il suo richiamo.
Sì, è un bel pensiero romantico… forse una volta, perché adesso devo anche dirti che Luciano sopporta male gli anni che ha sulle spalle… Ma non fraintendermi: lui ha tuttora uno spirito giovanile, ha ancora cose da fare davanti a se: soprattutto terminare il suo romanzo, «prima che diventi opera postuma», come mi ripete…
Quando gli dico che sono un po’ sorda, zoppa, e che non ci vedo quasi più, quando gli accenno alla mia vecchiaia, lui si irrita perchè evidentemente divento lo specchio del suo invecchiamento.
Sicuramente non ci pensa, e quando ci pensa continua a essere proiettato in avanti alla ricerca di qualche cosa, immerso nel silenzio del suo studio, tra i libri, i ricordi, la musica, la scrittura… Mi è sembrato che abbia una insoddisfazione di base continua. Mi ha fatto leggere alcune sue poesie, e mi sono anche emozionato: sono profonde, rispecchiano la sua filosofia. Lui è durissimo con se stesso, credo sia una caratteristica che ha “perfezionato” a bordo (mi fa pensare a ciò che mi ha raccontato di Tabarly a proposito di rigore). Mi ha detto che non le ha mai fatte leggere a Joshua. Gli ho suggerito che forse è giunto il momento per queste “confidenze tra padre e figlio… È vero ciò che mi dicevi prima: Luciano va stuzzicato, e se tu gli fai da sponda reagisce positivamente.
Il battibecco che c’è fra noi è in fondo una reazione con se stesso. In realtà ci intendiamo bene, ma io ho bisogno di un po’ di leggerezza.
Leggerezza: anche mia moglie mi dice la stessa cosa.
Il mio desiderio di evasione nasce anche da questo; quando sono con gli amici mi sento diversa, e mi piace fare delle cose separata da Luciano, per ricaricarmi.
La decisione più saggia che hai dovuto prendere.
Quella di non morire e di non uccidere, quand’eravamo a Panama.
Ci sono poche donne che navigano, tu avresti navigato senza Luciano?
No di certo. E ti confesso che in barca mi sentirei sicura solo con lui.
Raccontami un aneddoto sulla vita di bordo: due cuori e una capanna o due cuori e due capanne?
Due cuori e due capanne… Ma soprattutto due cuori e una barca, che ti riporta a terra.
Una paura, quella più grande.
Eravamo usciti dal canale di Beagle, dopo capo Horn, per andare sulla costa argentina. Era il mio turno, salgo, e non vedo nessuno in coperta… chiamo ma Luciano non risponde, penso che sia caduto in mare… c’era il pilota automatico… Lui invece si era addormentato quei pochi minuti, accucciato sotto la panca del pozzetto. Quella di rimanere da sola è stata la mia più grande paura in barca… avrei preferito cadere io in mare piuttosto che rimanere da sola sul Guia. Non ero in grado di navigare da sola.
Leò al timone del Guia, in avvicinamento a Capo Horn.
E adesso a terra… sempre due cuori e due capanne?
Sì, due cuori e due capanne.
Luciano mi ha raccontato che nei momenti di “freddo” tra voi due, si rintana nello suo studio e magari rimane lì anche tre giorni. Tu allora gli porti il rancio e glielo lasci sul tavolo in cucina. Cosa provi quando lui si isola in quel modo?
Ti sembrerà strano, ma mi fa solo un gran piacere.
Cosa ti piace della vita di adesso, sei felice?
Contenta sì, felice non so… Mi piace sentirmi in sicurezza, nel senso che non potrei più vivere in città; ci vado quando ne ho bisogno. Guardabosone è un cul-de-sac, la strada provinciale arriva in piazza e lì si ferma. Anche se sto da sola per giorni, mi tranquillizza sapere che non cè violenza attorno a me… Io sono stata svegliata a Balboa con una pistola sulla tempia ed un coltello sulla gola… Per me dormire tranquilla, anche se sola in casa, è importante. E qui mi sento sicura.
Ti manca qualcosa dei cinque anni a bordo del Guia?
Mi manca l’incontro con le persone. Ho trovato grande accoglienza in ogni porto; abbiamo fatto amicizie in Argentina, con le quali abbiamo mantenuto lunghi rapporti, e amici francesi incontrati in Venezuela dove ho lavorato quando la cassa di bordo era scarsa, e poi naturalmente a Tahiti.
Ti piaceva navigare?
Mi piaceva andare a vela, con gli alisei mi sembrava di andare veloce. Mi piaceva soprattutto osservare Luciano quando usava il sestante per fare il punto, e mi diceva che il tal giorno saremmo arrivati in Martinica, o alle Marchesi. E poi infatti vedevo spuntare la terra da dietro l’orizzonte, esattamente a prua, e trovavo prodigioso che ci si potesse orientare in quel modo, con quello strumento per me misterioso. Sentivo di vivere una vera avventura, ero soddisfatta dello skipper e di me stessa… Ogni giorno era una scoperta.
Siete insieme da 50 anni, una vita trascorsa con esperienze importanti, che lasciano a bocca aperta, o meglio a cuore aperto, perché nel cuore c’è sempre posto per chi ascoltandovi o leggendo di voi potrebbe sempre trovare il piacere di vivere… il mare.
Sono certo che molti amici che leggeranno di voi si ritroveranno sul Guia, in coperta con Luciano a fare il punto con il sestante, o sotto coperta a con Leò a preparare un caffè per lo skipper.
Grazie Leò, grazie Luciano.