mercoledì, Aprile 2, 2025

Aprile – Gazo Tersilio

Con Rotte di tutto il mondo ho intervistato skipper, navigatori e professionisti spesso poco conosciuti, con l’obiettivo non solo di dar loro voce ma di far conoscere come il mare può offrire non solo opportunità di lavoro ma realizzare il sogno di girare il mondo in barca……

Credo che, attraverso le interviste ed il file rouge che preparo per ogni persona che voglio conoscere e far conoscere, sia possibile capire come si è sviluppato il percorso di crescita di ognuno, quali siano stati gli elementi che hanno consentito di raggiungere una professionalità riconosciuta e crescere in un clima di rispetto dei principi, delle regole, dei rapporti e del modo di comunicare, elementi che oggi possono mancare come riferimento per affrontare una vita…e non solo di mare.
Ho conosciuto Gazo Tersilio quando navigavamo con Costa Armatori, imbarcati assieme sul Cesana, e già allora mi parlava solo di barche a vela e della sua passione per girare il mondo.
La nave faceva rotta con il Sud America, da Genova a Buenos Aires, ed ogni viaggio durava circa 2 mesi, con scali mediamente a La Spezia, Rio de Janeiro, Santos, Montevideo, Buenos Aires e Rosario, lungo il Rio Parana. Imbarcavamo all’andata merci alla rinfusa, e al ritorno o tutto grano, o tutto caffè o tutta carne congelata, noli ricchissimi.
Abbiamo avuto molto tempo per conoscerci, anche per frequentarci specie da giovani, e la mia ammirazione per la sua serietà di comandante è sempre stata oggetto di esempio e segnalazione per quanti mi chiedevano informazioni sulla vita di uno skipper di Yacht, o sulle scelte da intraprendere  dopo aver fatto l’istituto nautico.
D’altronde anche nelle interviste finora fatte quante volte ho incontrato ex capitani di lungo corso: Alex Carozzo, Nini Sanna, Andrea Pendibene .
Allora Moitessier stava diventando un mito che molti di noi hanno poi cercato di emulare…
Ma lasciamo che sia lui a raccontare la sua storia.

1 – Chi è oggi Gazo Tersilio?

Mi chiamo Terzilio Gazo, altrimenti conosciuto come Ilio, nato a Imperia Porto Maurizio il 16/12/1947. Sono, o meglio, mi sento un marinaio con una discreta esperienza, in pensione da una decina di anni, che ha parzialmente esaudito i suoi sogni giovanili…
Ora navigo col mio Moana 27/30.

2 – Quando hai capito di avere acqua salata nelle vene?

Sono nato a pochi metri dal mare. Mio nonno paterno, bottaio, contadino e pescatore, mio padre impiegato e per passione velista, da giovane regatava con suo fratello su una deriva, a qui tempi la serie si chiamava 4,50 o semplicemente S, di legno con vele di cotone.
Spesso mio padre mi raccontava delle sue regate, come si va di bolina, come si vira, le varie andature e io sognavo. In famiglia due fratelli di mia nonna erano comandanti di navi a vela e spesso uno di loro mi raccontava delle sue navigazioni ed io ricordo che ero estasiato.
Già allora avevo deciso di fare il nautico.
Penso che la mia passione per il mare e la vela una parte sia nel Dna, l’altra dovuta al fatto che sono cresciuto nella borgata La Marina dove il mare era lì davanti, tutto parlava di mare, pesca, vela, navi che arrivavano in porto per commercio, spesso olio.

3 – Come ti sei avvicinato alla vela?

Ancora ragazzino “rubavo” la barca a mio padre quando era al lavoro e facevo vela, prima con il solo paiolo messo in verticale, poi con attrezzatura varia trovata nel magazzino feci una vela latina e navigavo come potevo per tornare poi a remi al porto.
A Porto Maurizio c’era il Circolo Velico Imperia il cui “capo” conosciuto da tutti come ” U Maistru”, maestro di scuola elementare. Un giorno, vedendomi passare sullo scalo, mi chiamò chiedendomi se volevo andare a vela, al che subito entrai nel circolo dove si stava svolgendo l’ultima lezione del primo corso Olimpia (nato dalla USVI, oggi FIV).
Un istruttore chiese chi volesse fare la prima uscita in barca, cosi alzai la mano e …. fui l’unico! Due giorni dopo, all’ora stabilita, mi recai sullo scalo dove l’istruttore mi attendeva accanto a una barca a vela, un Finn, già armata: la varammo e mi mise subito al timone. Ero un po’ intimorito ma fiducioso di avere vicino un adulto, avrà avuto 20 anni o poco più.  Mi ordina di dirigere al molo corto dove era ormeggiata la passera del padre per prendere una maglia…e cosi feci.
Quella estate la passai a veleggiare col Finn, barca molto fisica, soprattutto per me che al tempo sarò stato ca. 40/45 chili, e spesso rischiavo di scuffiare.
Mio padre, vedendomi sul Fin, disse agli amici del circolo che non sapeva chi era più incosciente: io a uscire o loro…
Poi arrivarono i Flying Junior per la scuola vela e per le regate.
Feci molte regate col FJ locali e zonali, campionato italiano, selezione regionale con la quale i primi 10 sarebbero stati ammessi alle regate pre-olimpiche. Arrivai quinto alle regionali e fui ammesso alle regate preolimpiche a Porto Novo, Ancona, base della Usvi. Purtroppo a Porto Novo vi erano i migliori velisti italiani, gli Isemburg,  Bolens, Mauro Pelaschier etc… e non mi classificai…
Continuai a fare vela e regate anche su barche più grosse e passai alcune estati imbarcato da marinaio su alcuni yachts di base a Imperia.

4 – Cosa sognavi di fare da grande?

Non devo forzare la mia memoria……. se fossi nato in montagna avrei sognato di diventare sciatore o meglio scalatore, già da piccolo scalavo gli alberi da frutta del giardino, poi gli alberi delle barche perchè sono nato in mare.
Per un certo periodo abbiamo ospitato in casa nostra uno zio di mio padre comandante di navi a vela prima e poi vapore, in pensione.
Spesso mi facevo raccontare dei suoi viaggi in Oceano e lui era ben contento che io gli facessi rivivere i suoi ricordi. Non sono stati solo quei racconti che mi hanno fatto sognare, ma mi hanno aiutato più tardi a scegliere, dopo la scuola media, l’Istituto Nautico.
In effetti per me non è stato facile per il semplice motivo che non amavo studiare, ma alla fine mi sono diplomato. Il mio destino l’ho scelto con decisione e passione, anche aiutato da mio padre che, per inciso, è sempre stato orgoglioso e felice della mia scelta.

5 – Già allora ti piaceva andare in barca a vela?

Certo, come già accennato mi ha sempre attirato il fatto cha la barca si muove  quasi senza rumore, a parte lo sciacquio del mare sullo scafo, e puonavigare virtualmente senza sosta e senza costi di gasolio (sono ligure!)  e, ancora oggi, navigando a vela provo una sensazione magica, qualcosa che mi è difficile spiegare.
Sarà quella grande massa di liquido che hai attorno sulla quale scivoli spinto da una forza invisibile? L’immensità dello spazio in cui ti muovi senza apparente fatica, spesso in solitario…. mi viene da urlare dalla gioia e vorrei continuare all’infinito ……poi mi sveglio e….devo fare cambusa, l’acqua scarseggia e, non ultimo, devo dormire una notte intera…. Però per me la vela rimane una magia, le albe, i tramonti, la navigazione, che sia bolina, quasi sempre…guarda un po’, o di poppa.
Oltre a questo c’è la sintonia con la tua barca …e anche quella è magia.

6 – Raccontami delle tue prime esperienze da velista … eri anche… armatore?

A oggi ho avuto quattro barche a vela.
La prima un Golif cantere Jouet, francese, 6,48 mt. x 2mt. ca di larghezza, 1,30 mt. pescaggio, motore fb.2 tempi 5hp, bombola cucina su supporto cardanico, Wc tra le cuccette di prua, una batteria da moto per la luce bussola e una lampada a petrolio appesa al paterazzo.
L’ho comperata dopo essermi sposato e sono partito con mia moglie da Imperia per l’isola d’Elba: quattro giorni per arrivare……avevo paura che mia moglie volesse già allora divorziare.
La prima notte ho strappato la randa, vecchia, sostituita con una di fortuna di una barca più grande che rattoppai alla meglio prima di partire.
Ho fatto il giro dell’Elba, Macinaggio ma non potevo fermarmi in Capraia, (era oltre le 6 Mgl.), poi diretto a- Imperia e credo di aver navigato per 27 ore per coprire ca. 90 mgl……

La seconda barca, Tramontana, un Ketch irlandese, 15mt. con tre soci.
Il Tramontana a Imperia era un mito; io e tutti miei amici velisti di Imperia abbiamo navigato sul Tramontana, soprattutto quando c’era ventone …….una nave scuola.
Alternavamo i periodi di utilizzo, e durante una crociera dei miei soci, dall’Elba a La Spezia, presero una vera burrasca e finirono spiaggiati ad Antignano: barca persa, demolita in parte dallo sbattere sui ciottoli per tre giorni e poi tagliata a pezzi.
Fine della storia, mai più società.
Le foto dello spiaggiamento sono pubblicate su una rivista di nautica; titolo: la fine di Tramontana.
E pensare che con mia moglie abbiamo vissuto un anno sul Tramontana a Savona, con un gatto e, dopo averlo ripristinato, con il caminetto a legna.
Il primo mattino ho trovato un po’ di persone in banchina a guardare il fumo che usciva dal camino e siamo anche finiti sul giornale locale come la coppia e il gatto che vivono in barca.

Terza barca: ero imbarcato su un Ketch di 22 mt. costruito dai cantieri Sangermani di proprietà di una contessa francese, rimessato presso il cantiere Sangermani per lavori vari, seguivo i lavori e spesso bighellonavo nei capannoni del cantiere. Rimasi fulminato da un Sangermani, in fondo a un capannone, in stato di abbandono, molto molto bello. Chiedo a Cesare Sangermani, amico da anni, informazioni, e cosi vengo a sapere che la barca è sotto sequestro.
Non racconto la trafila …..alla fine ho pagato il dissequestro al proprietario. La barca aveva qualche comento aperto, le vernici non esistevano più o quasi, l’albero per fortuna era di alluminio, il motore Volvo, le vele …boh….e ordino a Cesare di listellare i comenti più critici.
A fine estate sbarco e vado a Lavagna in cantiere a preparare per il varo, resettare e pulire gli interni. Variamo la barca e per tre giorni resto sequestrato a bordo con una pompa 220 volt, un tubo fuori dall’oblò. Ogni 20/ 30 minuti pompo le sentine, poi, il fasciame inizia a stagnarsi e corro in via dei Devoto a comperare un panino …….
Qualche giorno dopo, era novembre, con un meteo decente parto per Imperia; avevo già inviato con un camion l’invaso presso un cantiere in modo da mettere immediatamente la barca a terra.
Questo perchè non avevo documenti validi per navigare, dotazioni, Rina, etc. Al traverso di Genova, a qualche miglio dalla costa, il vento molla. A quel punto non mi rimane che accendere il motore, ingrano la marcia avanti e dopo qualche minuto sento un rumore strano….  resto alcuni minuti pensieroso e decido di vedere cosa è successo. Con le poche vibrazioni il motore ha tranciato tutti e 4 silent block. Il motore è tenuto lì solo dall’asse dell’elica!!   Non potevo rimanere fermo fuori Genova, se fosse arrivata la Capitaneria mi avrebbe sequestrato la barca.
Torno lentamente a Lavagna e decido di disalberare, caricare la barca su un camion e portarla a Imperia.
Finalmente con la barca a secco, coperta con due teloni, inizio i lavori. Bruciata tutta la antivegetativa, carteggiatura e passato due mani di epossidica West System, sbarco motore per una verifica generale, visita Rina, nuova registrazione col nome di origine, Ultima Dea (nome dato da Cesarino Sangermani), ri-pitturazione sentine, madieri…la lista è lunga.
Alla fine il varo dopo un inverno di casa-lavoro, lavoro-casa.
Barca molto bella ma mi rendo conto che Ultima Dea, 12 mt. chiglia lunga degli anni ’60, era nata per regatare, non per fare il giro del mondo……. così decisi di venderla.
Fortuna che aveva un bel pedigree. Un mese dopo venne acquistata da un signore siciliano che la portò a casa sua.

Ultima barca: nel 2010 lo yacht su cui ero comandante, Benetti 45 mt., viene venduto a un armatore inglese già col suo equipaggio. Decido di terminare la mia carriera, avevo 64 anni e per gli armatori ero già vecchio.
Tra il 2010 e 2011 giro da Grado a Marsiglia a vedere barche a vela.
A Viareggio si trovava un Vancouver 28 in vendita ma il proprietario chiedeva una cifra assurda, cosi mi recai alla Crew Network a salutare gli amici e vedere le richieste di comando. Uscii dagli uffici e incontrai un amico, Ciccio Manzoli. Chiacchierando mi disse: prenditi un Moanino, le boline più belle le ho fatte col Moana!
Tornato a casa, su internet ne trovai due, una a La Spezia l’altra a Ostia. Inviai una mail a Ostia e concordai una visita (il cell. di La Spezia non mi rispose mai). La barca, Flash, si trovava a terra nel cantiere Alta marea. Quell’inverno ne avevo viste di barche!  perciò, un po’ per disperazione, con un anticipo fermai la barca.

Da quel giorno ho solo avuto grandi soddisfazioni a navigare con Green Flash (ho cambiato nome, Flash non mi piaceva!) e già dalla prima tratta, Ostia isola d’Elba, ho capito che era la mia barca.
…e la storia continua… 

7 – Le tue barche: le usavi solo per veleggiare o anche per viverci?

Come già scritto tra le quattro barche a vela da me possedute una sola la usai anche per viverci, le altre solo per crociere più o meno lunghe.
Premetto che Il Tramontana a Imperia è stata una “nave scuola”, io e tutti i miei amici che hanno fatto vela sono passati sul Tramontana …

Il Tramontana era un ketch di 15 mt. con un dislocamento di ca. 25 ton. tutta in legno, pitch pine su ordinate di rovere, interni in mogano e coperta in pino con i comenti catramati; questo perchè fu varata nel 1947, casualmente anno della mia nascita, e la sua costruzione iniziò 1 o 2 anni prima del varo, quando allora il teak non era reperibile.
Nella documentazione che si trovava a bordo trovai un articolo di yachting world, non ricordo la data, forse 1952, sul Tramontana, che in origine si chiamava Irish Maid, Ragazza Irlandese. Riportava alcuni particolari che oggi suonano strani: facilmente governabile anche in equipaggi ridotti, il boma era quasi 12mt. di lunghezza, non aveva pilota automatico.  L’asse della ruota del timone attraversava l’albero di mezzana e finiva dentro un cassone che nascondeva una doppia vite senza fine vite che agiva su una croce solidale all’asse del timone (il timone recuperato dal naufragio è nel mio soggiorno). Nel 1951 era arrivata terza al Fastnet, prima carena a coppa di champagne.
A parte tutto questo era una barca straordinaria.
La prima, e ultima, crociera che feci: il mio equipaggio era formato da me, mia moglie Marisa, una coppia di amici genovesi senza alcuna esperienza di mare e un amico musicista, chitarra classica, che nelle varie soste, alla sera in pozzetto, richiamava tutto il vicinato, nautico, a sentirlo suonare.
Il Tramontana ci portò in Corsica, Bocche di Bonifacio, nord Sardegna e ritorno verso nord, quindi da Bastia partimmo per Imperia. Prendemmo una bella libecciata, l’equipaggio non la prese bene, mal di mare, ricordo che feci quasi una ventina di ore al timone, molto duro, ma il Tramontana ci portò casa.

L’inverno successivo portai il Tramontana a Savona, nella vecchia darsena, e la utilizzammo come casa, col caminetto e il gatto. Fu un bel periodo, incontrammo molti amici nuovi, serate davanti al fuoco, Savona in inverno è fredda e abbiamo avuta la neve in coperta e gli alberi, la faccia a nord, ghiacciata. Durante il giorno andavamo a lavorare, il gatto faceva le sue esplorazioni sulle altre barche del pontile e spesso andava a dormire sotto a qualche tender…..

Con il Golif, essendo solo 6.48 mt., mi sono lanciato nella mia prima crociera da “armatore”: Imperia /is. d’Elba, molto a vela perchè il fb sporcava le candele e, si spegneva spesso e abbiamo impiegato c.a quattro giorni. Ricordo all’arrivo a Marina di Campo, appena ormeggiati, scendemmo a fare colazione al bar ed io dovetti tornare a bordo perchè, mi capita spesso, pativo il mal di terra e vi garantisco che si sta male. Navigammo a tappe attorno all’isola, poi saltai Capraia perchè potevo navigare nelle 6 mgl., e dalla Fetovaia arrivammo a Macinaggio da dove ritornammo a Imperia,

Con Ultima Dea praticamente non ho navigato. Ho lavorato sodo per un inverno. Feci una uscita a motore per provarla dopo i lavori. Un amico che la portò in Sicilia al nuovo armatore mi disse che era veloce.

Green flash è tutta un’altra storia….

8 – L’istituto nautico: avevi già deciso che da grande avresti navigato sulle navi?

Penso che già da piccolo volevo navigare e per quel po’ di acqua salata nelle vene, mio padre spesso mi portava in barca a pescare, ho imparato prima a vogare che nuotare, le storie che mi raccontava il comandante, zio di mio padre, che con i suoi racconti mi faceva sognare; più tardi scoprii che quelli erano solo sogni, mi ero costruito una visione del navigare un po’ troppo romantica, ero anche troppo giovane. Dopo le medie dissi ai miei genitori che desideravo “andare al Nautico”, e mio padre mi portò ad incontrare un altro zio, Ideale Capasso, per capire se ero sicuro della mia scelta.
Ideale Capasso è stato l’autore dei primi testi di navigazione e sui quali tutti gli allievi del Nautico di Imperia hanno studiato, e mi spiegò quanto non era facile quella scuola.
In effetti il Nautico ha materie, quali trigonometria sferica, magnetismo, navigazione……, che vengono studiate solo in quella scuola.
Mi diplomai, quasi nella media, dopo 6 anni. In quarta venni rimandato poi bocciato……
In quinta decisi di studiare seriamente, anche perchè volevo diplomarmi e navigare.
Quattro mesi dopo il diploma, mi imbarcai da allievo Uff.le sul Maria Costa…

9 – Raccontami del tuo primo imbarco… da allievo ufficiale

Non ho un buon ricordo del primo imbarco da allievo.
Il Maria Costa era a Livorno e dovetti andare in taxi da Imperia a Genova, in capitaneria per l’imbarco, a causa di uno sciopero generale degli anni ’60……; era una turbo nave, con una turbina a vapore che sviluppava 12000 Cv. e portava il Maria Costa a navigare a mezzo carico, alla velocità di ca. 17 Knt.
Arrivai a bordo un po’ spaesato, nave di ca. 180 mt., era scarica e sembrava ancora più grande. Mi resi conto che l’atmosfera era strana, gli altri ufficiali mi guardavano in modo che capii solo dopo qualche settimana. Io dipendevo dal 1 ufficiale di coperta, molto conosciuto in Compagnia e soprattutto dagli allievi.
Ci presentammo e mi spiegò le mie mansioni in coperta, in manovra, etc.
Il Maria C. nave da merce varia e con tre tank e per olii e liquidi vari, ricordo sempre l’odore che si propagava anche nelle cabine quando caricavamo sevo liquefatto col vapore ……., oltre a macchinari, scarpe. A Livorno imbarcavamo frigoriferi, lavatrici etc…
I viaggi erano tra Genova New York con soste in altri porti della costa est degli USA.
Caricammo tabacco nel Chesapeake, Baltimora, Newark…….mezzi bellici…….
Ricordo bene due aneddoti: uno dei miei incarichi era “fare il piano di carico delle varie stive” che doveva essere in inglese, ed il primo ufficiale mi disse che lui parlava correttamente l’inglese, ma scoprii che non era vero, perché un giorno, nella sua cabina, attigua alla mia, mi chiese   ” come si scrive Twin deck?” 

La motonave Maria C.

In navigazione da Genova per New York, eravamo nello Stretto di Gibilterra con pilota automatico, 1 Uff.le di guardia ed io, su suo ordine, al carteggio a scrivere il giornale di bordo. Improvvisamente mi chiama a gran voce, mi precipito in plancia (il carteggio era a poppavia del ponte di comando) e vedo il 1 Uff.le che cercava di accostare col pilota che apparentemente non reagiva, perchè eravamo in rotta di collisione con un peschereccio.
Mi precipito sulle valvole della timoneria a mettere il timone in manuale per accostare onde evitare un disastro: lui era in panico e non sapeva come fare, perché……… per passare da timone a mano a pilota automatico e viceversa, si doveva agire manualmente sulle valvole che erano ben visibili sulla colonnina della ruota del timone e la manovra non era veloce.
Dopo qualche mese sul Maria C. sono stato sbarcato, dal 1 Uff.le, come i miei predecessori……  e mi sono imbarcato sulla motonave Cesana per il sud America

La motonave Cesana

 

10 – C’era compatibilità fra la voglia di realizzarti come Comandante di una nave e quello di realizzare il sogno del… giro del mondo?

Quando avevo circa 16   anni mi “imbarcai” su yachts a vela di stanza a Imperia, proprietari di Torino, come mozzo, marinaio. A quel tempo andavo già in vela su Fin e regatavo sui Flying Junior.
Durante l’estate andavo in crociera con lo Yara o il Mabruk il cui proprietario era “il Comandante”, napoletano di nascita, gran signore, che tanto mi ha insegnato e non solo di mare…

E’ stato per me il primo comandante. Il Mabruk era un gozzo napoletano di 11 mt. con un bulbo, armata a goletta con una infinità di vele: due fiocchi a prua, la civada sotto al bompresso, vela quadra, carbonera e americana ed infine la randa maestra. Dopo qualche anno arrivai alla marina Mercantile con la compagnia Costa.
Dopo un paio di imbarchi feci un bilancio: ero felice di quella esperienza, imparai a fare il punto con le stelle e la Meridiana (a scuola era pura teoria), sbrigavo le pratiche consolari, mi occupavo di tutte le mansioni dell’allievo Uff.le e forse anche più. Ma quello non era il mio andar per mare che sentivo distante.
Inoltre anche la vita sentimentale ne soffriva.
Le mie esperienze su piccoli yachts a vela erano ben diverse, feci varie regate e navigazioni d’altura, se pur in Mediterraneo, ma mi soddisfacevano più che una transatlantica su un cargo.
Quando sbarcai, non ricordo se dopo 14 o 15 mesi dalla M/n Cesana, la Compagnia mi promosse terzo uff.le e un imbarco su una nave passeggeri, avevo fatto l’esame del patentino e il corso rada, rifiutai.

So che potrebbe non sembrare simpatico un mio inserimento, a questo punto, dell’intervista, ma come ho anticipato nell’introduzione è stato a bordo del Cesana che ho conosciuto Ilio: io terzo ufficiale, e lui allievo…. Ricordo le serate in  coperta a fargli compagnia dalle 20 alle 24, a parlare di barche a vela, di sogni che  volevamo ambedue realizzare, e lo struggimento nel sapere che in quel momento erano sogni…ma ci rendevano più stimolante la navigazione….Almeno lui, quando sbarcava, sapeva di avere una barca a vela che lo aspettava, io invece nonostante chiedessi sempre al mio amico Gianfranco Curatolo di trovarmi una barca a vela da affittare, ricevevo sempre la stessa risposta: <<qui a Genova non ci sono armatori che affittano la barca..sono tutti proprietari e gelosi>>…. Allora non esisteva ancora il charter e ho dovuto attendere molti anni prima di avere una barca tutta mia. 

11 – Cosa ti piaceva di più del navigare su una nave? Che sensazioni ti dava stare sul ponte o sul posto di manovra?

Il lato positivo del navigare a quel tempo stava nel fatto che ti dicevano ” imbarcati, girerai il mondo”, ma in effetti giravi le banchine!!
La navigazione, soprattutto di notte, in mezzo all’Atlantico, aveva il suo fascino, cieli stellati, cercavo di riconoscere le varie costellazioni e stelle, cosa che aiutava per il punto astronomico, sempre a scrutare l’orizzonte in cerca di qualche bersaglio…… a quel tempo il radar era ad uso esclusivo del Com.te.
In oceano, nelle belle notti tropicali di guardia, sull’aletta, i pensieri andavano a mille, chi avevi lasciato a casa, come sarà e che farai in futuro, ma spesso mi sono pensato li, solo in mezzo all’oceano, ma su una barca a vela……e quando trovavamo mare mosso cercavo di capire come mi sarei comportato su una mia ipotetica barchetta a vela…
Spesso nei tropici si faceva una festa a poppa: l’asado con la carne argentina.
Un fusto tagliato a metà e la griglia era pronta, a Baires chi era libero comprava la carne e spesso il caricatore regalava qualche filetto. Era una festa tra uomini, a poppa, con il rumore e le vibrazioni dell’elica a mangiare buona carne e bere Seven up…l’alcol era proibito poichè chi doveva fare la guardia doveva essere sveglio e ……. sobrio.
Ho avuto qualche serata di festa, a Baires, che però si pagava il mattino successivo: tornare a bordo alle sette di mattino e essere in coperta a controllare la caricazione alle sette e mezza ……. oggi non lo farei……
Altra storia erano le manovre di banchina: le navi, allora, per ormeggiare e disormeggiare dovevano essere aiutate dai rimorchiatori; la messa in moto era ad aria compressa e l’elica a presa diretta, cioè quando il motore partiva l’elica girava in avanti. Per fermarsi si doveva spegnere il motore e per la retromarcia, in sala macchine dovevano cambiare la posizione delle valvole e riavviare il motore in senso opposto.
La mia mansione in manovra era di passare gli ordini alla sala macchine agendo sul telegrafo di macchina, mentre l’ordine vocale era portato dal tubo che collegava la plancia con la sala macchine.
Qualche volta ho sostituito il 2 Uff.le in manovra a poppa: con una radio, non ricordo se fosse un VHF portatile, si seguivano gli ordini del Com.te per passare i cavi al rimorchiatore o a terra.
Dopo le prime manovre e qualche giorno di navigazione tutto diventa routine e, a parte qualche incidente di percorso, sia la guardia di notte che le manovre sono la norma.
Forse l’unica differenza è se si arriva o si parte …….anche senza forse.

12 – Durante le traversate oceaniche, magari di notte di guardia: tu, la nave ed il mare…quali pensieri?

In navigazione sulle navi, quando ero di guardia dalle 04 alle 08 e dalle 16 alle 20 o durante le notti, dopo il punto nave con le stelle c’era solo da fare la guardia di navigazione, spostare gli orologi di bordo, calcolare l’errore della girobussola…
In genere stavo su una aletta opposta a quella del marinaio o del primo Uff.le così da isolarmi e lasciare libera la fantasia e i pensieri. Con un occhio all’orizzonte, spesso deserto, rimanevo a guardare la luna e le stelle; i pensieri si accavallavano …. cosa farò della mia vita? sarò un giorno comandante? Oltre alla parte professionale i miei pensieri vagavano dalla famiglia che un giorno   avrei avuto, al chiedermi se dopo avrei ancora voluto navigare!!
Inoltre e comunque il desiderio di navigare sull’oceano con una mia barca a vela era sempre presente, e quando trovavamo cattivo tempo o semplicemente negli alisei contrari, mi chiedevo come avrei navigato con la mia vela.
In testa avevo un minestrone di pensieri e idee. Ero giovane, dovevo e volevo fare più esperienze possibili, soprattutto quelle legate alla mia passione per il mare. Una altra incognita era quella della famiglia: non mi vedevo a navigare con una   moglie e figli a casa…
Quello era un tarlo che, visto da varie angolazioni, dava solo una risposta: non farsi venire ” la malattia del ferro”…
Però mi presi la malattia della vela.

13 – Ti è mai mancata la possibilità di vivere i sentimenti?

La lontananza per i marittimi è da sempre stata un problema. Con la navigazione a vela capitava anche che un marinaio ritornasse a casa per trovare un figlio già svezzato…..
Io ho iniziato presto ad allontanarmi da casa.
I primi imbarchi da marinaio duravano al massimo un paio di mesi. Conobbi quella che poi sarebbe diventata mia moglie, non avevo ancora 18 anni. e quindi già allora dovetti abituarmi al distacco, per altro più pesante visto la mia giovane età.
Col tempo ci si abitua.
I sentimenti allora si vivevano attraverso lettere e, con un po’di fortuna, qualche telefonata. La parte più dura fu quando iniziai a navigare veramente. Ricordo gli arrivi a casa per una sera e il distacco alla stazione per tornare a bordo. Gli addii erano per qualche mese…
Dopo lo sbarco dal Cesana fui, purtroppo, chiamato a fare il Militare in Marina: lo avevo scansato per 2 anni, grazie a mio fratello che mi iscrisse all’università di Genova a …lingue, ma non avendo mai sostenuto un esame mi arrivò la famosa cartolina. Non volevo fare il militare, e al Car di La Spezia chiesi al Com.te di farmi entrare nella Sezione Velica Marina Militare e lui mi invitò per una uscita sulla sua Star. Chiaramente voleva verificare le mie capacità, e per una decina di giorni uscimmo nel golfo di La Spezia tutti i pomeriggi.
Ricordo molto bene quando, l’ultimo giorno di bolina, mi disse che aveva provato a portarmi nella SVMM, sul Corsaro, ma purtroppo avevo già la destinazione e “che destinazione!! “: nave Bafile, Battaglione San Marco.  Seguì, un anno dopo, Fregata Castore, fino al congedo.
Poco dopo mi sposai ed iniziai una nuova vita a terra. Sembrerebbe una bella favola, ma al contrario, pur inizialmente lavorando in banchina addetto allo sbarco delle bettoline che trasportavano olio, mi mancava sempre qualcosa.
In effetti quel periodo ero sempre a casa, avevo una vita normale, gli affetti vicino, ma ero insoddisfatto e il gioco del matrimonio si ruppe.
Senza più legami e patimenti ripartii in mare.
Ora, adulto, per non dire anziano, mi rendo conto quanto ho fatto soffrire con le mie assenze chi mi era vicino, e quanto io abbia sofferto il dover fare un lavoro, che sarebbe stato per una grossa parte della vita, che mi avrebbe fatto sentire frustrato.
Tra i sentimenti e il mare ho scelto quest’ultimo.….. per passione.

14 – Come riuscivi a conciliare gli imbarchi con la vita privata? Per me è stata una delle decisioni che mi ha spinto a smettere di navigare…

Dalla mia separazione ripresi a navigare su vari yachts e su varie rotte.
Ero tornato single per cui godevo di una incredibile libertà, ho trascorso periodi lontano da casa molto più lunghi di quando ero sulle navi, ma non avevo legami duraturi; l’unico legame erano la mia famiglia, mio fratello e i miei genitori di mezza età, in buona salute.
A volte erano un po’ in pensiero per me ……..nella norma……

15 – Riuscivi ad essere in equilibrio fra il ruolo di ufficiale e l’uomo senza la sua libertà, perchè comunque a bordo sei sempre vestito del ruolo…

Non è facilissimo fare il comandante, soprattutto a bordo dei mega o super yachts, con 10 / 15 o più persone di equipaggio.
A bordo sei l’uomo al comando, a volte costretto a compromessi, bisogna essere imparziali, giusti, coerenti, disponibili e, senza dimenticare, capaci. Non solo nel navigare.
Devi avere la stima del tuo equipaggio e con quella raggiungi l’equilibrio dell’uomo al comando.

16 – Come è maturata la decisione di abbandonare le navi ed imbarcarti sulle barche…a vela o motore?

Dopo la separazione da mia moglie abbandonai il lavoro a terra.
Non ricordo come, a quel tempo non esistevano cellulari, ricevetti una proposta di comando su uno yacht a motore, ventisei mt., grande per quei tempi. Avevo fatto solo il marinaio su barche a vela, l’allievo nautico su un barcone per turisti di 20 mt. e l’allievo Uff.le.
Incontrai l’armatore a Montecarlo il quale mi chiese se avessi esperienza su m/y di quel tipo e io, senza pensarci in maniera decisa risposi “si”…
In quel frangente giocò il fatto che non mi fu chiesto alcun C.V.
Imbarcai a libretto, bandiera italiana, e dopo un paio di settimane partimmo per le Baleari.
L’equipaggio era composto da me. Com.te, un motorista e l’autista dell’armatore in qualità di marinaio.
Alla partenza capii che il motorista non era motorista, l’autista era autista e io non avevo nessuna esperienza di quei cassoni a motore.
Appena fuori del porto di Cap D’Ail mi resi conto che il timone non funzionava. Governai con i motori e chiamai il motorista per fargli controllare la pompa e i pistoni della timoneria, e mi riferì che aveva fatto controllare e riparare i pistoni. Lo vidi che di nascosto rabboccava l’olio idraulico perchè i pistoni perdevano. Dove erano finiti i soldi della riparazione
Comunque arrivammo a Ibiza, comunicai il nostro arrivo all’armatore che sarebbe arrivato a Ibiza dopo qualche giorno.
La crociera per me fu uno shock…tutti i giorni partenza da Ibiza per Formentera, alle 18.00 ripartenza per Ibiza, e questo per un mese.
A quel punto mi chiesi se avessi sbagliato armatore o se quella fosse la norma….
Poi l’armatore venne arrestato (uno di quelle truffe all’italiana, fini su tutti i giornali), io fui sbarcato e subito mi misi in cerca di un altro imbarco.
Questo fu il mio inizio, per niente esaltante anzi deprimente. Ho continuato a inseguire il mio sogno e, anche se mi capitarono imbarchi simili, ho avuto la fortuna di navigare molto, a vela e gli ultimi anni a motore, per armatori che erano dei Signori, su buone barche con destinazioni che fino allora avevo solo sognato.
……..e la storia continua……..

17 – La tua prima esperienza da skipper, sensazioni ed emozioni

La prima esperienza di comando fu, come già raccontato, quella sul cassone a motore, la seconda, prima da skipper su una barca a vela, fu su un ketch di 15 mt., un Koala 50 della Nord Cantieri, Armatore torinese con posto barca a Mentone.
Incontrai l’armatore a Loano dove la barca stava eseguendo lavori di manutenzione. Fu montato un rolla fiocco, un Loran, sostituzione boccola timone oltre a carenaggio e service a motore e generatore.
Quando la barca fu pronta in mare la portai, da solo, a Mentone ed iniziai a conoscerla.
Era una barca progettata da Robert Clark, inglese, adatta a tempi duri; per inciso era lo stesso scafo usato dai Malingri per giro del mondo e varie navigazioni impegnative.
A inizio estate trasferii la barca a Cannigione, ormeggiata alla boa in rada.
L’armatore spesso arrivava in banchina, dove non potevo ormeggiare per il pescaggio, col tender portavo a bordo lui ed eventuali ospiti e uscivamo a fare bordi nelle Bocche di Bonifacio, con soste nelle varie isole e baie. Fu un imbarco quasi noioso….
A fine stagione riportai la barca a Mentone e solo in quella navigazione trovai vento, trenta nodi, e mare formato. In quelle condizioni la barca esprimeva potenza e dava sicurezza e soddisfazione.

18 – Cosa privilegiavi nel prendere il comando di una barca? la barca, la dimensione, l’equipaggio, gli obiettivi dell’armatore?

Quel periodo, ricordo, ero sempre abbastanza irrequieto, alla ricerca di emozioni e esperienze diverse. Nella ricerca quasi continua di un nuovo imbarco, ogni anno, o poco più, sbarcavo o mi trovavo a terra per altri motivi, iniziai a pormi degli obiettivi.
La prima cosa era il programma dell’armatore di concerto con il tipo di barca e le dimensioni.
L’equipaggio è una variante e quindi si può cambiare.
Quello che cercavo era soprattutto la destinazione; ero molto interessato a lunghe navigazioni, fuori dalle rotte degli armatori Mediterranei, in pratica cercavo un lavoro e un po’ di avventura.
Anche lo yacht era importante…….essere su una bella barca e di grandi dimensioni è già una soddisfazione, se poi il programma di navigazione è interessante quello doveva essere il mio prossimo imbarco.

19 – Hai mai trovato sorprese al primo imbarco su una barca?

Dal dire al fare, si dice, ci sia di mezzo il mare; ogni primo imbarco inizialmente l’aspettativa era sempre alta, cambiavo per migliorare, a volte però, trovavi qualche bella sorpresa o più di una.
Ho avuto storie da cinema, da armatori con problemi, barche in condizioni precarie e non ultimo equipaggi poco professionali ……
Non posso, per etica, raccontare storie dei vari armatori ma sugli yachts mi sento libero…
Nella mia carriera varie volte ho rinunciato all’imbarco dopo aver visitato la barca.  Ho trovato yachts con sala macchina, attrezzatura velica, ed altro in condizioni non buone.  Per la verità non sono state molte, ma mi hanno lasciato perplesso e non ho accettato l’imbarco o sono sbarcato poco tempo dopo.
Un esempio: mi sono trovato su uno sloop di ca. 26 mt. in cantiere per lavori tra i quali il variatore del passo dell’elica bloccato. La lista lavori prevedeva la revisione oltre ad altri, molti, lavori.
Mentre io mi adoperavo per far avanzare i lavori e l’Armatore mi soffiava sulle spalle per accelerare, il cantiere, dopo aver smontato una parte del variatore passo elica, non faceva più nulla.
Dopo qualche giorno e qualche telefonata con l’armatore, parlai con il direttore del cantiere per capire perchè i lavori erano fermi, e la risposta fu: ……quando l’armatore mi salda la fattura dello scorso anno……

20 – Cosa ha significato per te la responsabilità di skipper?

Quando ho iniziato a navigare sugli yachts, all’inizio su barche medio piccole, dai 15 ai 26 mt., non sentivo di avere una grossa responsabilità, era come uscire per una veleggiata con una deriva, un gioco. L’unico timore era di fare brutta figura con l’armatore, partire da Sanremo per Calvi, in Corsica, e atterrare a Capo Corso sarebbe stato un errore da sbarco. Considerato che, anni fa, esisteva solo la bussola e il solcometro a barchetta gli errori non erano così difficili.
Con l’avvento dei radio goniometri prima e poi Loran e satellitari la navigazione è diventata alla portata di tutti o quasi.
Con l’aumentare del tonnellaggio delle barche e le formalità degli ospiti, le cose ambiano.
Già essere chiamati Comandante impone un approccio diverso dal veleggiare o regatare su un One Toner o un class40, anche se lo skipper ha le sue buone responsabilità, ma non ci sono ospiti, e l’equipaggio, in genere è del mestiere.
Ai primi imbarchi ” importanti” certamente ho sentito il peso delle responsabilità: informare l’armatore e gli ospiti, oltre all’equipaggio, dello stato del mare, la durata della navigazione e non ultimo, organizzare meeting con l’equipaggio per la sicurezza.
Incendio, uomo a mare, incaglio e abbandono nave sono le esercitazioni che si scrivono a giornale, e si fanno. A volte, per situazione contingente, le svolgevo solo teoricamente. Ogni membro dell’equipaggio ha una competenza particolare per ogni casualità e quindi potevo verificare lo stato di preparazione di ogni marinaio, stewardess, cuoco …
Inoltre su grosse unità vi è l’obbligo di informare anche gli ospiti.
Su un medio grosso yacht vi erano due porte stagne all’ingresso di 2 cabine ospiti.
In caso di chiusura, sul tavolino da notte vi era la procedura scritta per poter uscire: consisteva nell’applicare una doppia ventosa allo specchio del bagno, fissato col Velcro Dual Lock, sradicare lo specchio salire a carponi sul piano del lavabo, aprire una porta stagna e precipitare nella mensa equipaggio.
Tutti gli anni i grossi Yacht vengono sottoposti a visite di registro, Rina, LLoyd.., e dopo da Ispettori di Bandiera. Vengono eseguite le varie prove antincendio, estintori, sprinkler, chiusura porte taglia fuoco…e anche le porte stagne.
Tenevo le porte stagne disattivate e le attivavo solo in occasione delle visite, dichiarando, però, che una volta passata la visita le avrei nuovamente disattivate…sotto mia responsabilità.
Gli ispettori la prima volta arricciarono il naso; spiegai che spesso a bordo venivano anche ospiti anziani e che la procedura era complicata, pericolosa e ci sarebbe voluto molto sangue freddo, dato che alla chiusura delle porte partono un allarme sonoro che fa sussultare e una luce violenta, e non volevo infartati a bordo.
Chiaramente, in caso di incaglio per prima cosa, a cabine libere, avrei attivato le porte stagne.
A quel punto gli ispettori non ebbero altro da dire.
Lo yacht e anche le porte stagne erano certificate dal Lloyd Register.
La responsabilità era solo la mia e la sentivo ogni volta che eravamo in mare.

21 – Sceglievi tu le barche e gli armatori o loro ti sceglievano?

Ho cambiato varie volte: inizialmente sbarcavo ogni due anni, poi sono stato con armatori da 4 a 10 anni, periodo che corrispondeva alla ricerca di una nuova barca.
Vuoi perchè insoddisfatto o perchè si presentava una nuova opportunità, da vagliare: la prima cosa era inviare il curriculum vitae a chi di dovere, in genere agenzie di recruitment e a volte direttamente all’armatore.
I canali di ricerca imbarco sono vari, oltre alle agenzie, il tam tam, il passa parola tra comandanti, amici del settore nautico, cantieri…
In ultima analisi io sceglievo l’imbarco, ma poi è l’armatore che, visto il mio C.V. e le referenze, ha l’ultima parola.
Dopo aver inviato il C.V. vi è un periodo di attesa…ansiosa: se si viene chiamati per un colloquio le aspettative aumentano.
Al colloquio  si cerca anche di capire il carattere, le esigenze e i programmi dell’armatore, in modo da avere un’idea su che cosa ci aspetta.
In ultimo la fortuna fa la sua parte: essere al posto giusto al momento giusto…

22 – Quali caratteristiche o doti avevi per riuscire nel ruolo?

Per mia fortuna ho iniziato la carriera nello yachting dal basso. Al primo imbarco da allievo nautico mi spettò come primo lavoro la pulizia delle sentine ed altre belle incombenze simili, poi giovanissimo marinaio alle manovre di ormeggio e vele, lavare i piatti e le pentole, etc.
Col passare degli anni e con imbarchi al comando le cose cambiano e la gavetta mi è servita molto.
Ho conosciuto colleghi comandanti che non sapevano fare una gassa d’amante, fare vela e assolutamente a digiuno sulla parte macchina e tecnica.
Per me la conoscenza dello Yacht è primaria.
La correttezza e l’onestà vanno di pari passo, e mio padre era solito dirmi ”fai attenzione”:  io non capivo a cosa si riferisse, pensavo al mare, attraversavo spesso l’Atlantico , e invece si riferiva alla gestione amministrativa … soldi: mi ha predicato l’onestà   da quando ho avuto l’età della ragione..
La gestione dell’equipaggio è un altro bel problema: ogni essere umano ha un carattere e comportamento diverso, per cui sarebbe bello capire tutti dal primo giorno.
Di necessità virtù. Ci si confronta giornalmente, siamo tutti sulla stessa barca e non è un modo di dire: con il tempo si inizia a capire chi è valido, di buon carattere… e non ultimo ” di buon comando”.
Questo non toglie che qualche volta abbia dovuto sbarcare un membro dell’equipaggio per motivi più che validi.
Non è cosa che si fa alla leggera, ma a volte è o è diventata obbligatoria.
La professionalità è dovuta, altrimenti non si diventa comandanti.
Ciò vuol dire avere un certificato IMO all’altezza del ruolo, tutti i vari corsi sicurezza e molti altri, conoscere il funzionamento di tutti gli apparati elettronici di bordo con i conseguenti corsi: Radar, ricevitori satellitari, Navtek, Standard C, comunicazione GMDSS, EPIRB, VHF   etc….
Bisogna avere passione per il mare e dedizione al lavoro perchè senza verranno a mancare gli stimoli; varie volte sono tornato a casa a salutare i miei genitori dopo un anno o più.
Quando ho iniziato a comandare barche, non più yachts ma super yachts, oltre i 30 metri, un po’ per curiosità e anche per sicurezza, ho voluto conoscere anche i funzionamenti dei vari apparati della sala macchine.
Ho imparato a rifornire la cassa giornaliera, gasolio, il depuratore delle acque nere, effettuare il parallelo dei generatori……messa in moto motori e generatori ed altro.
Una volta, in mezzo all’Atlantico, il direttore di macchina ebbe un problema, febbre e una mano gonfia. Chiamai, via telefono satellitare, il CIRM, Centro Italiano Radio Medico.
La dottoressa, messa a conoscenza dei sintomi, fece rapidamente la diagnosi: infezione da gasolio, cura con antibiotici e riposo.
Nei tre giorni successivi rifornii la cassa giornaliera con il depuratore, Alfa Laval, come mi aveva insegnato il direttore di Macchina….

23 – Quante barche hai comandato

Dal 1980 al 2013 ho comandato, iniziando con barche piccole, 18 barche di cui 6 a motore.
Con gli yachts a motore feci solo crociere in quasi tutto il Mediterraneo, Charter o privati, dalla Turchia, Grecia, Croazia, Italia, Francia, Spagna, Marocco, Tunisia …….
Con quattro yachts a vela feci navigazioni più impegnative: un deliveri Mentone/Acapulco, via Panama, gli altri dall’Italia ai Caraibi, crociere   da Santo Domingo, Grenadine, Venezuela, Los Roques, Las, Aves, e al Nord costa Est degli USA, Maine, New England sino all’imbocco della baia di Fundy.

Nel 1990, dopo il varo di un ketch, 38 mt.  pescaggio 3,90 mt., di cui avevo seguito il progetto S&S e la costruzione nei cantieri Palmer Johnson, Sturgeon Bay, Wisconsin, seguì la navigazione attraverso laghi, canali e chiuse sino a Newport R.I., dove gli alberi, costruiti dalla Hood, attendavano di essere ” alberati” …….
Fu un trasferimento avventuroso, ca. 1400 miglia, attraverso i laghi Michigan, Huron, Erie e Ontario, dove iniziò la parte più difficile, il canale Erie Barge Canal, che da Oswego arriva al fiume Hudson.
Dopo di che Manhattan, sotto il ponte di Brooklin, senza alberi, Long Island sound ed infine Newport.
Partimmo ai primi   di   novembre, già inverno a quelle latitudini, con il gasolio e l’acqua contata per avere il minimo pescaggio, dato che nei canali la profondità varia a seconda delle piogge e delle stagioni.
Il cantiere costruì un alberetto per Radar, luci di via e antenna VHF, ma la perdemmo sotto a un ponte, e costruirono in compensato una protezione della timoneria del Tender, che venne chiamato Pope Mobile….
Lo yacht non era ancora immatricolato, era necessario avere gli alberi per antenne SSb, antenna (duomo) Satellitare comunicazioni, luci di via etc…. per cui il ketch era in carico al cantiere.
L’equipaggio era formato dal sottoscritto, il mio direttore di macchina e un marinaio, oltre al Cap. del cantiere, Eric, e quattro operai, che in navigazione dovevano terminare i piccoli lavori non fatti in cantiere: noi dovevamo partire prima che i canali fossero chiusi per ghiaccio,
Per legge, americana, noi europei con visto turistico, a bordo non potevamo toccare nemmeno una cima, anzi, come mi disse l’ufficiale della Immigration di Fulton: <<” lei non può nemmeno aiutare una vecchietta ad attraversare la strada…”>>sic.
Prima della partenza chiesi a Eric se potevo fare qualche manovra, per prendere confidenza con la barca, un motore Mercedes MTU da 600 Cv.  ed elica di manovra a prua, e mi rispose che i comandanti americani, nella mia stessa situazione, si guardavano bene dal prendere i comandi.
Acconsentì però a farmi fare qualche manovra di ingresso nelle chiuse e di navigazione.
Arrivammo a Newport, fu un trasferimento non semplice, restammo incagliati un paio di volte, problemi con la Coast Guard e l’Immigrazione, ma alla fine tutto venne risolto.
Dopo alberato, immatricolato lo yacht, uscimmo per le prove in mare.
Il 16 dicembre (mio compleanno) salpammo per St. Thomas, Caraibi, da dove, con Armatore e ospiti, iniziò la prima crociera ……verso sud.

 

24 – La più bella? E la più grande?

Premetto che per privacy userò nomi di comodo…
Senza pensarci: lo yacht a vela più bello “Myway” .
Non solo sono stato al comando, ma ho anche partecipato, con lo studio Sparkman & Stephen, al progetto.  Chiaramente non la ho disegnata io.
È stata l’evoluzione di Freedom costruito dal cantiere Pichiotti e di Galileo costruito poi, come “Myway”, dal cantiere Palmer Johnson.
È stata una esperienza indimenticabile. Ero su un ketch di 23 mt. ” Nike “, ingaggiato da un Armatore atipico, per le mie esperienze precedenti, informale e, sebbene di poche parole, molto socievole……, tra l’altro, cosa strana, era ligure.  A fine estate, credo fosse il 1988, una sera a bordo della sua prima barca a vela ” Nike “, trovò una rivista nautica americana dove in copertina c’era la foto di un grosso ketch invelato.
Mi chiese se mi sarebbe piaciuto comandare una barca così, ne venne fuori una breve discussione tecnica e qualche battuta simpatica.
La cosa fini li, credevo……
Dopo qualche giorno l’Armatore mi convocò nel suo ufficio, partimmo in auto per Genova dove ci incontrammo, per la prima volta, con il Chief engineer  dello studio S&S, Alain Gilbert. Dopo aver fatto conoscenza l’Armatore disse   a Alain, mostrando la copertina con il ketch, che voleva una barca così.   Pensavo di essere in una candid camera. Anche Alain rimase sorpreso e spiegò che avrebbe dovuto fare un progetto di massima, al che l’Armatore rispose di procedere ….
Circa due anni dopo venne varato, dal cantiere PJ il ketch più bello sul quale ho fatto ca. 35/40.000 miglia.
Le barche più grosse che ho comandato sono state un 40 metri a vela, “Dinasty” che ho omesso nel numero dei miei comandi, con la quale navigammo, in crociera, dalla Francia, costiera Amalfitana, Grecia, Egitto, Suez, Sudan, Eritrea, Dahlak, Yemen e ritorno a Creta da dove sbarcai e tornai a casa…ne avevo abbastanza…
Un motor yacht di 63 metri, con un contratto di tre mesi, come comandante di controllo.
È stata una situazione particolare…
Lo yacht, tipo explorer, con la coperta di prua completamente occupata da tre tender di 10 metri e la sovrastruttura a quattro ponti a poppa.
Nei tre mesi che rimasi a bordo facemmo vari Charter in Mediterraneo.
Infine altri due M/y di cui un bel rimorchiatore d’altura di 50 metri, con un solo motore, convertito a yacht. Navigai da Imperia a Palma di Maiorca……. aveva anche un ponte elicottero, toch ‘nd go ,……una piccola nave.

 

25 – Raccontami del tuo rapporto con gli armatori…e con l’equipaggio

I rapporti tra comandante, Armatore ed equipaggio dipendono sempre dal carattere delle persone.
Si possono trovare armatori completamente distaccati dall’ equipaggio, trattano i dipendenti con sufficienza e distacco, e lavorare in questa atmosfera non è piacevole. Ho avuto più di un armatore impegnativo, siamo arrivati a scommettere sulla mia durata a bordo, tanto la situazione era difficile.
Mi è capitato di essere alle dipendenze di un armatore che, al contrario di altri, abituato a relazionarsi sia con i sui pari sia con le persone normali, trattava tutti come fossero uguali, suoi dipendenti o amici.
Il suo approccio con l’equipaggio era molto semplice: io faccio stare bene il mio equipaggio e l’equipaggio farà star bene me e i miei ospiti.
Discorso diverso per l’equipaggio: spesso si possono trovare persone poco professionali, non corrette o peggio.
Oggi il lavoro sugli yachts può sembrare, ad uno sprovveduto, una bella vacanza, in giro per il mondo, buona paga, etc ..ma  non è cosi .
Il rapporto che ho cercato di avere con l’equipaggio è sempre stato professionale e diretto, aperto a discussioni, sia di lavoro che personali.
Ho sempre cercato di andare incontro, ove possibile, alle esigenze   del personale di bordo sempre però con la mente e gli occhi su l’obiettivo primario: il lavoro, quindi le esigenze degli armatori, ospiti, sicurezza, mantenendo, per quanto possibile, l’armonia a bordo, cosa non sempre facile.

26 – Sei mai sbarcato per non condividere il rapporto con l’armatore?

Quando si arriva allo sbarco le motivazioni dovrebbero essere più che valide, da ambo le parti.
Mi è capitato essere minacciato di sbarco perchè sceso in banchina, a poppa della barca, a salutare un amico, per altro avvenimento che non ricordavo. Risposi, in maniera educata ma dura, che se quello era il sistema di bordo non era lavoro ma schiavismo, per cui IO sarei sbarcato.
A quel punto l’armatore ritirò le ridicole accuse e la discussione terminò…….
Altro episodio poco piacevole fu quando su un M/y trovai, in fragranza, l’armatore in possesso di sostanze pericolose, per lui ma soprattutto per me. Eravamo alle Baleari, il mio sbarco mi sarebbe costato lo stipendio e il viaggio di rientro a casa.  Così, in modo corretto, argomentai ciò che avevo visto lamentando la pericolosità e il mio disappunto, affinchè venissi sbarcato. Mi avrebbe dovuto pagare stipendio e viaggio di rientro a casa.
Così fu e dopo qualche giorno l’agenzia mi comunicò formalmente lo sbarco.
Attesi l’arrivo del mio sostituto per il passaggio di consegne ed una uscita in mare di prova col nuovo Comandante, al quale sottolineai che ero contento di sbarcare… a buon intenditore poche parole.
Sbarcato, all’arrivo a Milano, ricevetti una telefonata dal nuovo comandante il quale, sconcertato, mi esternò le sue perplessità a proposito dell’armatore, che nel frattempo   gli aveva chiesto di prendere pinze e cacciavite per riparare l’antenna della TV satellitare……lavoro da tecnico.

27 – Hai mai dovuto sbarcare qualcuno? Perché?

Da comandante capita di sbarcare un membro dell’equipaggio, non è mai piacevole, a volte diventa necessario.
Dopodichè inizia la ricerca del sostituto, non facile, soprattutto se si è già in crociera, quindi con poco tempo a disposizione (esiste un documento, Safe Manning, che prevede l’equipaggio minimo, pena l’unità non può navigare). Ricevere i C.V. da varie agenzie aiuta ma, per mia abitudine, un incontro, può aiutare a conoscere meglio il candidato.
Sono stato costretto a sbarcare qualche membro dell’equipaggio per mancanza di documenti al cambio bandiera, da Inglese a Italiana, per poca professionalità e incapacità di lavorare in team……e purtroppo per disonestà.
Ricordo, su “Myway”, ai Caraibi, imbarcò un nuovo marinaio. Il direttore di macchina mi disse che lo conosceva e che sarebbe durato poco.
Le prime discussioni furono proprio con il direttore di macchina e poi con il resto dell’equipaggio, me incluso.
Lo avvisai formalmente dello sbarco una notte, in mezzo all’Atlantico in rotta per Gibilterra: durante un colpo di vento fece una manovra errata mettendo in pericolo gli altri due marinai.
Questa fu l’ultima di tante.
Facendo mente locale: ogni sbarco è stato per motivi seri, a volte per incompatibilità con una parte dell’equipaggio, o problemi caratteriali.

 28 – Qual è stato l’imbarco che ricordi con maggior piacere?

L’ imbarco che ricorderò a vita è stato quello su “Myway”.
Lo yacht, ketch di 38 metri, è stata la più bella barca che ho comandato, inoltre l’armatore e la sua famiglia, ospiti   e crociere sono ancora i miei ricordi migliori.
” Myway”  fu  varata a fine 1989 , la prima navigazione , Newport – St. Thomas, Caraibi, fu, quello che gli inglesi definiscono uno ” shake down, vento da 40 a 50 nodi e mare formato, e la barca si dimostrò all’altezza del suo pedigree.
Progetto S&S e costruzione, in alluminio, Palmer Johnson.
Arrivammo a St Thomas dove imbarcò l’Armatore con famiglia e ospiti.
Il buon giorno si vede dal mattino: per prima cosa l’armatore ordinò alla steward vino bianco, non champagne, per tutti. Poi mi chiese ” dove andiamo? “, ma a questo ero già abituato, rispetto alla prima barca il suo comportamento non era cambiato.
Preparavo, carte alla mano, vari itinerari che mostravo all’Armatore, e spesso lasciava a me la decisione, solo l’arrivo era sua prerogativa poichè doveva comunicare al Comandante del suo Jet dove sarebbero sbarcati per tornare in Italia.
A ogni crociera era abitudine dell’Armatore andare a cena a terra con tutto l’equipaggio, e ne nacque una simpatica discussione: io non volevo lasciare “Myway” in rada, generatore in moto, luci di coperta e crocette accese, senza una guardia.
Arrivammo a un compromesso cercando ristoranti vista mare e inoltre il Dir. macchine, se la cena si fosse dilungata, sarebbe andato a bordo col tender a controllare.

Mustique
A Mustique trovai un posto perfetto: ristorante su un pontile, approdo per il tender, “Myway” alla fonda a qualche centinaio di metri …o a Bequia dove vi sono vari ristoranti sulla spiaggia: il Frangipane, il più vivo, era una nostra sosta preferita, cibo caraibico, buona musica dal vivo e ottima atmosfera.
Bequia
Io ero a costretto a pranzo e cena al tavolo con l’armatore dove speso si discuteva dei prossimi viaggi; più di un a volta mi sorprese dicendomi che, alla loro partenza per l’Italia, sarei rientrato anch’io con loro…
L’Armatore sapeva che io passavo molto tempo a bordo dato che facevamo la doppia stagione: l’inverno ai Caraibi, in primavera attraversavamo l’Atlantico con destinazione San Remo, e dopo aver fatto carena e i soliti lavori di routine, iniziavano le crociere in Mediterraneo.
Io ero anche impegnato nel seguire i lavori di cantiere per cui le mie ferie spesso erano solo dei week end, e lasciavo l’equipaggio in ferie…. ne avevano bisogno.
Nel 1992 da Santo Domingo salpammo per Savannah, e dopo aver fatto carena partimmo per New York, era l’anno delle Colombiadi, dove avevo prenotato un ormeggio a North Cove, una piccola darsena a Manhattan, sotto alle torri gemelle…

Passammo lì una settimana, per vedere la sfilata dei velieri lungo l’Hudson, gli indimenticabili fuochi d’artificio, su tre chiatte in mezzo al fiume, e per   visitare New York, con una cena al ristorante all’ultimo piano di una Twin Tower, dove il cibo lasciava a desiderare ma la vista notturna di New York era… spettacolare e unica.
Partimmo poi da N.Y per Newport e crociera nel Maine e New England…

29 – Raccontami del posto più bello che hai visto

Nel mondo vi sono posti magnifici: dove abitiamo, spesso, non ci rendiamo conto delle bellezze che ci circondano per abitudine o una sorta di assuefazione. Viaggiando per mare ci sorprendono bellezze naturali che restano nella nostra mente a lungo.
Dire quale è il posto più bello che ho visto non è facile.
In Mediterraneo ho amato, dalla prima volta, la Grecia e soprattutto le sue isole.
Mi sono innamorato di Patmos dove incontrai un vecchietto locale che mi portò a bere un vero caffè greco. Una delle cose che mi rimasero impresse fu quando mi disse “una faccia, una razza”.
Le isole croate, Corsica, Sardegna…….sino ai Caraibi, il Maine ….. sono tutti luoghi meravigliosi.
Potrei, per cultura, sintonia con la gente, storia e bellezza scegliere una delle tante isole della Grecia, non le ho viste tutte, ma Patmos, ancora oggi, mi è rimasta nella mente.
So di poter essere smentito, da chi, come Mario, conosce le isole greche molto meglio di me.

30 – Ci andresti a vivere?

 A prescindere dalla bellezza, la mia scelta del posto più bello che ho visto e dove poter vivere, è la Grecia, a poche ore di volo dall’Italia, diventa una scelta possibile senza sconvolgersi troppo la vita.
Da giovane trovai una piccola baia con una spiaggia sulla costa sud ovest di Granada dove, appena la vidi pensai di farmi una casa sulla spiaggia ……. idea folle e non fattibile, però il posto era incredibile.
Trovai, nel mio girovagare per mare, tanti altri posti dove la natura mi portava a pensare    ” che bello sarebbe vivere qui”, ma c’era sempre un rovescio della medaglia a mio sfavore; trasferirsi a vivere su un’isola lontana voleva dire mollare tutto e tutti, allora non c’erano nè cellulare nè internet, a casa avevo ancora una famiglia anziana e non era facile prendere una decisione in quel senso.

31 – Hai mai fatto il giro del mondo?.

 Nel marzo 1979, se ricordo bene, fui contattato dalla associazione ” Sail for Europe ” per un test di tre giorni di navigazione nel mare del nord, a bordo dello sloop ” Traite’ de Rome “per la regata Wthitbread del 1980, giro del mondo a tappe in equipaggio. Il mio ruolo sarebbe stato coskipper e navigatore.
Raggiunsi la barca a Breskens, Olanda, era Marzo, e da lì partimmo per una tre giorni di navigazione tosta. L’equipaggio era composto da un membro per ogni stato europeo, l’associazione era parte della Comunità Europea.
Al rientro a Breskens incontrai due membri dell’associazione che confermarono la mia candidatura.
Eccitato come non mai tornai a casa dove attesi invano una convocazione…
In quel periodo, poichè ero a bordo di una barca a vela, lasciai il mio recapito presso i miei genitori.
Ancora oggi ho il dubbio che mio padre mi abbia nascosto la lettera di convocazione.
Per un colpo di fortuna lo stesso anno, a novembre, partii da Mentone per Acapulco, via Panama, con il ketch Scorpio, 53 piedi in legno e senza pilota automatico…….ma non riuscii a realizzare il sogno del giro del mondo.
Per anni ho sognato, se non il giro del mondo, ormai messo nel cassetto delle cose da dimenticare, almeno l’attraversata dell’Atlantico in solitario con una mia barca.
Purtroppo per vari motivi, economici, lavorativi e non ultimi   famigliari, anche quel sogno è finito nel cassetto.

32 – Hai mai pensato di entrare nel circuito delle regate oceaniche

Le regate oceaniche mi hanno sempre appassionato.  Negli anni ’70 gli equipaggi delle OSTAR, Triangle Gauloises etc. erano professionisti, soprattutto francesi, che sopravvivevano con gli sponsor, cosa che in Italia non era facile trovare; la prima barca di Giovanni Soldini inizialmente si chiamò” Sponsor Wanted”!
Inoltre navigando su yacht, unico lavoro che facevo per e con passione, cercavo sempre esperienze nuove, barche più grandi, navigazioni più impegnative e avevo una paga che mi permetteva di vivere.
Ancora oggi, come un vecchietto, seguo, su internet, la Vendèe Globe, la Minitransat, la Global Ocean Race….

33 – So che hai regatato con Nini Sanna: cosa ricordi di lui?

Conobbi Ninni Sanna a Imperia, molti anni fa’, aveva iniziato a fare scuole vela con una vecchia barca di legno, e anni dopo comperò lo scafo nudo di un Mania, col gelcoat da ripristinare, progetto Cesar Jr. Sangermani, della Nord Cantieri.
Lo portò via terra a Imperia e nelle vicinanze di un cantiere iniziò a costruire le parti mancanti: coperta, interni, tutto in compensato, e attrezzatura, motore…
Ninni era un marinaio “all’antica”, sapeva e doveva arrangiarsi con poco. Quando varò la barca il risultato fu che la sua era più performante e marina di quella di serie della Nord Cantieri tutta in fibra.
Ricordo che Ninni aspettava i colpi di Mistral per uscire in mare a provare.
Con la stessa filosofia economica costruì un Marchi 47 e un progetto Santarelli di 45′, più adatto alla navigazione sui laghi, leggera, bordo libero basso….. barca molto bagnata chiamata Flying Shamal.
Ormai Ninni era uno di noi sui pontili di Porto Maurizio.
Feci con lui due regate: una con il Marchi 47 a Loano in Novembre: lo ricordo perché io finii parzialmente in mare; stavo riportando la drizza spi, appena ammainato, a prua sottovento al Genoa, ma per eseguire la manovra mi dovetti sporgere, mi appoggiai a un candeliere che cedette e io mi ritrovai, non so come, aggrappato alla falchetta, con le gambe in acqua, con la barca sbandata verso di me, e nessuno mi vedeva, perchè ero sottovento e dietro al Genoa.
Mi venne la tentazione di lasciarmi andare in mare ma non lo feci, iniziai a urlare e infine mi tirarono a bordo: sul lato dritto le draglie non c’erano più ……, ma comunque finimmo la regata.
Col Flying Shamal partecipammo, nel 1982, alla Regata dei Mille con percorso Genova Quarto, Talamone e arrivo a Marsala.
Il giorno della partenza ci trovammo con un forte Scirocco di prua, e un bel mare formato ricordo che per lo sbattere delle vele e i frangenti in coperta non sentimmo il colpo di cannone alla partenza.
L’ equipaggio era formato da Ninni, 4 suoi allievi ed io. Facemmo turni al timone di 6 ore a testa Ninni ed io. Battendo su quel mare di prua la cucina si sganciò, si fessurò la paratia di prua, in compensato marino, ma, “boia chi molla”, bagnati come pulcini perchè anche gli interni non erano asciutti, arrivammo a Talamone.
Scoprimmo che una barca, con equipaggio della Aviazione Militare, perse il timone e un’altra della Marina militare, si ritirò.
Seconda tappa Talamone/ Marsala: Il meteo fu più clemente e arrivammo a Marsala con poco vento attorno alle sette. Ad accoglierci trovammo delle persone in tuta bianca, poi scoprimmo essere pescatori locali che ci aiutarono a ormeggiare e ci offrirono un cabaret di pasticcini e una bottiglia di…. Marsala.
Fu una accoglienza straordinaria: Ninni e io andammo in paese, trovammo il bar Garibaldi dove gli avventori, buona parte pescatori, ci offrirono da bere a turno……ancora adesso non ricordo come proseguii la giornata…
Arrivammo terzi, battuti solo da un Baltic 51′ dove avevano sbarcato parte degli interni, e una barca della Marina Militare, mi pare Chaplin, sloop di Sciarelli sui 50′.
Ninni è stato un gran marinaio.

 

34 – Qual è stato il navigatore cui ti sei ispirato, o che ti ha spinto a prendere la strada della vela?

Già da piccolo mi ero appassionato al mare, mio padre spesso mi portava in barca, a remi, a pescare, mi insegnò a vogare e mi diede le prime nozioni di vela; cosi la mia passione per il mare si concretizzò con la vela.
Un giorno, facevo già regate su FJ e snipe e marinaio su vari “yachts”, un amico mi chiese di   riportare la sua barca a vela, un piccolo cotre Breton in legno di 4,50 mt., da Mentone a Imperia.
In treno andai a Mentone e mi preparai per la partenza. C’era un bel levante, quindi tutto di prua, e mare. In banchina incontrai un vecchio amico, aveva uno stupendo sloop inglese, che mi   presentò: Erik Pascoli.
Erik attraversò l’Atlantico, partendo dall’Inghilterra, dove aveva comperato la barca, con il suo ” Rondetto”, Folk Boat in legno, barca adatta a veleggiate costiere di circa 7,40 metri.
Quel giorno cercò di convincermi a non partire, in effetti Capo S. Ampelio lo passai tre volte, sempre di bolina facevo bordi quasi “quadri”. Arrivai a Imperia il giorno dopo…
Erik fu il mio primo incontro con un navigatore solitario….
Anni prima, su qualche giornale trovai un articolo che raccontava la storia di un certo Alex Carozzo, Ufficiale della Marina mercantile.
Alex stava navigando su un mercantile verso il Giappone dove la nave sarebbe stata messa in disarmo. Durante il lungo viaggio, dopo aver disegnato la sua barca, la costruì all’interno di una stiva, la barca doveva essere, se ben ricordo, non più di 10 Mt. di lunghezza, che era la dimensione massima della mastra della stiva.
Con Golden Lion, cosi battezzò la sua creatura, lui, genovese di nascita ma veneziano di adozione, fu il primo italiano ad attraversare l’Oceano Pacifico in solitario.
Negli anni ’80 mi trovai ai cantieri Sangermani per seguire i lavori su un ketch.
Un giorno in cantiere arrivarono sia Erik che Alex, il primo, mi pare, aveva un bello sloop sui 50′, in alluminio, Alex non ricordo che barca avesse.
I due si conoscevano da tempo, ma Erik aveva una visione dell’andar per mare completamente diversa da   Alex: il primo aveva più possibilità economiche e di conseguenza il suo rapporto col mare molto diverso.
Alex è stato, per me, un Moitessier italiano, semplice, come parlava di mare si avvertiva quanto lo amasse e con una filosofia quasi… Zen.
Ricordo, a cena in qualche trattoria di Lavagna, dopo   qualche bicchiere, le amichevoli e, a volte, accese discussioni tra Alex e Erik.
L’ultima ” impresa “di Alex, ho il suo libro, Zen Time Atlantico, fu dalle Canarie a San Salvador con una scialuppa di salvataggio, vele di cotone, senza motore, sestante, viveri e poco altro.
Alex ha compiuto 92 anni pochi giorni fa…Erik non è più tra noi.
Ho incontrato Eric Tabarly, alla Martinica, sul traghetto dal marina Point du But a Fort de France, e purtroppo il tratto è talmente breve che ho avuto solo la possibilità di salutarlo, con ammirazione.
Nel 1983, ero a St. Thomas al Yacht Haven Marina su un 50 piedi a vela. Incontrai un ragazzino italiano, molto giovane, con poca esperienza, aveva attraversato l’Atlantico con   una   barca a vela francese. Pochi giorni dopo l’incontro mi disse che sarebbe partito, l’armatore e lui come marinaio, a bordo di uno Swan, per la Giamaica; cercai di dissuaderlo, gli dissi che ” non aveva esperienza, non capiva niente di barche” …….
Si chiamava Giovanni Soldini…
Lo incontrai una volta a Porto Sole, mi disse che il giorno dopo doveva andare a Marsiglia per un corso di meteorologia e non sapeva dove dormire…lo accompagnai sul Myway e gli lascia la mia cabina per la notte. Giovanni si stava preparando per la sua prima Vendèe con la barca ” Sponsor Wanted ” …poi diventata Kodak, e Giovanni è un grande navigatore.
Mai giudicare il libro dalla copertina………e poi Antonio Solero partito   da Imperia per i Caraibi su un barchino di compensato marino, altri italiani alla OSTAR del 1980, da Beppe Panada, Edoardo Austoni, Tonino Chioatto (poi ribaltatosi col trimarano in Atlantico) e Pierre Sicuri del Guia ( Rolly Go?) che ci ha lasciato troppo presto.
Olivier de Kersauson, famoso navigatore francese, conosciuto durante una sosta a   Brest, un po’ altezzoso, snob   soprattutto nei confronti di noi poveri marinai italiani, mi chiamava “Spaghetti” sino al giorno   che mi chiese spaghetti in cambio di vino francese; gli risposi di tenersi il suo vino.
Olivier, nel dicembre 1988 partì per il giro del mondo, da Brest a Brest, in solitario a bordo del suo trimarano di 23 metri, Poulain.  Arrivò a Brest dopo 125 giorni di navigazione.          Il navigatore a cui cerco di ispirarmi non è stato uno solo… Da giovanissimo, il primo che mi spinse alla navigazione, quella vera, è stato Alex Carozzo sia perchè primo navigatore solitario italiano ad attraversare un oceano sia perchè lo vedevo con occhi giovani, incantati   dalle imprese in barca a vela.
In età più matura, leggendo e seguendo riviste, Voiles, Yachting world….., le varie  regate oceaniche, scoprii un altro mondo;  ho letto  libri di molti navigatori di fama e non, ma quello che  più  mia ha colpito, e non solo me,  è  stato Bernard Moitessier.
I suoi libri hanno ispirato molti navigatori e neofiti, le sue imprese hanno dell’incredibile, soprattutto quella del Golden Globe.
Le mie navigazioni non sono assolutamente paragonabili a quelle di Bernard o chiunque dei navigatori oceanici da me citati e o sconosciuti: un giovane francese partito con una barca in acciaio di circa 9 metri, con una gallina, imbarcata alle Canarie, dopo l’attraversata dell’Atlantico ha navigato verso il grande sud, svernato nei ghiacci …. non ricordo il nome……
Nel mio caso è la passione per il mare, il grande orizzonte che pare infinito, le “lunghe navigazioni ” che rispetto a quelle di cui sopra fanno ridere, a ispirarmi e spingermi sempre un po’ oltre. Oramai, i sogni di attraversare un oceano e giro del mondo…  li ho lasciati nel cassetto.
Questo è il mio compromesso, continuare a navigare e non è importante dove si va ma come …….

35 – Cosa ricordi della prima volta che hai passato le colonne d’Ercole?

Sinceramente non so cosa provai al mio primo passaggio di Gibilterra: ricordo, però, l’emozione di trovarmi all’ingresso dell’Atlantico, il mio primo oceano, davanti un mare che mi sembrava infinito, come fosse qualcosa di incognito, e per me lo era, al mio primo imbarco da Allievo Ufficiale   sulla T/N Maria C.
Era tutto nuovo e le emozioni erano tante, inoltre era la prima volta che mi assentavo da casa per qualche mese, il viaggio andata e ritorno durava circa due mesi, nei quali sarei stato lontano dalla mia famiglia e dalla mia fidanzata.  Per fortuna il lavoro mi impegnava molto e le emozioni insieme ai miei sogni arrivavano durante la   guardia notturna.

36 – Che rapporto hai con la navigazione in solitario?

Oggi scrivendo questi racconti, quando mi guardo indietro, vengo sommerso da molti ricordi di gioventù, sarà anche l’età.   Così ricordo che navigare in solitario è sempre stato nei miei   pensieri, complici anche i primi libri di navigatori solitari da Slocum, Alec Rose, Chichester, la mia deriva preferita era un singolo, il Fin, ma non avevo il fisico a supportarmi, troppo basso e leggero.
Iniziai a piccoli passi, prima su un Golif poi su un Ranger, barca a vela di 8,70, di   Philip Rohdes, a navigare di notte tra Imperia e Loano, senza pilota automatico.
Dopo qualche anno e con più esperienza, portai, in solitario, uno Swan 65′ da Palamos agli Aregai.  Il problema erano i disormeggi e gli ormeggi.
Quando, nel 2011, comperai la mia ultima barca, per veleggiare in solitario, Flash, mi chiesi, se, dopo gli ultimi anni   passati in mare con grandi barche, con equipaggio, tutti i confort, aria condizionata, TV in cabina, tutta l’elettronica possibile…sarei stato in grado di accettare un cambiamento così radicale.  In effetti ho sempre amato le cose semplici e, già alla prima navigazione con Flash, da Ostia a Imperia, mi sentii nel mio mondo, ritornato alle origini   e felice. Mi ” studiai ” un sistema per il sonno notturno, col chiaro non riesco a dormire, cosi ogni ora, dopo aver verificato di non aver nessuna luce a giro d’orizzonte, carico il timer da cucina a 15 minuti e mi sdraio in pozzetto; non vado mai in cuccetta, non potrei dormire, fuori sento il vento e questo già mi rassicura.
Non so spiegare perchè il navigare in solitario mi dà emozioni e soddisfazioni che non ho mai provato in equipaggio, mi sento in sintonia con la mia barca e   più di una volta mi sono messo a urlare  dalla   felicità.

37 – In questi anni hai dato di più tu al mare o il mare a te?

Non mi sono mai chiesto chi ha dato di più: io al mare o il mare a me.
Senza di me il mare non sarebbe cambiato, io senza il mare non so cosa avrei   fatto della mia vita. Al contrario il mare mi ha cambiato e dato molto.
Non è retorica, ma il mare mi ha insegnato tanto, umiltà, saper apprezzare e rispettare la natura, vivere nella natura, non ultimo, mi ha dato quel senso di libertà che a terra non ho mai provato.

38 – Che barca hai adesso? Come la vivi?

Nel 2010, il   M/Y Relax sul quale ero imbarcato da 5 anni, venne venduto a un armatore Inglese che aveva già il suo equipaggio. Mi trovai a terra, con un dubbio: cercare un altro imbarco o terminare la mia carriera …ricevetti una telefonata da una agenzia in cerca di un comandante inviai il mio C.V.  Qualche giorno dopo mi chiamò un armatore che si presentò e mi disse: …” lei ha un curriculum di tutto rispetto, ma ha un certa età “.
Al che lo ringraziai, e decisi che era arrivato il momento di inseguire il mio sogno: cercare la mia barca, la quarta, per navigare in solitario dove e come desideravo io e solo io.
Tra il 2010 e il 2011 girai da Grado a Marsiglia, passando per Viareggio, Mentone, in cerca della mia nuova barca. A Ostia, a terra in un cantiere, trovai un Moana 27/30. Presi un appuntamento con il proprietario per visionare la barca. “Flash” non si presentava bene ma randa, motore, frigo, salpa ancore, VHF, erano nuovi. La barca, “Flash”, aveva vari lavori da fare.
Conoscendola da anni e sapendo come navigava, diedi un acconto e ci accordammo sui tempi del varo. Feci vari viaggi tra Imperia e Ostia, in auto per portare cime, carte nautiche, piatti…
Dopo il varo passai una settimana, nel Tevere, a pulire, riordinare per mettere Flash in condizione di partire per Imperia.
Già alla prima navigazione fui sorpreso da ” Ugly Duck” o paperella, come la chiamo io, tanto da dire a me stesso ” questa è la mia barca”.

Oggi, dopo circa 15 anni, penso la stessa cosa. Mi ha sempre riportato   a casa, in mare si merita il suo nomignolo, “paperella”, ho preso ogni tipo di meteo e trasmette una sensazione di sicurezza che poche barche della stessa stazza potrebbero dare.
Inoltre ho fatto qualche veleggiata di circolo, regate a vele bianche, senza rating, con classifica per lunghezza, nelle quali ha dimostrato le sue qualità in tutte le andature, soprattutto di bolina si muove bene considerando che è uno scafo classico.
Alla prima veleggiata, con 25 nodi, arrivai primo della mia categoria, dietro solo a tre barche di 12 metri e al gran lasco toccai punte di 9,5 nodi.
Dal 2011 a oggi, tranne 7 anni durante i quali, per problemi famigliari, non potevo assentarmi, facevo solo i classici due bordi ho navigato da Imperia, Corsica, Sardegna, Baleari   e lo scorso anno, Elba, Riva di Traiano, Ponza, Ventotene, Procida e ritorno con soste a Nettuno, in Sardegna, Corsica e ritorno a Imperia.
Green Flash, ho modificato il nome, mantenendo parte del vecchio, scaramanzia da marinaio, perchè Flash non mi piaceva.
Green Flash è il raggio verde; ho avuto la fortuna di vederlo due volte ai Caraibi, e, si dice, che alla vista se si esprime un desiderio si avvererà.
Due volte espressi il desiderio di navigare ai Caraibi con la mia barca…
Comunque, se non fosse chiaro, amo Green Flash.

39 – Prova a raccontarmi cosa provi quando sei …tu ed il mare… con la tua barca

Dal   2011 ad oggi credo di aver navigato, in solitario   con   G.F., per circa   5/6000 miglia. Trovarmi in mare aperto per me è diventata una situazione normale. Ciò non toglie che sia sempre   una emozione essere in mare, senza terre in vista, a vela sul Green Flash: mi sento appagato, non solo dalla barca    anche da tutto   ciò che mi circonda.
Guardo la barca, le parlo, il mare, sento il vento, vado a guardare il baffo di prua……
Navigare a vela è sempre una magia.

40-Il tuo sogno nel cassetto: il giro del mondo con la tua barca?

A volte i sogni restano sogni; il giro del mondo a vela lo ho sognato per molto tempo, ci sono stato vicino col Traite’ de Rome, in equipaggio.
Avrei voluto compiere un giro del mondo con la mia barca, e già questo presume essere in possesso di una barca adatta, di una certa misura, attrezzata in maniera adeguata e, inoltre, avere un budget che copra non solo l’acquisto ma, anche, tutte le spese conseguenti.
Sognando, avevo pensato a uno Swan 38, barca solida, naviga con tutti i tempi, progetto S&S, non è troppo grossa ed è facilmente gestibile in solitario. Non è facile da trovare, dato che non è più in produzione; ne ho vista una, qualche anno fa a circa 100.000€.
A questo punto, da adulti si diventa più realisti e saggi, il   giro del mondo con la mia barca resterà un sogno…

41 – Quali caratteristiche deve avere uno skipper? ed un navigatore?

Lo skipper, capitano o comandante, oggi è colui che conduce lo yacht.
Condurre uno yacht di medie dimensioni non è poi così difficile, esistono corsi di vela e patente nautica che, una volta conseguiti, permettono di condurre il proprio yacht, entro i 23,99 metri, o patente navi diporto per condurre oltre 24 metri, ma solo per diporto.
Le barche non sono mezzi complicatissimi, ma a bordo vi sono vari impianti, attrezzature di coperta, motore, generatore…. che bisogna conoscere.
“In mare non ci sono taverne” e nemmeno meccanici, elettricisti o altri aiuti.
Lo skipper dovrebbe, a seconda della dimensione dello yacht, avere una conoscenza, oltre alla normale navigazione, degli apparati di bordo e questo viene o con l’esperienza o con corsi, non solo teorici, anche pratici.
Inoltre deve sapersi relazionare con l’equipaggio e gli ospiti. In questo caso non serve essere marinai, bastano l’educazione, la correttezza …. e il “savoir faire” non guasta.
In ultima analisi e per mia esperienza bisogna fare……..esperienza navigando molto, non si diventa skipper con un corso.
Inoltre io ho imparato da quelli bravi   che, con modestia, mi hanno trasmesso le loro esperienze e mi hanno aiutato a crescere.
Il mare ogni giorno ti insegna qualcosa di nuovo, sta a te capirlo e farne tesoro.

42 – Il ricordo più bello da quando navighi… ed il più brutto…….

 I ricordi belli restano nella mente per goderne al solo pensiero, quelli brutti perchè ti servano da insegnamento. Ricordo quei momenti passati quando, tornato da una vacanza in Inghilterra, scoprii che Tramontana, la mia barca era finita a scogli ad Antignano.
A seguito di questa “perdita” la mia vita cambiò radicalmente, ma a parte i problemi che ne seguirono ne trassi un insegnamento: mai più una barca in società, piccola, brutta che sia, ma solo mia.
Uno dei ricordi più belli credo sia quando ho comperato Green Flash; dopo il varo, partito da Ostia per Imperia, in navigazione appena fuori del Tevere, con poca aria, ci muovevamo a circa 1,5 nodi, mi sono sentito euforico come non mai, urlavo dalla gioia, incredulo di essere in mare con la mia barca, di essere ripartito per una nuova storia della mia vita.
Questa è stata una rinascita.

43 – La decisione più saggia che hai preso e quella che rimpiangi di non aver preso

La decisione più saggia che ho preso nella mia vita è stata quella di licenziarmi dal posto di lavoro a terra, dove mi sentivo frustrato e prigioniero di un lavoro che non   era il mio.
Nel 1979 ho abbandonato tutto e ho ripreso la via del mare.
Non è stato tutto facile, ho ricominciato dal basso, sugli yachts.
Anche con contratti a tempo indeterminato, può succedere di ritrovarsi in banchina dall’oggi al domani, specialmente in quegli anni, gli armatori seri erano rari.
Spesso ho stretto i denti pur di andare avanti e alla fine sono stato ” ripagato”, ho fatto il lavoro che mi piaceva, visitato posti dove probabilmente non sarei mai stato, ho navigato  a vela, su  belle barche, ho fatto esperienze che sempre  ricorderò…..ma tutto questo, senza passione, senza la passione per il mare e la vela non lo avrei fatto .
Rimpiango solo di non averlo fatto prima…

44 – Hai mai avuto paura? Raccontami un episodio in cui ti sei sentito in balia del mare, e come ne sei uscito…

Nelle mie navigazioni, più di una volta, mi sono trovato in situazioni difficili, con il tempo ho imparato a non farmi prendere dalla paura, annebbia la mente, si perde il sangue freddo e, di conseguenza, diventa difficile prendere decisioni appropriate.
Partimmo con il ” My way ” da Sanremo per i Caraibi, con cinque persone di equipaggio e due amici, col permesso dell’Armatore, che volevano attraversare l’Atlantico.  Era metà novembre, credo fosse il 1992, terminato il periodo uragani. Il Mediterraneo, a novembre, è già capriccioso, ma con My Way avevo preso tempi duri e sapevo di poter navigare in sicurezza.
Passato lo stretto di Gibilterra, navigavamo con randa maestra, trinchetta e genoa 2.
Il tempo iniziò a peggiorare e il barometro in continua discesa mi confermava l’arrivo di una bassa pressione.
Dovetti accostare per evitare una tromba marina.  Prendemmo due mani alla randa e rollammo il genoa, restando così con randa due mani e trinchetta.
La situazione continuava a evolvere sino a quando fui costretto ad ammainare la randa   poco prima che l’anemometro si fermasse stabilmente a 60 nodi. Per non perdere la trinchetta e fare danni, era già buio, decisi di ammainarla ed issare la tormentina.
In quel momento, avevamo più di 60 nodi di vento e il mare era incredibile, con l’equipaggio abbiamo cercato di valutare l’altezza delle onde: dai 5 ai 6 metri.
Per sostituire la trinchetta, ingarrocciata, era necessario andare a prua.
In quattro, vestiti con cerate e cintura di sicurezza, andammo a prua per ammainare e sgarrocciare la trinchetta, ingarrocciare e issare la tormentina: due marinai lavoravano sullo stralletto, il motorista ed io, tutti “cinghiati”, li aiutavamo tenendoli e avvisandoli quando arrivava un’onda, siamo stati sommersi più di una volta dalle onde.
Alla fine della manovra e messo a segno la tormentina, tornammo a poppa; scesi nella saletta di navigazione e, con stupore, vidi il pennino del barografo continuare a scendere. Non sono stato preso dal panico ma sicuramente la situazione mi preoccupava non poco, tra l’altro dovevo essere a Granada, subito dopo Natale, a imbarcare l’Armatore e la sua famiglia per una crociera a Los Roques e Las Aves.
Non avevo mai preso condizioni così difficili su uno yacht e l’ulteriore abbassamento del barografo mi imposero un’altra decisione difficile: l’unica cosa che potevo fare era armare la randa di cappa.
Nel frattempo ho visto, un paio di volte, circa dieci metri della prua sparire sotto un’onda.
Richiamai l’equipaggio, portammo fuori dal gavone di poppa la randa di cappa, costruita in modo molto robusto, molto pesante e rigida, sembrava di maneggiare una lamiera.  Sempre in quattro la armammo, sulle grosse barche all’albero vi è una canaletta dedicata, mi guardai attorno, buio pesto, il vento non accennava a diminuire e il mare si frangeva a bordo…decisi   di non issarla; se una scotta sbattendo avesse preso qualcuno e fosse finito in mare sarebbe stato impossibile recuperalo. Cosi la legammo bene con grossi gerli in modo che non sbattesse.
Mentre eravamo alla cappa, sul ch.16 VHF, sentii una nave passeggeri chiamare Madeira, mi accodai e chiesi se fosse disponibile un posto in banchina, mi risposero: <<…non venga, in porto ci sono onde di 2 metri…>>.
Restammo un giorno e mezzo alla cappa sino a quando la burrasca diminuì e infine arrivammo alle Canarie… dove i miei due amici presero un aereo….
In quei due giorni di burrasca, se avessi avuto paura, cosa avrebbe fatto e pensato il mio equipaggio?  Io sarei stato inutile e incapace di prendere qualsiasi decisione.
Vari marina, nel sud delle Canarie, subirono danni, vi furono anche salvataggi in mare……
Una considerazione: su yachts a vela delle dimensioni del My Way, quando si incontra tempo cattivo, e non è una navigazione di poche miglia, a bordo si mangia, e qualcuno deve preparare i pasti, si dorme, il direttore macchine deve fare i suoi controlli su generatori, rifornire la cassa gasolio …  vi è un limite oltre il quale bisogna diminuire la velocità per far sì che le persone a bordo non si facciano male: il MyWay disloca 180 tonnellate, e quando prende una grossa onda di prua non si sta più in piedi, bisogna sempre agguantarsi ai corrimani e la vita a bordo diventa ancora più inconfortevole.
Ricordo una partenza dai Caraibi per l’Italia, nell’Aliseo di bolina, ho dovuto ridurre vela per non superare i 13 nodi.

45 – Cosa non rifaresti nella tua vita…… di skipper

Sicuramente, nella mia vita sugli yachts, ci sarà qualcosa che non vorrei aver fatto ma recriminare è come piangere sul latte versato.
Questo non avrei voluto farlo, ma oggi mi mancherebbe……. :
ero su un Sangermani, a St. Tropez per la Niularge, regata conosciuta per vele d’epoca e moderni racer. Il contesto di St. Tropez, a quei tempi, era incredibile: regate anche impegnative, visto il periodo autunnale quindi spesso ventoso, feste e cene a terra ed altro.
Un giorno passa in banchina il fautore e presidente del Niularge Club e comunica a tutti gli equipaggi di prepararsi per la festa della sera, avremmo preso d’assalto il Neptune.
Il galeone era ormeggiato all’inglese, al molo foraneo, il Neptune (ora si trova a Genova, porto Antico) anni prima venne usato per il film “Pirati” di Polanski.
Tutti gli equipaggi erano invitati a assaltare la nave con vestiti appropriati……
Come tutti, comandanti, marinai, cuochi e stewardes…..,anch’io partecipai all’abbordaggio della nave, avevo un paio di jeans rossi, una maglia della marina  Francese e una bandana.  Mi arrampicai sulla fiancata, come molti altri e ci ritrovammo sul ponte principale dove vi era una festa!!
Ci offrirono da bere ma la situazione stava degenerando, troppi ubriachi, alcuni erano finiti in mare, altri si erano arrampicati sugli alberi… era un vero caos.
Così decisi di sbarcare. Il ponte di coperta era strapieno e dovetti farmi largo per arrivare allo scalandrone.
Nel trambusto totale mi scontrai con la mia Armatrice, invitata alla festa, mi abbassai la bandana su un occhio ma fu troppo tardi….
Il giorno dopo fui chiamato dalla signora che, nonostante le mie rimostranze, c’erano tutti gli equipaggi della Niularge, la goliardata era stata organizzata dal Presidente della regata, mi sbarcò.
Fu una serata indimenticabile ma, a caldo, mi pentii di aver partecipato a quella goliardata.
Oggi invece penso che la rifarei….
Poco dopo trovai un buon imbarco.

46 – Dopo una vita vissuta in mare, come definiresti la tua filosofia di vita?

La filosofia della mia vita è stata come una bussola che mi ha diretto e spinto, per passione, soprattutto, verso il mare e il lavoro sul mare.  Vedevo, attraverso vari racconti, i marinai e le loro avventure con un occhio romantico al punto che, da giovane, avrei voluto nascere molto tempo prima, ai tempi della navigazione a vela.
Questa specie di pulsione durò per il periodo giovanile, poi si trasformò, prima in divertimento e agonismo, anche a buon livello, e in ultimo in lavoro.  Da quel momento la mia visione romantica svanì e subentrò solo il lavoro, bello, appagante il più delle volte, ma lavoro, che però mi ha reso più realista e mi ha permesso di soddisfare quella fame di mare e, inoltre, esaudire una parte dei miei sogni, del navigare in solitario sulla mia barca.
Posso dire di sentirmi soddisfatto della mia vita in mare, anche se ne ha risentito molto la mia vita sentimentale, sono e continuo a essere appagato, anche se avrei voluto fare di più, ma non ci sono riuscito.
Dalla vita non si può ottenere tutto, non tutti i desideri e non tutti sogni sono realizzabili.
Mi sono accontentato, senza recriminazioni, e continuerò a navigare sino a quando il fisico e la testa me lo permetteranno.   

47 – E adesso cosa c’è dietro l’angolo?

A fine anno compirò 78 anni. Scrivendolo già mi sento vecchio, ma in effetti, oggi gli ottantenni sono molto più giovani dell’età anagrafica.
Continuerò a navigare in solitario. Non ho importanti programmi, non me lo posso permettere, il giro del mondo lo ho abbandonato anni fa, cosi come una transatlantica…
Purtroppo sono libero da impegni famigliari dal 2023, sono rimato al “palo” dal 2015 e per otto anni mi sono potuto permettere solo i classici due bordi fuori dal porto.
“Solo” ora posso dare sfogo ai miei ai miei desideri.
Navigare nel Mediterraneo, mare che conosco abbastanza, alla ricerca di nuove esperienze.
La prossima meta probabilmente sarà la Corsica, Sardegna, Carloforte e forse Tunisia….
Poi si vedrà…

(Ilio) Gazo.

P.S.
I miei racconti sono tutti veritieri, partono da circa 60 anni fa o più.
Quando ho iniziato a scriverli devo dire che mi sono dovuto concentrare per ritrovare i ricordi di tanti anni addietro. Poi sono riuscito a far emergere tante altre storie, emozioni, difficili da descrivere (non sono uno scrittore), che ne hanno fatto emergere altre, e a volte mi è stato difficile, pur avendole ben nella mente, mettere insieme certi episodi.