Il mio pacifico (7)
IL MIO PACIFICO (7): il muro del pianto a ISABELA
Mercoledì 17 aprile
Galapagos
Isabela
Isabela, finalmente l’immagine e l’atmosfera che si vorrebbe trovare in un’isola in mezzo al Pacifico, lontano dal mondo. Sgombriamo l’attesa da equivoci, siamo sempre alle Galapagos, dove paghi anche l’aria che respiri, ma se arrivi da queste parti senza l’attesa di incontrare Darwin , allora sei al posto giusto.
Siamo partiti mercoledì mattina alle 7 da Santa Cruz perché c’erano 55 miglia da fare, e la navigazione è iniziata con i migliori auspici: non mi ero nemmeno accorto che il comandante aveva messo al lavoro la canna da pesca, e poco dopo le 8 vengo sorpreso da un suono “amico” (che purtroppo sento poco a bordo) che mi fa volgere gli occhi a poppa; è il cicalino che si esprime al meglio (neanche fosse al festival di San Remo), e poco dopo siamo all’opera. Il comandante sempre al mulinello, io faccio l’aiutante, gli suggerisco che invece di tirarlo subito su faccia prima stancare la preda, e dopo un po’ la portiamo a bordo, ma come?
Ora dovete sapere che a bordo non c’è la cintura per gestire la canna a due mani, per cui ogni operazione viene fatta lasciando la canna sul porta-canna (sic!), lavorando sul mulinello in condizioni difficili da gestire, specie se la preda è grossa. Poiché il filo bisogna recuperarlo in condizioni di “stanca”, mi sono….inventato una tecnica: poiché non posso piegare la canna verso l’alto e poi abbassarla per recuperare il filo, lascio la canna ferma, tiro il filo verso il basso dentro alla barca, e “alla voce” lo lascio andare ed il comandante lo recupera con il mulinello, senza fare fatica: ma guarda un po’ cosa ci si deve inventare…..per un tozzo di pesce….
Comunque è un bel tonnetto, piccolino, saranno 5 Kg, e mi do subito da fare : lo appendo per la coda, mi preparo gli attrezzi (coltello, coltellino e coltellaccio, e vaschetta per le interiora), e inizio le solite operazioni. Il tonno è molto più semplice da pulire degli altri due che avevo pescato, ha spine sono sottili e non grosse, ha la carne molto più tenera, e così imparo anche l’anatomia di queste bestie….perchè a me interessa recuperare i latticini, il durello, il fegato e le uova (quando ci sono), per farmi poi il ”pignatin”, con aglio, cipolla, vino bianco, peperoncino, sale e olio….10’ a fuoco allegro, e buon appetito…
I filetti sono piccolini, non riesco a separare la parte chiara dalla scura, e li passo in cucina lasciando al comandante la scelta di cosa fare, cosa mangiare e cosa mettere in congelatore, io sarò apposto con il pignatin.
E qui oggi ho avuto due sorprese, perché il Comandante ha pulito due filetti, uno lo ha preparato crudo per mezzogiorno, l’altro lo scotterà la sera, accompagnandolo con le patate al forno; avrei preferito verdura fresca, ma non posso fare sempre il bastian contrario, e così nello stesso giorno ho mangiato due volte pesce…..17 aprile, data da ricordare.
Proseguiamo a motore fin quasi all’arrivo, con le onde al traverso che ci passano spedite sotto la chiglia, grandi e veloci, e fra me e me penso che correranno ad almeno 10/15 nodi : con il comandante contiamo i secondi fra una cresta e l’altra, un periodo di 20’, la distanza fra le due creste almeno 200 metri, e calcoliamo che la velocità è circa 10m/s, cioè oltre 18 nodi l’ora…. altro che le barche a vela ……
L’atterraggio a Isabela è obbligato con due allineamenti da terra a causa di un reef che si spinge in mare aperto alzando onde altissime, e ad accoglierci troviamo niente po’ po’ di meno che tre manta-rey, gigantesche, con apertura d’ali di almeno tre metri, che ci sfilano a fianco maestose, a pelo d’acqua, per poi fermarsi sull’onda arricciando le punte delle estremità: una ci sfila a sinistra, a pochi metri, e si vede benissimo il manto nero con il corpo “sotto” bianchissimo, uno spettacolo. Mi son venute a mente quelle viste a Coral Bay, in Australia, nella Est coast, quando abbiamo nuotato in pochi metri d’acqua praticamente in simbiosi, loro sotto e noi sopra, su e giù sfilando in una passerella ideale…..indimenticabile.
L’acqua qui è splendida, trasparente, e la baia di Villamil si apre davanti ad una spiaggia bianchissima: ci sono molte barche alla fonda, ne conto più di venti e non ce ne stanno più di 24, ed in effetti l’ancoraggio è un po’ difficile, anche perché la baia è poco profonda. Il comandante trova uno spazio vicino agli amici di Belisima, il Super Maramu della coppia francese che abbiamo conosciuto al marina di Scelter bay, e poco dopo cominciamo ad ambientarci, finalmente in una baia dove potremo stare tranquilli, fare il bagno e nuotare senza problemi di sorta. Subito vediamo piccole foche che nuotano attorno a noi (ma a differenza di San Cristobal non verranno a bordo), piccoli pinguini, curiosi e simpaticissimi, alcuni pellicani appollaiati sul pulpito delle barche alla fonda, e ci sembra quasi di essere in un arcipelago diverso da quello che abbiamo conosciuto finora, perché….l’atmosfera è diversa.
Avevamo preso informazioni su cosa vedere e fare a Isabela, e con l’aiuto degli amici francesi che ci sono subito venuti a trovare (erano qui da tre settimane), abbiamo potuto stabilire alcuni possibili obiettivi: tour di 6 ore sul vulcano con trasferimento a cavallo verso la cima(60$), tour giornaliero nella parte west dell’isola in barca per fare snorkeling (130$), visita al muro de las lagrimas, una decina di chilometri in bici o a piedi, ed infine un tour a Los Tunneles , tunnels a pelo d’acqua formatisi con il raffreddamento della lava durante l’eruzione del vulcano temporibus illis.
Terminiamo la serata con il filetto di tonno ai ferri, che ha fatto la sua degna figura.
Giovedì 20 aprile
Galapagos
Isabela
Fra gli adempimenti da compiere sapevamo che ci sarebbe stata anche la pulizia della carena, ed in effetti dopo un bagno oculato del comandante era emerso che il bisogno era impellente: denti di cane e varie altre formazioni di calcare, oltre ad uno strato sottile di alghe verdi, avevano ridotto le performance sulla velocità di almeno 1 nodo, e giovedì è stato dedicato alla barca: io mi sarei occupato la mattina della fascia di 1 metro dal bagnasciuga in giù, mentre il comandante con le bombole avrebbe pensato al resto; il suo amico avrebbe completato il mio lavoro nel pomeriggio con la spatola di ferro mentre io sarei sceso a terra.
E così abbiamo fatto: non vi dico in che situazioni era la chiglia, e potete immaginare, voi amici velisti che conoscete le opere vive delle vostre barche, come si poteva presentare quella di Refola dopo si mesi di permanenza in mare ad una temperatura sopra i 25°. Poverina, ha dovuto subire un raschiamento (altro che aborto) che in alcuni punti è arrivato al gelcoat, ed ora senza anti…..fecondativi la preoccupazione per il futuro è purtroppo fondata: il comandante pensa che presto rimarrà nuovamente aggredita dai corpi estranei che troveranno facile presa su una chiglia pulita ma senza alcuna protezione. D’altronde non cerano alternative, se non lasciare lo status quo. Rimane però la soddisfazione di aver fatto un lavoro in acqua tutto a mano che non ha nulla da invidiare a quello che normalmente si fa a terra.
Il pomeriggio ho approfittato di un passaggio sul dinghi degli amici della barca accanto, e sono andato in paese. La premessa del giorno prima (Isabela è una sorpresa) si è ripetuta quando mi son trovato in un paese senza strade asfaltate, con pochissime macchine, pochi turisti, poche case, e pochi negozi/agenzie lungo la strada di granulato vulcanico e sabbia.
Un’atmosfera veramente d’altri tempi, dove l’isola si è difesa dallo sviluppo selvaggio mantenendo la sua anima; siamo a poche miglia dalle altre isole delle Galapagos, ma non c’è confronto, e quindi con interesse mi spingo qua e la a curiosare. Trovo il supermercato, piccolino, dove per fortuna non mancano i pomodori, peperoni, cipolle, cetrioli, banane ed aranci ed altro, e ne approfitto per fare un po’ di riserva per bordo, mentre c’è pochissima scelta su tutto il resto. C’è una ferramenta, un affitta biciclette, qualche capanna dove si mangia, un servizio di internet con alcune postazioni, alcuni ristoranti molto semplici, tutti dotati di terrazza sulla strada e con il tetto di paglia, ed una chiesa, bianca e grande, molto semplice ma molto espressiva della devozione degli abitanti; all’interno domina un affresco con un Cristo a tutta parete che domina l’altare, e sui finestroni laterali fanno spicco i vetri colorati con le immagini di tutti gli animali che si trovano nell’isola.
Trovo anche l’agenzia dove prenoto l’escursione al cratere del vulcano per sabato (non mi fanno 1$ di sconto) e me ne torno in barca dove la sera avremo a cena gli amici francesi del comandante; immaginatevi in cucina: le signore avevano cominciato già nel primo pomeriggio preparando la creme caramelle, mentre il menu prevedeva un gin tonic come aperitivo, pollo con riso al carry, ananas al rum e creme caramelle, e alle 18.45 si sono aperti i lavori. Una bella serata, per salutarsi e farsi gli auguri per la traversata (loro partiranno sabato per le Marchesi
venerdì 19 aprile
Galapagos
Isabela
Oggi una bella giornata: dopo un cambio di programma non contemplato (avrei dovuto partecipare ad un’escursione in barca con Pacho nel versante west dell’isola, ma è saltata per il mare agitato), ho deciso di approfittare del giorno libero per noleggiare la bicicletta ed andare fino al muro de las lagrimas.
È un muro costruito in pietre laviche nel 1946 da un gruppo di 300 prigionieri ecuadoregni controllati da 30 guardie, che il governo aveva qui inviato utilizzando gli alloggiamenti che la 3^ armata americana aveva lasciato dopo la 2^ guerra mondiale. Poiché i prigionieri non dovevano rimanere inattivi, hanno fatto loro costruire il muro de las lagrimas sul quale i più forti hanno pianto ed i più deboli sono morti.
Si trova all’interno di un parco, alla fine di un percorso di oltre 5 chilometri, lungo il quale è possibile osservare l’habitat dove vivono il pinguino, la foca, l’iguana nera e le tartarughe, oltre a molte specie di piante, uccelli (pellicani ed altre specie che si tuffano nell’acqua come frecce per catturare il pesce) ed alberi autoctoni delle Galapagos.
Fra questi spiccano il cactus candelabro, dai cui semi per veder crescere una pianta bisogna aspettare oltre 100 anni, la mangrovia gigante che è presente con altre specie e forma un tunnel molto suggestivo, e molte piante che venivano usate per fare i colori. Si passa anche vicino ad un cerro (collina), sulla cui sommità hanno costruito un mirador dal quale lo sguardo si stende dall’oceano fino al vulcano, passando sopra boschi a perdita d’occhi sui quali spiccano i cactus e in lontananza piantagioni di frutta; si può vedere anche un tunnel lasciato dalla lava dopo l’ultima eruzione, che viene presentato come un “monumento” caratteristico dell’isola, tant’è che hanno predisposto un tour in barca per andare a guardare queste formazioni laviche che arrivano fin dentro all’oceano.
Comunque l’aspetto che mi ha colpito è stata l’atmosfera che ho percepito lungo il percorso: sicuramente la natura domina, con una gamma di colori che nelle lagune nascoste fra le mangrovie si esprime in una tavolozza di colori unica per la presenza di minerali che l’eruzione ha portato in superficie, e quindi sfumature di giallo, verde, arancione, il tutto immerso nel verde tutto attorno, a sua volta di molte tonalità, con il cielo azzurro che il sole riflette nell’acqua.
Ho fatto belle foto, che mi rimarranno a testimonianza di Isabela, assieme ad una forte suggestione, completata prima dalla sosta al muro de las lagrimas, dove mi son fermato mezz’ora a cercare di immaginare la vita che hanno fatto quei carcerati, ed infine da un’altra sosta verso le 13 (sole a picco) davanti all’oceano ventoso, dove una spiaggia bianca di 3 chilometri riceve onde frangenti, assordanti, ipnotizzanti.
La bicicletta è stata un bell’aiuto, perché mi ha consentito di apprezzare il percorso: in macchina avrei perso la suggestione del tragitto, a piedi la stanchezza mi avrebbe fatto consumare tutte le energie.
Come conclusione, vista l’ora del desajuno, non poteva mancare un cervice di pesce ed una zuppetta di pesce, con ben tre bicchieri di spremuta naturale d’arancia: ricco e gustoso….
Paho: un bel tipo, intraprendente e molto disponibile; ha aperto da poco un’agenzia di diving e snorkeling, ed ha avviato l’attività offrendo l’opportunità di conoscere l’isola nel versante West finora mai aperto al turismo. Ho deciso di andare con lui domenica, tutto il giorno, per conoscere anche questa parte di Isabela. Gli amici francesi di Belisima ne avevano parlato molto bene, avevano visto balene, orche, delfini molto grandi presenti solo da queste parti, manta rey, pinguini e foche in mezzo alle quali nuotare, un tour di un’intera giornata con una barca veloce per veder tre siti esclusivi e nuovi dell’isola e delle Galapagos, e mi hanno convinto a fare anche questa esperienza. Ho trascorso un’oretta a parlare con lui, mi ha parlato di Isabela, dei problemi che ci sono e delle opportunità da cogliere, della unicità di quello che si può vedere e di come l’isola si è difesa da sola contro lo sviluppo, contrariamente a quanto invece hanno subito altre isole delle Galapagos, ma mi ha raccontato anche della mancanza di sistema sanitario…”guai ammalarsi o aver bisogno di assistenza…”.
Domenica trascorreremo una giornata assieme, ed avremo occasione di approfondire la conoscenza.
Un acquazzone arriva all’improvviso, e poi un altro, e sono ritornato a bordo bagnato fradicio; bagnato ero già, per cui mi son fatto un bagno vero, nella baia di Isabela, con la sorpresa di nuotare un po’ assieme ad una piccola foca che si è messa a danzarmi attorno: emozionante!. Risalito in barca il comandante mi avvisa che c’è un msg in SSB per me: è di Carlo R. che mi avvisa che ve-lista voleva mettere in linea le mie news, e di fargli sapere se avessi accettato.
Ho detto di sì, un po’ lusingato, sperando che non sia dovuto al fatto che scrivendo quasi ogni giorno occupo troppo spazio in lista, e forse non a tutti interessano le mie news. Mah, mi informerò.
sabato 20 aprile
Galapagos
Isabela
Non avevo ancora focalizzato che Isabela è di fatto tutta un vulcano, anzi 5 vulcani, che caratterizzano la morfologia dell’ambiente e tutto il paesaggio. Ieri non me ne ero accorto stando in pianura, ma oggi con l’escursione a due crateri del vulcano Sierra Negra, ho focalizzato che l’isola di fatto è tutta di lava solidificata. Una colata scende verso l’oceano proprio dietro al paese, l’abbiamo attraversata e quindi percorsa all’incontrario, verso la bocca del vulcano, dove tutto il terreno è lava, più o meno pietrificata, sulla quale la natura si è aggrappata ed ha fatto nascere mille forme di vita: animale e vegetale e…le farfalle…coloratissime e tante.
È stata un’immersione nel passato, avvolgente anche per come l’abbiamo vissuta, sicuramente ideale per rimanere fuori dalla vita frenetica di altre isole turistiche.
Siamo partiti alle 8 dal porto con Carlos, una guida del parco, e con un pulmino ci siamo avviati verso una fattoria a 800m di altezza, dove ci aspettavano i cavalli. Appena fuori dal paese la strada si immerge nella lava, e si capisce subito che siamo in un’isola abitata da poco tempo: lo è dal 1890, tant’è che uno dei primi abitanti è stato lo zio del papà dell’autista…memoria visiva…..trasmissione delle informazioni quasi fresca di bucato…e lungo il tragitto mi racconta di come l’isola ha iniziato a crescere solo negli ultimi anni, con mille difficoltà per la lontananza dal continente e perché…..ci sono pochi abitanti.
Attraversiamo una zona fertilissima, coltivazioni di banane, ananas, guaiava, tendoni per la coltivazione di pomodori, peperoni ed atre verdure che vengono usate nell’isola, ma pochissima gente che lavora la terra: mi racconta che la guaiava viene raccolta dalle donne direttamente sulla pianta per fare bibite e marmellata, e abbiamo attraversato distese di queste piantagioni con i frutti a macerare sulla pianta o a terra.
I cavalli sono sette, cinque per noi, uno per Carlos ed uno per il padrone dei cavalli che ci accompagnerà: ci attende in uno spiazzo, ci aiuta a montare in groppa, il mio si chiama Caprice, e ci avviamo su per il crinale del vulcano, percorrendo un sentiero ben tracciato, in mezzo a felci gigantesche, e piante di guaiava. I cavalli conoscono la strada, vanno da soli, ma dobbiamo fare dell’equilibrismo per stare in sella perché si spingono l’un con l’altro per stare davanti e con il sentiero sconnesso e scivoloso bisogna fare attenzione; di fatto noi siamo praticamente incapaci di governarli, possiamo solo fermarli tirando le redini, altro non sappiamo fare, ma per fortuna non ci sono inconvenienti.
Arriviamo al bordo del cratere improvvisamente, sembra una gigantesco catino con 10 Km di circonferenza: il magma solidificato è ad appena 50 metri più in basso, mentre quello attivo è 2000 metri sotto, si scorge la colata del 2009 sporgere sopra quella del 1970 di colore diverso, e in lontananza sul bordo opposto la corteccia assume colori verde, marrone e nero; alcune fumarole, piccole zolfatare, lasciano uscire vapori che confermano la vitalità del vulcano. È uno spettacolo forte, quasi infernale (quella infernale la vedremo dopo un’ora), vedere un bacino così grande, quasi perfettamente rotondo, quasi colmo di lava scura, ma sappiamo che la natura si esprime anche in queste forme distruttive, spesso irrefrenabili.
Rimaniamo ad ascoltare Carlos che ci racconta di essere stato il primo a dare l’allarme quando nel 2009 il vulcano si è svegliato ed ha ripreso la sua attività: lui ha filmato l’evento, è stato 24 ore a controllare la situazione, per fortuna in questo vulcano il magma è rimasto all’interno del catino e quindi non ha fatto danni, ma la preoccupazione c’è stata, perché un altro vulcano più a sud ha rotto il bordo ed è sceso fino all’oceano. Ora il vulcano è sempre attivo, nel sottosuolo, e la conferma ci è venuta poco dopo quando, lasciati i cavalli, ci siamo avviati a piedi verso la bocca del vulcano Chico. Un percorso molto accidentato, tutto all’esterno della cresta del cratere principale, in discesa verso questo secondo cratere secondario, tutto su roccia lavica, per fortuna ben segnata.
Carlos ci avvisa che forse pioverà, io sono l’unico a non aver portato la mantellina, e quando inizia non c’è scampo per nessuno: vediamo in basso una serie di puntini che si muovono in mezzo al fumo e alle nuvole, sono gli escursionisti che ci hanno preceduto, decidiamo di continuare, e sotto una pioggia scrosciante, letteralmente, continuiamo a scendere verso l’inferno. Passiamo sopra gallerie di lava, vediamo tunnel scavati dal magma, peccato che non ci sia il sole per ammirare i colori dei minerali, incrociamo la fila che sta ritornando alla base, le persone tutte bagnate ma sorridenti, e finalmente arriviamo sul cratere del vulcano Chico: è largo solo 20 metri, molto profondo, ai bordi si vedono ancora i colori del magma raffreddato, sotto una pioggia torrenziale riesco a scattare alcune foto, giriamo attorno alla bocca per acquisirne una dimensione reale, saliamo un po’ più in alto per ammirare il complesso di questa valle lavica e prendiamo la via del ritorno.
Sono bagnato fradicio, per fortuna ho il berretto australiano che mi fa da visiera, non ho freddo, le gocce d’acqua passano davanti agli occhi come se ci fosse un tergicristallo in funzione, le due magliette, i jeans, le scarpe da trekking sono pesanti, lo zaino in spalla con tutta l’attrezzatura fotografica non mi facilita di certo l’incedere, ma proseguo con il mio passo. Sono felice dentro, mi sento bene, sto vivendo un’esperienza che arricchisce il mio spirito e mi fa sentire più sicuro e più forte, e anche sano, e camminando il pensiero corre all’ultima zona vulcanica che avevo visto, sul canale di Magellano, qualche anno fa e con molto freddo, dove mi ero fatto accompagnare da una guida a visitare la zona vulcanica (terra del fuoco…) e vedere i disegni rupestri trovati nelle caverne appartenenti agli aborigeni.
Sempre sotto la pioggia ritorniamo ai cavalli scendiamo al pulmino ripercorrendo il sentiero di prima reso scivoloso dall’acqua, e alle 15 siamo di nuovo al sole, in barca, a stendere i vestiti bagnati, a lavare scarpe e pantaloni, stranamente tutti in silenzio, un po’ per la stanchezza ma sicuramente un po’ perché dovevamo digerire la scorpacciata di emozioni vissute così velocemente.
Dopo quello di Isabela, se aggiungo quelli della terra del fuoco, quello di Lanzarote, quello di Giava e quelli del Cile, senza contare i nostri italiani, credo di aver esaurito la mia curiosità in fatto di vulcani: ed ho scoperto purtroppo che questa volta con il percorso molto accidentato ho “fatto fuori le scarpe da tracking…. “
domenica 21 aprile
Galapagos
Isabela
Vi immaginate un motoscafo con 140+140 cavalli lanciati a 25 nodi? Beh, stamane l’ho provato, ed è stato fantastico. Surf sulle onde oceaniche, verso il lato sconosciuto di Isabela, sotto un cielo azzurro, con lo sguardo fisso a prua per avvistare le balene. E ne abbiamo incrociato una, che appena ci siamo avvicinati si è immersa con un colpo di coda, ed anche 2 manta ray con una grande apertura alare, una delle quali ha fatto una capriola fuori dall’acqua.
Paho è stato di parola: ci aveva promesso un’escursione che ci avrebbe lasciato il sapore della scoperta, e già all’inizio della giornata siamo stati premiati. Poi è stata una costante piacevole sorpresa: ricordate che ieri vi avevo detto che l’isola è di fatto una cascata di lava? Orbene, oggi abbiamo costeggiato tutta la parte SE, girando attorno al 5° vulcano per recarci in una baia quasi vergine, ed abbiamo visto solo lava, lava vecchia e lava recente. Dalla bocca principale del vulcano scendono almeno 4 fiumi di lava in mezzo ai licheni che precipitano in oceano con una parete di oltre 5 metri, impossibile da scalare dal mare, con le onde che frangono in mille spruzzi spumeggianti. Spiccano sulla punta Sud i resti di un radar americano della 2^ guerra mondiale, a testimonianza di una presenza strategica nelle Galapagos, e tutto attorno camini alti una decina di metri formatisi con le ultime eruzioni del ’70 e del 2009. Ci ha detto Paho che domenica scorsa un turista, al quale aveva presentato l’isola come un paradiso terrestre, ha risposto dicendo che non era certo un paesaggio paradisiaco, ma infernale…ed aveva ragione, a me sembrava di vedere lo sbarco sulla luna o su marte.
Abbiamo anche rallentato l‘andatura per pescare, Paho ci aveva promesso il cervice, ma all’andata non abbiamo preso nulla
Dopo oltre due ore siamo arrivati ad una baia nascosta in mezzo alla costa lavica, che non si distingueva neppure a guardare con occhi attenti: atterraggio morbido, entrata da una piccola passe, e ancor prima di fermarci abbiamo subito visto un pellicano alla cova, una famigliola di piccoli pinguini curiosi, ed un piccolo branco di leoni di mare.
A proposito, sapete la differenza fra lobo de mar e leoni di mare? I secondi hanno gli occhi grandi, perché cacciano di notte e scendono anche a 100 metri di profondità…..
Dunque, diamo fondo in un metro d’acqua e scendiamo in acqua: è fresca, gli altri ospiti erano tutti attrezzati e forniti di tutina da sub, io invece….solo con il costume e maschera, ma ciò non mi ha impedito di risalire a bordo per ultimo, ah ah ah, dopo una nuotata vicino ai pinguini, poi alla famiglia di leoni di mare che mi si sono avvicinati, ed un giro tutto attorno alla piccola baia fino alla pass, dove si avvertiva la forte corrente, e dove sono riuscito a vedere solo qualche branco di pesci per la poca visibilità sotto acqua dovuta alla forte presenza di plancton.
Siamo ripartiti, rapala in acqua, e subito abbocca un tonnetto pinna gialla di 5 Kg, poi un altro e poi un altro ancora: troppa grazia S. Antonio, anche perché pur dividendo il pescato fra noi ospiti paganti non avrei potuto portarne a bordo (lo sapete già il motivo…).
Lo stiviamo momentaneamente perché abbiamo due mete da raggiungere: la prima una visita ai Tunnels, quella zona lavica con archi formati dalla colata durante l’ultima eruzione gettandosi nell’oceano, dove ci fermiamo impressionati perché l’entrata è obbligatoria attraverso una pass in mezzo ad onde frangenti di 3 metri, impossibile da farsi oggi. Rimaniamo 10 minuti a guardare lo spettacolo, con un rumore assordante nelle orecchie e lo sguardo fisso sui frangenti che vengono soffiati dal vento in una nuvola di gocce a formare un tunnel, e forse anche per questo la zona si chiama così.
La seconda meta è una insenatura in mezzo alla lava dove ci sono i pinguini, le tartarughe (moltissime), leoni di mare ed i cormorani: l’acqua però è sporca, una schiuma bianca spessa, e nessuno vuole scendere a nuotare, per cui rimaniamo a fotografare questi esemplari che si sono stabiliti in mezzo alle rocce laviche, il che rende anche difficile scorgerli.
Poi Paho ci popone di andare in una laguna poco distante dove avrebbero potuto preparare il cervice, e nell’attesa si sarebbe potuto recuperare l’immersione in snorkeling. L’entrata è anche qui attraverso una pass, ma sottovento, e cavalcando l’onda giusta passiamo sopra il basso fondale e ci dirigiamo in un canale in mezzo agli scogli, che solo il driver conosce, arrivando in una piccola piscina con un metro d’acqua, dove diamo fondo.
Il driver si da subito da fare in “cucina” a poppa, dove con maestria prende un tonno e prepara il piatto annunciato, mentre noi scendiamo in acqua dove ci attende un’altra sorpresa: Paho ci accompagna poco distante, in un ‘altra piscina, dove incontriamo le tartarughe di mare, grandi, che ci sfilano davanti agli occhi, e due squaletti di oltre un metro che dormono sotto ad una lastra di lava.
Al rientro a bordo una zuppiera di pesce crudo ci attende, e le facciamo subito tutti festa, anche se poi rimaniamo rammaricati perché….finisce in un attimo; non preoccupatevi, mi sono fatto dare la ricetta, e ve la propongo in calce.
Sono ormai le 18 passate, un tramonto infuocato (che ricorda le fiamme dell’inferno dove siamo stati ieri) mi consente di fare alcune foto da gigantografia, si sta facendo buio in fretta, la marea è scesa di un bel po’ ma sta già risalendo, e l’uscita dalla laguna richiede tutta la perizia del driver, sia perchè il percorso è tutto a zig zag in mezzo agi scogli con acqua scura, sia perchè senza luce il canale è distinguibile solo dal gioco delle correnti di superficie, per non parlare dell’uscita dalla pass con la corrente contraria, che è possibile compiere solo con accelerate da 280 cavalli per scavalcare i marosi che frangono tutto attorno.
Siamo tutti felici, ma il buio sopraggiunto in un attimo (siamo all’equatore) cui fa compagnia una pioggia improvvisa e fastidiosa, che ci costringe a rannicchiarci nel pozzetto, silenziosi ed infreddoliti (a 25 nodi) fino al porto, dove Refola mi attende.
E con quest’ultimo exploit si finisce la permanenza a Isabela: domani ritorneremo a Sant Cruz per il cambio di equipaggio che avverrà in settimana, e cambierà anche l’atmosfera di bordo e l’aria che tira.
Ora posso dire che delle Galapagos ho qualcosa da ricordare: Isabela, ma solo Isabela, e se qualcuno vuole fare una vacanza fuori dal mondo, senza aspettarsi nulla di più che la natura, qui la trova e ci arriva anche con un piccolo aereo che fa servizio direttamente da Santa Cruz.
Venerdì 26 aprile
Galapagos
Santa Cruz – Isabela
È girato il vento. E così siamo finalmente partiti per la vera traversata.
Dopo il cambio di equipaggio (sono arrivati Franco e Angelo) gli equilibri di bordo sono cambiati, e se il buondì si vede dal mattino, sarà un’ottima compagnia. Un trentino (ex direttore di banca) ed un milanese (ex imprenditore), ambedue velisti giramondo, appassionati di pesca, cuochi e…buone forchette. Ieri abbiamo fatto cambusa a Santa Cruz, mi sono comprato un po’ di viveri di sussistenza per le notti di guardia ( saranno almeno 25), un salto in lavanderia, internet ultimi collegamenti in skipe (ho saputo che l’amico Franco ha trovato la barca dei suoi desideri, complimenti), mi son fatto una mangiata di pesce per non perdere le buone abitudini, e sono rientrato a bordo per farmi la cuccetta nella nuova sistemazione in cabina.
Finalmente mi ci ritrovo, ho tutto ciò che volevo, anche la spina per la corrente, oltre ad un tavolino (eh, il supermaramu….), e ora vi sto scrivendo proprio dalla nuova sistemazione: sono finalmente comodo, pensare a volte quanto poco ci vuole per fare stare bene le persone, e quanto poco per metterle in difficoltà ma credo che sia acqua passata.
D’altronde quante volte mi son ripetuto che volevo fare questa esperienza, anche per mettermi alla prova, pur sapendo che avrei potuto trovarmi in difficoltà.
Credo che tutti dovremmo essere sempre pronti a superare delle prove, perché nella vita non si sa mai cosa ci potrebbe capitare, e non si può fare sempre ciò che si vuole…. e non c’è età che tenga per questo.
D’altronde se siamo intelligenti possiamo benissimo gestire situazioni “scomode”, sarebbe sbagliato buttare la spugna, quante volte sarà capitato nel lavoro anche a voi…basta aver chiaro l’obiettivo, perché poi le cose cambiano.
E anche a bordo le cose sono cambiate.
Già stamane appena partiti la prima sorpresa: sono in cabina ed il comandante mi chiama a…rapporto perché ha appena pescato un tonnetto di 5 Kg. Non me lo sarei aspettato: sollecitato da Angelo ( io dopo le passate esperienze sto zitto…) ha messo in acqua la traina, e dopo pochi minuti un pinna gialla ha abboccato. Solite operazioni di pulizia, recupero frattaglie, preparo quattro filetti, e a mezzogiorno a tavola un bel piatto di cervice ha fatto la sua figura, preparato come la ricetta che vi ho dato, oltre chiaramente alle frattaglie che hanno trovato un gran consenso in Angelo (che soddisfazione…!). Per stasera poi erano già stati scongelati due filetti del pesce pescato ancora a marzo sotto la costa panamense ( a proposito, ricordate? ……perciò mi era sembrata strana la pesca di oggi…), e per questo mi sembra che le mutate abitudini alimentari (non c’è più chi detesta il pesce) e le diverse influenze sul comandante abbiano già portato delle novità.
È girato il vento.
Ora siamo di nuovo a Isabela, dove aspettiamo il vento giusto, e i nuovi “inquilini” potranno approfittarne per andare in visita a terra.
L’inverter ha già ripreso a funzionare, è stato fatto il reset, ed il PC di bordo funziona regolarmente.
Poco fa abbiamo lanciato in sailmail le previsioni a10gg con il grib, ma sembra che per una settimana ci sia poco vento: vedremo cosa deciderà il comandante.
Sabato 27 aprile
Galapagos
Isabela
Vedo che sono le news 40, tanto è durata la quaresima (ogni riferimento è puramente casuale), e mi rendo conto che è già passata una luna dalla Pasqua..
Ci ho fatto caso perché stasera ho visto la luna quasi piena (lo era ieri) che splendeva in cielo: siamo in rada a Isabela, siamo stati bene a cena, abbiamo scherzato a tavola, dopo una pasta con i broccoli, e ci siamo gustati la serata in pozzetto con il limoncello fatto e portato da Angelo, ascoltando Bob Dylan ultima edizione che diffonde la sua musica, un’atmosfera giusta.
Abbiamo già fatto un briefing sulla traversata, domani vedremo i particolari, e l’equipaggio dovrebbe essere quello giusto per tali esperienze. Angelo ha già all’attivo due Arc, Franco una traversata e conosce già la barca, quindi un team sulla carta all’altezza della situazione.
Confermo le impressioni positive sugli ultimi arrivi, i mutati equilibri e atmosfera a bordo, e sono anch’io molto più rilassato.
Stamane alle 7 è partita una barca italiana verso le Marchesi, un Gran Soleil 46 con lo skipper Rosario, di Catania, e quando alle 14 il comandante si è messo in ascolto sulla radio ad onde corte abbiamo sentito che appena al largo dell’isola si è scontrata con una balena: per fortuna andavano piano e non hanno avuto danni, perché in simili frangenti non si sa mai cosa può capitare. Li avevo salutati mentre stavano lasciando la baia dopo aver salpato l’ancora, e avevamo parlato di Marzia che a San Cristobal sta aspettando il vento giusto.
Certo che queste Galapagos hanno lasciato l’amaro in bocca a tutti: non c’è barca con cui io parli che non mi manifesti la profonda delusione su queste isole. Tutti si lamentano dei prezzi alti di entrata, dei costi elevato per la cambusa e il gasolio (prezzo per gli abitanti 1,2$ al gallone, per gli stranieri 5,5-6,5$, se si è fortunati o si vuol rischiare 4$ in nero, sempre al gallone). Vien da dire…tanto rumore per nulla, per vedere due foche, due tartarughe, con ormeggi non confortevoli, e poca possibilità di fare snorkeling, al di la di tutto.
L’unica isola che si salva, come ho già scritto, è Isabela, ed è l’unico suggerimento che mi sento di dare come meta per chi voglia fare una vacanza “fuori dal mondo”, dove si può ancora trovare un’atmosfera non contaminata dal consumismo, un paese in sostanza senza traffico, con un ambiente d’altri tempi, con il mercato del sabato mattina dove trovi i prodotti locali coltivati sulla terra lavica, a chilometro zero….
Ci si arriva in due ore con un ferry veloce a 30$ o in aereo da turismo, direttamente da Santa Cruz.
Stamane il comandante è andato a fare un rabbocco alla cambusa, ed è tornato con un casco di banane, pomodori, meloni e cavolo cappuccio rosso, a prezzi onesti.
La sorpresa piacevole era stata invece trovare a Santa Cruz la presenza di mucche che garantivano un ottimo latte fresco, yogurt, e formaggi freschi, tipo primo fiore, a prezzi giusti.
Sempre nella mattinata pulizia alla chiglia: era stata fatta esattamente una settimana fa, portandola a…lucido, ma togliendo l’antivegetativa per estirpare i denti di cane e le alghe che si erano formate; io mi sono dedicato a tutto il bagnasciuga, fino a un metro sotto la chiglia, e purtroppo le alghe avevano già ricoperto tutto il fondo, e mi ci son volute tre ore di…olio di gomito e di buon fiato per togliere tutta la pattina che si era riformata.
Domani il comandante finirà il fondo (peschiamo 2,05 metri) usando le bombole, e fino alle Marchesi dovremo accontentarci.
Franco, che divide la cabina con me, sta già dormendo, ma la soddisfazione di poter gestire la mia libertà usando il PC, la luce, poter leggere, senza dove chiedere il permesso a nessuno, avendo a che fare con persone che sento amiche (angelo mi è venuto a salutare per la buona notte…) la dice lunga sull’importanza delle persone, come risaputo, …. e per fortuna sembra rendere questa seconda puntata del viaggio decisamente più interessante.