Ambiente
Seguo sempre con attenzione le notizie di contenuto ambientale, non solo portandole all’attenzione di chi naviga, dove per fortuna le previsioni meteo hanno fatto passi da gigante, ma condividendole con tutti gli amici che mi leggono.
C’è una brutta notizia sulla corrente oceanica più forte della Terra
di Salvo Privitera
La Corrente Circumpolare Antartica è il più forte flusso oceanico del pianeta, con una potenza cinque volte superiore alla Corrente del Golfo e cento volte più grande del Rio delle Amazzoni. Questo immenso nastro trasportatore collega gli oceani Pacifico, Atlantico e Indiano, regolando il clima globale e distribuendo calore e nutrienti al pianeta.
Ora, però, qualcosa sta cambiando: secondo un nuovo studio, questa corrente potrebbe rallentare del 20% entro il 2050 a causa dello scioglimento dei ghiacci antartici.
L’acqua dolce e fredda che si riversa nell’oceano sta diluendo la salinità, alterando la stabilità della corrente. Questo fenomeno potrebbe avere effetti devastanti: un flusso più debole significa meno protezione per le calotte polari, accelerando ulteriormente lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare. Inoltre, il rallentamento della corrente potrebbe favorire l’invasione di specie aliene nei fragili ecosistemi antartici, minacciando la biodiversità locale.
Utilizzando un supercomputer e sofisticati modelli climatici, i ricercatori hanno scoperto che il fenomeno è più grave del previsto. Se il rallentamento continuerà, il sistema oceanico globale perderà parte della sua capacità di assorbire il calore e il carbonio in eccesso, aggravando ulteriormente il cambiamento climatico.
Ma c’è ancora speranza: ridurre drasticamente le emissioni di gas serra – come il calo delle emissioni che c’è stato nel 2020 – potrebbe rallentare il processo e preservare l’equilibrio degli oceani.
Il futuro climatico sarà sempre più drammatico: ecco cosa ci aspetta
di Biagio Daniele Rapinese
Indagando su come il clima influenzi i forti temporali in tutta Europa, gli esperti climatici hanno dimostrato che, in futuro, ci sarà un significativo aumento del verificarsi di intense precipitazioni.
Gli scienziati stimano infatti che queste massicce tempeste potrebbero essere 14 volte più frequenti del normale entro la fine del secolo, con impatti devastanti come abbiamo già visto in Germania e Belgio.
Guidati dal dr. Abdullah Kahraman, della School of Engineering dell’Università di Newcastle, i ricercatori hanno utilizzato simulazioni di modelli climatici molto dettagliati presso il Met Office Hadley Centre del Regno Unito. Hanno quindi scoperto che il movimento più lento delle tempeste consente loro di incrementare la quantità di pioggia che si accumula localmente, aumentando il rischio di inondazioni improvvise in tutta Europa, molto più di quanto previsto dagli studi precedenti.
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Geophysical Research Letters , mostrano che le tempeste che producono piogge intense possono spostarsi più lentamente con i cambiamenti climatici, aumentando la durata dell’esposizione a questi eventi estremi.
Il dr. Abdullah Kahraman ha dichiarato: “Con i recenti progressi nella potenza di calcolo dei supercomputer, ora disponiamo di simulazioni climatiche paneuropee che studiano l’atmosfera in modo molto dettagliato, come fanno i modelli di previsione meteorologica a corto raggio. Questi modelli hanno infatti una spaziatura della griglia di circa 2 km, che consente loro di simulare molto meglio i fronti temporaleschi, con conseguente migliore rappresentazione degli estremi“.
Il prof. Hayley Fowler, della University School of Engineering di Newcastle, ha aggiunto: “I governi di tutto il mondo sono stati troppo lenti nel ridurre le emissioni di gas serra e il riscaldamento globale continua a ritmo sostenuto. Questo studio suggerisce che i cambiamenti alle tempeste estreme saranno significativi e causeranno un aumento della frequenza di inondazioni devastanti in tutta Europa.
Questo, insieme alle attuali inondazioni, è il campanello d’allarme di cui abbiamo bisogno per produrre sistemi migliori di allerta e gestione delle emergenze, oltre a implementare fattori di sicurezza contro i cambiamenti climatici nei nostri progetti di infrastrutture per renderli più robusti a questi gravi eventi meteorologici “.
La prof.ssa Lizzie Kendon, Science Fellow al Met Office e docente presso l’Università di Bristol, ha concluso: “Questo studio mostra che, con il riscaldamento globale, oltre all’intensificazione delle precipitazioni possiamo anche aspettarci un grande aumento di tempeste con il potenziale per gli accumuli di elevate precipitazioni. Questo è molto rilevante anche in merito alle recenti inondazioni osservate in Germania e Belgio, che evidenziano gli impatti devastanti di questo particolare tipo di precipitazioni”.
I risultati dello studio sono quindi estremamente rilevanti per la mitigazione del clima e la politica di adattamento in Europa, con implicazioni specifiche per i futuri impatti delle inondazioni, la progettazione di sistemi infrastrutturali e la gestione delle risorse idriche.
Buone notizie per il pianeta: il buco dell’ozono si sta finalmente richiudendo
di Gianluca Cobucci
Il buco dell’ozono che per decenni ha preoccupato tutti sta cicatrizzando. Un recente studio del MIT conferma, con certezza statistica del 95%, che la riduzione dei CFC (composti dannosi per l’ambiente) ha innescato un recupero dello strato di ozono sull’Antartide. Le politiche ambientali intraprese stanno quindi funzionando.
Questo sottile scudo gassoso, situato tra 15 e 35 km d’altezza, protegge la vita terrestre dai raggi ultravioletti nocivi. Negli anni ’80, la scoperta di una ferita quasi insanabile sopra l’Antartide allarmò la comunità scientifica.
La spedizione antartica guidata da Susan Solomon nel 1986 svelò il colpevole: i clorofluorocarburi. Questi composti, ampiamente utilizzati in frigoriferi, condizionatori e spray, liberano nell’alta atmosfera atomi di cloro che catalizzano la demolizione dell’ozono.
La minaccia appariva così concreta che nel 1987 fu siglato il Protocollo di Montreal, un patto globale per eliminare gradualmente queste sostanze e che ha sortito effetti tangibili nel tempo.
Ma come distinguere gli effetti del Protocollo dalle fluttuazioni climatiche naturali? I ricercatori hanno applicato la tecnica del “fingerprinting”, creando simulazioni climatiche con diverse variabili: un modello senza interferenze umane, uno con il solo aumento dei gas serra, uno con la sola diminuzione dei CFC.
Confrontando questi scenari con i dati satellitari reali, è emersa un’evidenza incontrovertibile: la ripresa dell’ozono segue esattamente il pattern previsto dalla riduzione dei CFC.
Se si proseguisse in questo modo (anzi, si migliorasse addirittura) entro il 2035 potremmo assistere al primo anno senza buco dell’ozono. E nell’arco della nostra vita, questa anomalia atmosferica potrebbe scomparire completamente.