Mamaroa parte 7
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Ritorno alla Martinica
La seconda parte della nostra crociera è stata senz’altro più impegnativa, ed il percorso non meno interessante del precedente.
Le Isole Vergini sono completamente diverse dalle Grenadines, e molto più sviluppate economicamente (quelle USA in particolare); il paesaggio cambia completamente, queste isole sono più aride e generalmente più basse, il clima è più fresco ed il mare frequentato da grossi Retches e schooners che svolgono attività charter.
E’ importante ricordare che gli Stati Uniti hanno un sistema di segnalamenti con le boe diverso dal resto del mondo, e che, ad esempio, entrando in un porto occorre lasciare le boe rosse sulla dritta anziché a sinistra. Ciò ha spesso causato incidenti nelle Vergini, in quanto le isole inglesi e quelle americane sono vicine le une alle altre e se si fa confusione si rischia di finire su uno scoglio.
A Charlotte Amalie (St. Thomas) abbiamo sostato due giorni per alcune riparazioni che abbiamo eseguito con i mezzi di bordo (nella lunga bolinata per risalire da Portorico avevamo rotto entrambi i genoa e l’attacco in coperta di uno dei due stralli di prua). Proseguendo sempre contro vento abbiamo risalito lo stupendo canale di Drake (dove incrociava per attaccare i galeoni Spagnoli il famoso pirata inglese) fino a raggiungere Virgin Gorda.
Da lì il mare verso Est appare completamente libero, ed invece a circa 25 miglia a NNE si estende il banco e l’isola di Anegada, una striscia di terra assolutamente piatta e completamente circondata da barriere dì corallo; sembra che il numero enorme (circa 300, dice il portolano) di navi che hanno trovato sulle barriere di Anegadà il loro eterno riposo sia dovuto alla Corrente Equatoriale (sconosciuta fino alla fine del secolo scorso), che essendo diretta da W verso E, portava a volte su quei banchi le navi provenienti dall’Europa.
Le poche decine di abitanti di Anegada sono discendenti di famiglie che provvedevano al loro sostentamento predando le navi che venivano ad incagliarsi sulla barriera, e la fama sinistra di questa isola è così grande, che ancora oggi perfino i Lloyds di Londra escludono dalle normali polizze assicurative i danni derivati da un naufragio su quest’isola, e le barche che effettuano attività charter nella zona escludono perciò accuratamente l’isola dalle loro crociere.
L’ultimo incidente era avvenuto un mese prima: un grosso ketch proveniente dall’Inghilterra si era piantato sulla barriera e l’equipaggio si era salvato facendo uso della zattera auto gonfiante.
Tutte queste notizie ci avevano fatto venire una gran voglia di andare a visitare Anegada: decidemmo di partire da Virgin Gorda alle prime luci del giorno in modo di arrivare in prossimità del banco con il sole alto sull’orizzonte per meglio vedere il fondo, dirigendo verso la costa sottovento dell’isola dove la barriera di corallo è più sottile, e prendendo continui rilevamenti in poppa della sommità di Virgin Gorda, appena visibile dietro di noi. L’atterraggio riuscì bene, facilitato dal basso pescaggio di Mamaroa (m 1.35) ed in condizioni di assoluta sicurezza (alla minima incertezza avremmo virato di bordo guadagnando acque libere e ritornando a Virgin Gorda).
Restammo per due giorni sull’isola, la cui costa nord è completamente disabitata, facendo lunghe passeggiate sulle interminabili spiagge di sabbia bianchissima, il sole accecante, il cielo blu ed il profumo dell’Oceano portato dal vento.
Alla partenza da Anegada, risalimmo di bolina per un giorno intero il vento, il mare e la corrente Equatoriale, per evitare di passare troppo vicino al banco esterno dell’isola, e dopo avere avvistato alle 02.00 del mattino seguente l’isolotto di Sombrero (oggi c’è un faro sulla sua sommità) dirigemmo in sicurezza, mura a sinistra e di bolina stretta su St. Martin (metà francese e metà olandese), dove arrivammo molto stanchi al tramonto del secondo giorno di navigazione.
Due giorni dopo eravamo a St. Bartlemy, nell’incantevole porto di Gustavia, uno dei più belli che abbiamo visitato (il nome viene dal nome del Re di Svezia nell’epoca in cui l’isola era svedese, ora invece è francese.
Da quel punto fino ad Antigua non abbiamo più incontrato nessuno, per il semplice fatto che Saba, S.Eustache, St.Christopher e Barbuda non hanno porti, ed abbiamo passato le soste notturne rollando disperatamente nonostante ormeggiassimo Mamaroa con un’ancora a prua ed una a poppa, per orientarla perpendicolarmente alla direzione di provenienza delle onde.
Quei giorni furono molto duri, ma il sacrificio è stato ricompensato dalle brevi visite a terra (quelle isole, tagliate fuori dalle correnti turistiche a causa della mancanza di attrezzature, sono pressoché intatte).
Splendida è Saba, che assomiglia alla nostra Montecristo, è la cima conica di una montagna sommersa, i fondali scendono ripidissimi, non ci sono ridussi, e nei suoi paraggi abbiamo incontrato due balene che sembravano giocare tra loro, le code erano più grandi di Mamaroa e battevano l’acqua con colpi sordi. In quei giorni abbiamo veramente fatto la vita dei gabbiani, ed abbiamo avuto la sensazione di appartenere più alla fauna marina che a quella terrestre.
A Barbuda, difficile da avvicinare in quanto anch’essa (come Anegada) circondata di coralli, ma fortunatamente più elevata, e pressoché disabitata (è stata per secoli centro di raccolta degli schiavi), il mare è straordinariamente ricco di pesce.
Un giorno andando a pesca con il fucile (ci andavo ogni volta che desideravamo mangiare del pesce, era come andare al mercato) ho trovato in un buco in soli 4 metri d’acqua, è una scena che non dimenticherò, tre piccole cernie una murena e due aragoste in simpatica compagnia. Ho preso soltanto una cernia (la più piccola perchè entrava in padella) ed un’aragosta per Annette, scusandomi a gesti con gli altri abitanti per l’intrusione.
Ma il tempo incalzava, ed abbiamo ripreso il cammino, alla media di un’isola al giorno.
Ad Antigua abbiamo passato una notte nel famoso English Harbour, uno splendido porto naturale a sud dell’isola, che era la principale base Inglese dei Caraibi, quando cominciò a brillare la stella di un giovane ufficiale, di nome Orazio Nelson.
E quindi Monserrat, la francese Guadeloupe, i tranquilli isolotti des Saintes, e Dominica, scarsamente abitata e regno incontrastato della foresta tropicale.
Il 21 Febbraio Mamaroa rientrava a Fort de France dopo aver percorso circa duemila miglia nel mare dei Caraibi, trovando tra le barche alla fonda vecchie conoscenze e nuovi arrivati. Eravamo alla fine del capitolo Atlantico, e già il nostro pensiero si volgeva indietro, a ricordare il paesaggio così variabilmente bello di queste isole, punto d’incontro delle civiltà europee con il nuovo mondo.
Restava ora il “problema” di rientrare in Italia.
NOTIZIE UTILI
Rifornimenti
I rifornimenti di viveri venivano fatti quando e dove possibile. A volte, in isole povere, si trovano al mercato solo pesci volanti e banane, e quindi e importante avere a bordo adeguate scorte di viveri in scatola ed acqua (abbiamo consumato nella crociera tra le isole tutte le scorte di viveri avanzati dall’Atlantico): Anche i rifornimenti di carburante, petrolio, ecc, sono difficoltosi quando si e lontani dai porti principali.
Moneta
Nelle Isole inglesi ed ex-inglesi circola il dollaro ECC (East Caribbean Currency) che vale circa 1/2 dollaro USA, nelle isole francesi il franco francese, in quelle olandesi il fiorino e nelle isole Vergini USA ed a Portorico il dollaro USA. La soluzione migliore per non naufragare ìn questo caos monetario è e avere dei Travellers Checques dell’American Express di piccolo taglio, da cambiare di volta in volta secondo le esigenze.
Dogana
Regolamenti doganali sono piuttosto severi, In generale, in ogni isola è necessario fare dogana in arrivo ed in partenza, ed anzi arrivando in un’isola occorre innanzitutto entrare in un porto dove esistano le autorità di dogana. Questo e a volte molto scomodo, e noi abbiamo spessa trasgredito a nostro rischio alla regola, per non perderei un delizioso ancoraggio dove fare il bagno o passare una notte. l’importante comunque è pagare, dove esistono, i diritti di transito (in alcune isole povere dove le autorità locali si arrangiano come possono, la tassa è piuttosto sensibile, per xs, circa 4000 lire a S., Lucia per un permesso di scalo di 3 giorni).
Riparazioni
Nelle isole principali esistono adeguate attrezzature per le riparazioni di uno yach. I costi però sono molto elevati, e c’è penuria di parti di ricambio ed in generale di attrezzature sofisticati: Valgono quindi le regole principali da tenere presenti nell’armare una barca che debba allontanarsi dal mondo tecnologicamente avanzato, e cioè semplificare al massimo l’attrezzatura velica, niente drizze interne, rinvii “sotterranei” in Bozzetto, o altre esasperazioni derivate dal mondo della regata, ridurre al minimo (cioè anche a zero) le attrezzature elettroniche ed il fabbisogno di energia elettrica (con la sola esclusione della illuminazione della bussola e delle luci di via) ed avere di scorta le principali parti di ricambio del motore (che dovrebbe preferibilmente essere di una marca che assicuri una vasta assistenza in tutto il mondo).
DUE PAROLE SULL’AMBIENTE
Qualche precauzione è necessaria per assicurare la massima tranquillità all’equipaggio di uno yacht nei Caraibi.
La popolazione locale è generalmente ospitale ed amabile, a volte però l’estrema povertà di alcune località, amaro retaggio del passato coloniale, può generare nei confronti di chi arriva su una barca da diporto un’atmosfera, se non ostile, certamente non proprio favorevole. Inoltre in alcune zone (per xs, dintorni di Portorico, che non è proprio un posto per timidi), il mare è spesso teatro di imprese poco pulite (contrabbando, traffico di droga ecc,l e non è difficile trovare in un ufficio doganale foto di barche e persone ricercate.
Quindi è opportuno guardarsi sempre un po’ intorno, non esitare a partire se in un posto c’è qualcosa che non convince, evitare ancoraggi notturni solitari (a meno che non si tratti di una isola disabitata o di una barriera di corallo lontana dalla costa), avere possibilmente un’arma da fuoco a bordo e soprattutto non lasciare mai a lungo la barca incustodita.
La natura a terra non offre particolari motivi di preoccupazione, a parte la presenza di qualche rettile, e del frutto di un albero, chiamato “crab apple” in inglese, che ha l’aspetto di una piccola mela, è dolce e molto buono (dicono) da mangiare, ma è mortalmente velenoso. Inoltre in alcune zone è meglio non mangiare i pesci di fondo (quelli pelagici sono sempre commestibili) a causa della presenza sul fondo di alghe che contengono minerali di rame.
Infine, nel fare il bagno e pesca subacquea, è bene stare attenti agli squali
SISTEMI DI ANCORAGGIO
Nelle Antille è molto importante usare una corretta tecnica di ancoraggio, in quanto il vento soffia costantemente anche di notte, e lo sforzo di trazione sull’ormeggio pan essere considerevole.
Come regola generale occorre cercare un fondo di sabbia o fango compatto, evitare preferibilmente fondi rocciosi ed assolutamente fondi coperti di alghe ed infine dopo avere ormeggiato bisogna ispezionare con il canotto (spesso l’acqua è trasparente come l’aria), o anche con pinne e maschera che l’ancora abbia agguantato bene.
Gli inglesi in genere usano la catena, e gli Americani ed i–Francesi alcuni metri di catena e poi un cavo di nailon. Entrambi i sistemi sono buoni, penso però che il cavo di nailon sia più pratico, quando si devono effettuare più ancoraggi al giorno, purché si controlli sempre che anche se la barca ruota sull’ormeggio, il cavo non vada a strofinare sol corallo, che lo trancerebbe in pochi minutyi.
Ottima su sabbia e fango e l’ancora Danforth, molto leggera rispetto alla capacità di tenuta, anche se pe una grossa barca è preferibile una pesante CQR.
Contrariamente a quanto accade in Mediterraneo, i porti veri e propri sono rari (in alcuna isole non esistono affatto porti) e quindi il classico ormeggio con la poppa ad una banchina non è quasi mai possibile, tranne nei rari “Marina che incominciano a sorgere qua e là. Generalmente ci si ormeggia su una ancora in rada e quindi è indispensabile avere un canotto per andare a terra per la spesa o per la dogana, o anche per sbarcare in un posto qualunque. Vediamo ora pero alcuni casi in cui occorre seguire tecniche particolari di ormeggio:
- Ancoraggio sottovento ad una barriera di corallo affiorante: è un ancoraggio molto sugestivo per trascorrere una notte, si è magari lontano dalla costa, in mezzo al mare, con il rumore dell’Oceano che rompa sopravvento, e l’acqua della laguna è calma come no specchio, c’è la luna, e la musica alla radio un bicchiere di “punch” al rhum, zucchero liquido di canna e lime, ed il vento costante da l’impressione di essere in piena In questo caso occorre assolutamente ancorare su due ancore disposte a Y, in quanto spesso il posto più tranquillo e una pozza d’acqua circondata da tutte le parti da coralli affioranti se l’ormeggio mollasse durante la notte si puó essere quasi sicuri di perdere la barca.
- Bahaian Mooring ancoraggio tipico delle Bahamas: se il posto scelto per passare la notte é un braccio di mare compreso, ad esempio tra la costa ed un isolotto, è molto probabile che la zona sia soggetta a correnti di marea. Disporre quindi le due ancore (Vedi figura a 180 gradi lungo l’asse del braccio di mare, e dar volta ad entrambi i cavi a prua, dopo averli Tesati per bene. Quando la corrente cambia, la barca ruota intorno alla prua, mantenendo praticamente la posizione.
- Ancoraggio ad una costa: volendo ancorare vicino ad una spiaggia o costa rocciosa, per potere sbarcare senza usare il battellino, occorre anzitutto che il fondo degradi rapidamente, In tal caso figura 2) si può accostare di poppa, o meglio di prua, filando un ancora in mare, e portando una cima a terra, legandola alla classica palma. Se manca la palma, scavare un bel buco e seppellirvi la seconda ancora.
- Ancoraggio ad un molo esposto al mare: infine, può essere necessario ormeggiare lungo un pennello molto esposto al mare, dove restando accostati, si rischia di rompere qualcosa, e dove ponendosi perpendicolarmente ad esso il Mare al traverso renderebbe l’ormeggio intenibile. In tal caso (vedi figura 3) filare un’ancora perpendicolare al pennello, legare il cavo all’albero, disporre le due cime di ormeggio, a prua ed a poppa in modo che la barca prenda il mare di prua, regolando infine se necessario la distanza dal molo agendo su una cima data di volta in volta sul cavo dell’ancora e regolata a mezzo del verricello in pozzetto.
Il punto con il sestante
Il sistema “classico” per ottenere il punto con il Sole a mezzogiorno, consiste nel tracciare due rette d’altezza rispettivamente circa un’ora prima ed un’ora dopo la meridiana, ed assumere il punto nave laddove la longitudine ottenuta tracciando la bisettrice dell’angolo tra le due rette d’altezza incontra la latitudine ottenuta con la meridiana. Ora il tracciamento di una retta d’altezza presuppone un calcolo abbastanza lungo, anche se semplice, e l’uso di apposite tabelle.
Questo sistema invece (illustratomi dal solito amico inglese Eddy Shut,e che ringrazio ancora una volta) pur non essendo assolutamente niente di nuovo (anche se non ne ho trovato traccia nei “sacri testi” che conosco), e pur avendo dei limiti di impiego (cui accennerò) rispetto al sistema classico, ha il grande vantaggio di eliminare il calcolo ed il tracciamento delle rette d’altezza, fermo restando il calcolo della latitudine meridiana, che è molto semplice.
Non richiede più di 15′ di lavoro al giorno, non occorrono tavole, ma solo il seguente materiale:
- 1 sestante
- 1 orologio con l’ora esatta di Greenwich
- 1 contasecondi
- le effemeridi dell’anno in corso
- una matita ed un pezzo di carta su cui fare i conti
- una carta della zona, su cui tracciare il punto
Ho pensato utile seguire un esempio pratico, eseguendo il calcolo in un giorno della traversata di Mamaroa (4 Di. 74), e che riporto qui accanto in due tabelle, una per la longitudine ed una per la latitudine, corredate dalle spiegazioni indispensabili per capire i simboli ed eseguire meccanicamente il calcolo, fatto esclusivamente di addizioni e di sottrazioni.
Consiglierei prima di leggere il testo, di esaminare le due tabelle ed il relativo commento. Per completare il discorso infine occorre dire qualcosa su come prendere un’altezza di sole, su come avere l’ora esatta a bordo e commentare un po’ le due tabelle per rendere comprensibile il processo di calcolo ed aggiungere alcune note esplicative.
Un’ultima considerazione, prima di metterci al lavoro: una volta tracciato il punto, bisogna “crederci”, ed avere il coraggio di modificare se necessario la rotta in conseguenza.
Un’altezza di sole
Il sestante è uno strumento di precisione, e fino a qualche anno fa era molto costoso
Ogni un buon sestante di plastica (tipo EBBCO) sufficientemente preciso, costa L. 45.000, ed ha il grande vantaggio di essere molto leggero, e quindi di non stancare il braccio che lo deve sorreggere.
Prima di prendere l’altezza di Sole, occorre conoscere l’errore (y) dello strumento: azzerarlo quindi, e traguardare l’orizzonte marino, dopo aver tolto tutti i filtri.
Se la linea riflessa dell’orizzonte non coincide con quella reale, agire sul pomello di regolazione per farle combaciare, e prendere nota dell’errore con il suo segno (se questo dovesse essere superiore ai 5-6 primi di grado, occorre calibrare lo strumento, per riportarlo in questi limiti di tolleranza).
L’errore ‘y serve nel calcolo della latitudine per passare dalla altezza indicata (hi) all’altezza osservata (h0), mentre può essere nel nostro caso tranquillamente ignorato nel calcolo della longitudine, purché naturalmente resti lo stesso tra la prima e la seconda osservazione, in quanto ci occorrono i tempi (T1 e T2) di altezze uguali di Sole, ma non ci interessa sapere il valore effettivo di tali altezze.
Per prendere ora la nostra altezza di Sole, con il sestante azzerato e con i Filtri inseriti (per non essere abbagliati dalla luce) traguardare il Sole (le due immagini reale e riflessa coincideranno) e quindi spostare l’alidada seguendo l’immagine riflessa dei Sole fino a portarla grosso modo sull’orizzonte.
A questo punto si è pronti per la lettura e, per prendere il tempo senza disturbare Annette che sta cucinando o leggendo, operare come segue:
- Appendersi al collo con uno spago abbastanza lungo (circa 60 cm) il contasecondi e, impugnando il sestante con la mano destra e tenendo nel cavo della mano sinistra il contasecondi, portare il lembo inferiore del Sole a sfiorare l’orizzonte, ruotando con il pollice e l’indice di questa mano il pomello di regolazione del sestante.
Accertarsi con un movimento “a pendulo” che quando il Sole sfiora l’orizzonte, lo strumento è perpendicolare all’orizzonte stesso (altrimenti l’errore può essere rilevante), assicurarsi che l’orizzonte sia quello vero e non un’onda più vicina (si avrebbe un errore in difetto nella lettura) e finalmente scattare con il dito medio della mano sinistra (o l’anulare o il mignolo…. a vostra scelta) il contasecondi. - Andare tranquillamente al tavolo da carteggio, e quando sono passati 60″ sul contasecondi leggere sull’orologio di navigazione (conservato ben protetto in una scatoletta) i secondi, poi i minuti (sottraendo il minuto trascorso) ed infine l’ora. Annotare infine sia il tempo letto, sia l’altezza indicata (hi) sullo strumento.
L’orologio
Per un calcolo preciso della longitudine, è fondamentale avere a bordo l’ora, esatta, La nostra piccola radio sulle onde corte ci forniva gli stop orari in ora di Greenwich (GMT = Greenwich mean time, ossia tempo medio di Greenwich) trasmessi ogni ora 24 ore su 24 dalla potente emittente della BBC (British Broacasting Corporation) in un servizio che raggiunge ogni angolo del mondo con notizie, commentari e musica, e che si chiama “BBC World Service”.
Le frequenze, che cambiano a seconda delle ore e della zona del mondo, per assicurare la migliore ricezione, sono indicate nell’opuscolo mensile “London calling” (cioè “Radio Londra vi chiama”) che può essere richiesto (gratuitamente) alla BBC, oppure ad Ambasciate, Consolati o Uffici del Turismo Inglese.
In caso di rottura della radio avremmo attribuito all’orologio (anzi a due oroIogi che avevamo, due normali orologi cha polso di poco prezzo, ma alimentati a batteria per non dimenticare di caricarli e muniti di una lancetta grande per i secondi) l’errore (K) dei giorni precedenti, che registravamo su di una apposita tabellina.
Anche la perdita dell’ora esatta non è comunque molto grave, in quanto poiché sappiamo che per il calcolo della latitudine basta avere un’ora approssimata (anche 4-5 minuti di errore sono tollerabili), tutto si sarebbe risolto in un errore di stima sul tempo di arrivo, ma la latitudine della Martinica non poteva sfuggirci!
Qualche commento
Il sistema di calcolo della longitudine si basa sulla semplice considerazione che, essendo ì due tempi TI e T2 relativi a due altezze uguali di Sole (prese rispettivamente prima e dopo la culminazione), la semisomma (Ti +T2):2 dà come risultato l’istante del passaggio del Sole al meridiano dell’osservatore.
E quindi evidentemente la differenza di tempo che il sole ha impiegato per passare dal meridiano di Greenwich (valore indicato sulle Effemeridi) a quello dell’osservatore, espressa in gradi e primi di grado, è proprio la longitudine dell’osservatore. Se si vuole essere più precisi, si possono fare due (o più) letture di altezze uguali, prima o dopo la meridiana, e fare quindi la semisomma dei tempi risultati dalla media dei due gruppi dì osservazioni.
Occorre fare un po’ di pratica per prendere il tempo T2 (al punto 6 del calcolo della longitudine), questa è forse la cosa più difficile, per non farsi scappare l’”attimo” in cui il Sole si poggia sull’orizzonte.
Infatti avendo inserito sul sestante il valore dell’altezza relativa al tempo T1, non si deve più toccare il pomello di regolazione, e bisogna traguardare il Sole fino a che questo, scendendo lentamente, non si poggia sull’orizzonte, e fare quindi partire il contasecondi.
Questo sistema di calcolo della longitudine, ha però due limiti, uno di carattere pratico, ed uno di carattere teorico.
Il limite pratico è costituito dall’eventualità che il Sole si copra nel momento in cui si deve fare la seconda osservazione per avere tempo T2. In tal caso si può comunque sviluppare con le tavole e tracciare la retta d’altezza relativa alla prima osservazione (i dati hi e T1 li abbiamo da parte) ed attendere che il sole ricompaia per tracciare un’altra retta d’altezza e quindi il punto, oppure si può tranquillamente rimandare tutto al giorno dopo (noi abbiamo fatto il punto ogni giorno, ma chi vieta in una lunga traversata di farne uno anche ogni …..settimana? ),
Il limite teorico consiste nel fatto che il calcolo risulta esatto soltanto se la barca mantiene nell’arco di tempo tra le due osservazioni e dopo la meridiana approssimativamente rotta e velocità costanti (oppure al limite che sia ferma).
Se volessimo quindi applicare questo metodo facendo dei bordi di bolina, oppure variando sensibilmente la velocità, l’errore diverrebbe rilevante. ln termini relativistici si può dimostrare (ma mi risparmio e vi risparmio la fatica), che, per non avere errori il moto della barca deve essere di tipo inerziale (deve cioè avere la caratteristica dello stato di quiete o di moto rettilineo uniforme).
Il metodo descritto per il calcolo della latitudine invece, non ha alcuna limitazione ed è quello classico e molto semplice, che consente di ricavarla rapidamente, conoscendo l’altezza vera (hv) di culminazione e la declinazione del Sole in quel giorno ed ora.
Nei tempi antichi, quando non esistevano ancora strumenti precisi di misura del tempo la latitudine era l’unico parametro conoscibile in navigazione, per cui le navi si portavano coti conveniente anticipo sul parallelo del porto di arrivo, e poi navigavano con rotta verso Ovest ed Est (a seconda dei casi) fino ad avvistare terra.
In conclusione, desidero dirvi che con questo metodo per il punto con il sestante, Mamaroa ha conosciuto con esattezza ogni giorno la sua posizione e questo consentiva di apportare le piccole modifiche di prua l°-,2°) per mantenere la rotta prefissata.
Tra la prima lettura di altezza e la meridiana, generalmente prendevamo l’aperitivo: mentre tracciavo sulla carta la latitudine ottenuta con la meridiana, Annette ultimava la preparazione del pranzo, al momento della seconda lettura d’altezza il pranzo era finito (forse ci sarà stato a volte qualche piccolo errore dovuto al … vino) e poi si andava a fare la “pennichella’.
Le oscillazioni di prua (pressoché simmetriche da una parte e dall’altra rispetto alla rotta seguita) e le piccole variazioni di velocità non hanno pressoché influenzato la precisione del risultato.
E la conferma di ciò l’ho avuta facendo a volte al tramonto o all’alba dei punti con le stelle (ho rilevato a seconda della necessità Hamal„ Deneb, Schedar, Vega, Fomalhaut, oltre naturalmente la Polare, e qualche volta la Luna ed anche un pianeta, Giove); questi punti stellari confermavano pienamente i risultati ottenuti con il Sole.
Ma il discorso delle stelle non fa parte dell’ABC per traversare l’oceano, è una cosa superflua (il Sole è più che sufficiente) che ho fatto più per divertimento che per altro, ed anche per sentire il fascino della tremolante luce di una stella portata sull’orizzonte con il sestante, nel momento solenne della caduta del giorno, e per poter continuare a fare i conti la sera alla luce della lampada a petrolio (mentre all’interno di Mamaroa si spargeva l’odore della cena che Annette stava preparando), fino a riportare con un cerchietto sulla carta la nostra posizione nell’immensità dell’oceano.
7 continua