martedì, Dicembre 3, 2024

Il sonno polifasico

Il sonno polifasico: sapete cos’è? ………e pensare che anche Leonardo da Vinci usava questa tecnica: infatti alternava 4 ore di veglia a periodi di “trance” di 20 min, raggiunta chiudendo gli occhi ed isolandosi in un logo tranquillo. Il tutto lo portava ad avere 6 periodi di sonno/riposo per un totale di 2 ore e ad avere 22 ore di veglia per tutte le altre attività.

Ho pensato che questo argomento potrebbe interessarvi, anche se forse pochi sanno che questo metodo è usato per chi naviga su lunghe tratte.

Inizio con le basi:
l sonno si compone di 5 fasi, tutte egualmente importanti e necessarie a creare il ciclo del sonno, che si ripete più volte durante la notte: basti pensare che ogni ciclo ha la durata di circa 90 minuti.

Le fasi del sonno

  • Fase 1: addormentamento
  • Fase 2: sonno leggero
  • Fase 3: sonno profondo
  • Fase 4: sonno profondo effettivo
  • Fase 5: sonno REM

Di queste 5 fasi, quella che desta il maggiore interesse è l’ultima, ovvero quella che comprende il momento del sonno REM: si tratta del momento che viene anche chiamato “Sonno Paradosso” durante il quale ci si abbandona completamente. Il corpo si rilassa e tutti i muscoli rimangono immobili, a differenza del cervello, che invece è nel pieno dell’attività.

REM significa Rapid Eye Movement e identifica perfettamente il momento del sonno in cui gli occhi si muovono molto rapidamente sotto alle palpebre ed è l’unico momento in cui avvengono i sogni, che sono possibili proprio grazie alla grande attività del cervello.

 Ed ora entriamo un po’ più nel dettaglio

Sonno monofasico

Questo tipo di sonno è il più comune in tutto il mondo nelle persone adulte. Il giorno è suddiviso in circa 16 ore di veglia e otto ore di sonno.

Sonno bifasico

 

Questa tipologia di comportamento è abbastanza diffusa nei paesi del sud e negli anziani. Sei ore di sonno durante la notte e un pisolino di circa 20 minuti durante il giorno. Una fase di sonno di circa sei ore è integrato con un pisolino di 20 minuti. C’è anche lo schema di 4,5 ore di sonno notturno e di 1.5 ore durante il pomeriggio.

Sonni polifasici:
Metodo Jederman

 

Questo modello di sonno ha una fase di sonno breve durante la notte (da 1,5 ore fino ad un massimo 4,5 ore) ed è completato da due a cinque sonnellini da 20 minuti ciascuno sparsi durante la giornata. Il tempo del sonno può essere ridotto in casi estremi anche per tre ore al giorno.

Metodo Dymaxion

Questo termine è un acronimo che significa “massima tensione dinamica”. Come si può vedere dal grafico, si può dormire con questo modello quattro volte 30 minuti al giorno, per un totale di due ore. I sonnellini devono essere fatti rigorosamente ogni sei ore.

Metodo Überman

Come il sonno Dymaxion, questa tecnica prevede solo due ore di sonno al giorno, divise in sei fasi da 20 minuti ciascuna ogni 4 ore.

 

Come funziona la teoria:  Dopo un periodo di transizione di due o tre settimane il sonno è praticamente nella fase REM. Dal momento che questa fase è considerata molto importante per la rigenerazione, si dà per scontato che modelli di sonno estremi come il Dymaxion siano sufficienti per la mente e per il corpo. In conclusione, può essere raggiunto il massimo del sonno REM in un tempo molto limitato. Gli esperti, però, concordano che il sonno REM non è sufficiente ma abbiamo bisogno anche del sonno profondo. Per il momento non vi è dunque nessuna certezza su quanto detto.

Cambiare i metodi di riposo e dormire meno fa restare in buona salute? Due ore di sonno al giorno non sono consigliabili e sono insalubri. Tutti sanno che dormire poco non fa bene. Non ci sono ancora sufficienti dati scientifici sul sonno polifasico. Gli studi sono ancora all’inizio ma in internet si possono trovare già molti self-report che riportano spesso vari effetti collaterali. Ad esempio, nei modelli estremi come il Dymaxion, la concentrazione viene a mancare.

Inoltre, il periodo di transizione in cui si inizia con il nuovo modello di sonno, è estremamente difficile. La persona è costantemente stanca, irritabile, le performance scendono drasticamente e non è possibile concentrarsi. Se si sono vissute due o tre settimane con queste modalità di sonno, possono comunque esserci ripercussioni anche in seguito. Ad esempio, può avvenire una diversa percezione di se stessi e si può passare da fasi di euforia a fasi di estrema stanchezza.

È veramente possibile applicare i modelli di sonno etremi? Ci sono persone che affermano di avere applicato per mesi il sonno polifasico ma di avere smesso perchè troppo faticoso. È evidente che questi individui hanno avuto carenze di sonno e riposo. Gli esperti sottolineano anche che viene a mancare il ritmo circadiano che, in poche parole, significa che durante la notte si ha una forte propensione per il sonno a causa della mancanza di luce solare.

Nel mondo dello sport si possono trovare tali modelli estremi di sonno più frequentemente. Ad esempio, gli sportivi che praticano maratone o partecipano a gare ciclistiche, si affidano spesso al sonno polifasico. In questo modo, la potenza viene mantenuta costante anche se il sonno è ridotto. Quasi tutti coloro che effettuano sport professionali utilizzano il sonno polifasico per mesi.

Il sonno monofasico è il più naturale per l’essere umano. Questo è ciò che ci viene da pensare. Il sonno monofasico, però, non è naturale, ma dettato dallo stile di vita quotidiano. Basti pensare che, prima dell’invenzione della lampadina, il sonno era prevalentemente bifasico e talvolta anche trifasico.

Conclusione: La maggior parte della sperimentazione del sonno polifasico termina con la cessazione. La ragione più comune, oltre la mancanza di riposo, è che il modello semplicemente non è pratico. Se si deve dormire ogni quattro ore, la vita sociale viene sfasata. Anche se abbiamo più tempo a disposizione, non necessariamente lo possiamo sfruttare.

Dopo questa  breve introduzione riporto ciò che Marco Nannini ha spiegato al riguardo, logicamente includendo la sua esperienza durante il suo giro del mondo.

 

In questi due articoli di Marco Nannini potrete chiarirvi le idee, e magari sperimentare la vostra capacità di adottare questo sistema ….ma non guidando la macchina….

La gestione del sonno polifasico in solitaria è uno di quegli aspetti che terrorizza il velista che non ha mai navigato da solo. Non è un argomento semplice né banale da affrontare e richiede molta pratica. Infatti solo col tempo si impara a gestire il sonno polifasico sia in solitaria sia in equipaggio ridotto. Ovviamente è ben diverso navigare in solitaria dal navigare in doppio. Tuttavia i principi che sono alla base della gestione del sonno polifasico in solitaria, ci servono a determinare i turni per le navigazioni in doppio.

Gestione del sonno polifasico – i principi fondamentali. Per capire da dove nascano le difficoltà nel gestire il sonno dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Quando nasciamo dormiamo e ci svegliamo ogni paio d’ore per una poppata. Il nostro corpo infatti non è affatto programmato per stare sveglio tutto il giorno e dormire tutta la notte. Dalla nascita ai 4-5 anni impariamo a dormire come un adulto ma lo facciamo andando contro natura.

Sonno polifasico di un roditore

Osservare i comportamenti di un neonato mentre cresce ci insegna moltissimo su quelli che sono i cicli del sonno polifasico naturale. In età ancestrale l’uomo era già abituato a dormire di notte e cacciare e coltivare di giorno. Ma se pensiamo all’uomo delle caverne probabilmente il sonno era un dormiveglia. Occorreva rimanere in guardia da possibili predatori che potessero sferrare un attacco.

Se andiamo ancora più indietro, non avevamo neanche la protezione del fuoco. Prima di domare il fuoco l’uomo sicuramente non poteva permettersi di sdraiarsi per una lunga notte di sonno. Nel nostro DNA infatti non siamo programmati per comportarci così. La gestione del sonno polifasico per l’uomo primordiale era legata alla sopravvivenza. La gestione del sonno monofasico per l’uomo moderno è legata a necessità di organizzazione sociale. L’homo sapiens rappresenta l’unica eccezione fra i mammiferi nella sua gestione del sonno che è passato da polifasico a monofasico.

Il bebè altera le proprie abitudini. Osservando un neonato alla nascita e pensando all’uomo pre-fuoco notiamo come sonno polifasico e veglia siano slegati dal giorno. Un bebè non dorme di più o di meno durante la notte, creando una drastica rottura delle abitudini della madre abituata al sonno monofasico. E’ la madre a partirne le conseguenze peggiori, dovendo svegliarsi ripetutamente e non essendoci abituata.

Il ciclo di sonno e veglia del bebè sembra essere legato a delle fasi di veglia e di sonno. La durata del sonno polifasico però inizialmente raramente supera le due ore. Crescendo, col passare dei mesi il bebè inizierà di notte a saltare uno dei periodici risvegli, concedendoci 3-4 ore di sonno semi-monofasico. Dopo altri mesi si sveglierà magari solo una volta di notte, ma avrà ancora bisogno di dormire nel pomeriggio.

Verso il 3-4 anni anche il pisolino del pomeriggio si tende a perdere. Il bimbo o bimba iniziano a concentrare tutto il sonno in una fase unica nella notte. Superati i quattro anni diventano dei professionisti del sonno monofasico notturno dormendo 11-13 ore di fila senza mai alzarsi. E’ importante capire che è il bebè ad adattarsi al mondo che lo circonda, ai genitori che dormono. La sua natura ancestrale lo porterebbe a continuare a dormire per pisolini o brevi periodi di sono. Ovvero la sua gestione del sonno naturale sarebbe completamente diversa.

Gestione del sonno: sonno polifasico e monofasico. Un bebè che dorme e sta sveglio per fasi alternate durante tutta le ventiquattro ore segue un sonno polifasico puro. “Poli” significa semplicemente multiplo, ovvero un sonno fatto di molte fasi. All’inizio per la disperazione della madre il suo sonno polifasico è perfetto. Ovvero può non solo svegliarsi di notte, ma rimanere sveglio per un po’ prima di riaddormentarsi. Chi ha figli riconosce benissimo queste parole e ricorda il proprio pargoletto pronto a giocare come nulla fosse nel cuore della notte.

Progressivamente il sonno polifasico diventa quasi puramente monofasico. Ovvero come detto nella notte inizierà a saltare un ciclo di veglia. Il bebè continuerà però durante il giorno con frequenti dormite proprie del sonno polifasico. Quando la durata del sonno notturno inizia ad allungarsi il sonno diventa semi-polifasico. Ovvero alterna un periodo monofasico (svariate ore consecutive) seguite da alternanza sonno veglia con un numero ridotto di dormite durante il giorno.


Crescendo il bebè non solo inizia a camminare e parlare, ma si adatta al sonno monofasico. Quello che era un sonno semi-polifasico può anche definirsi semi-monofasico. Ma quando il numero di dormite durante il giorno diminuisce ad una o due parliamo di sonno quasi-monofasico. E’ normale che per molti anni prosegua un periodo quasi monofasico. Solo dopo una certa età il bambino si adatta al sonno monofasico puro. Il sonnellino pomeridiano diventa opzionale, ma è importante capire perché quella dormita ha un suo ruolo preciso.

I cicli del giorno. Ci verrebbe da pensare che una persona in condizioni sperimentali seguirebbe un qualche ritmo legato alle 24 ore del giorno terrestre. In verità sono stati fatti studi in cui è dimostrato che il ciclo naturale dura circa 25 ore (ciclo circadiano primario). Lascio ai curiosi approfondire questo aspetto che è meno importante ai nostri fini. Inoltre, in assenza di elementi esterni, l’uomo tenderebbe ad allungare il proprio ciclo sonno veglia fino ad anche 36 ore.

Il secondo ciclo all’interno di quello giornaliero si chiama ciclo circadiano (secondario). L’allerta o la sensazione di sonno sono legati a fasi precise del giorno. Ogni timoniere che sia stato alla barra prima dell’alba conosce bene quanto siano dure quelle ore. Questo perché il nostro corpo sta lottando contro il naturale ciclo circadiano che lo porta ad una forte sonnolenza. Altro esempio di ciclo circadiano è la siesta pomeridiana. Se n’è perso praticamente la tradizione, ma la sua esistenza nasceva dalla naturale propensione al sonno.

Nel suo ciclo, a distanza di 12 ore dalle ore notturne, il corpo umano sente una naturale sonnolenza anche il pomeriggio. Questo quindi non ha nulla a che vedere con la luce diurna. Poter dormire quando il nostro naturale ciclo circadiano ce lo richiedesse sarebbe gran cosa. Purtroppo non è compatibile con la vita moderna che ci impone la veglia diurna continua. Tuttavia quando invecchiamo ed usciamo da queste logiche ecco che il sonno pomeridiano torna. Invecchiando il sonno monofasico si sgretola, e progressivamente torniamo ad un sonno polifasico.

Il singolo ciclo del sonno polifasico. Non tutto il sonno è uguale, e questo è un principio cardine per capire la gestione del sonno per il velista. Quando scendiamo sottocoperta, non ci addormentiamo subito, abbiamo una prima fase di adattamento. Nel momento in cui ci addormentiamo, il nostro sonno diventa progressivamente sempre più profondo. Impieghiamo circa 20-25 minuti ad entrare in fase di sonno profondo che tocca il suo massimo dopo circa 40-50 minuti.

A quel punto dalla fase di sonno profondo si risale verso uno stato di veglia. Nelle notti in cui crediamo di dormire ininterrottamente in verità dormiamo una serie di cicli singoli. Dopo altri 45-50 minuti, tecnicamente, a livello di attività cerebrale, siamo di nuovo svegli. Questa è la fase REM (Rapid Eye Movement) in cui sogniamo. Se venissimo svegliati in questo momento lo faremmo freschi e senza grossi problemi. Un ciclo di sonno dura dunque circa 1h 20′ – 1h’ 40′. Per diventare esperti nella gestione del sonno polifasico, dovrete arrivare a capire quanto dura un vostro ciclo completo.

Dunque, in equipaggio o in solitaria, quando le condizioni lo consentono, dobbiamo dormire per uno o più cicli. Devono però essere multipli del ciclo stesso dandoci anche il tempo di scendere sottocoperta, sdraiarci ed addormentarci. In altre parole il turno minimo di riposo deve essere minimo 2-3 ore. In molte regate in doppio ho alternato infatti 3 ore di sonno con 3 ore di veglia. Alternandomi con il mio co-skipper, avevo il tempo di scendere, mangiare, controllare la rotta, e dormire per un ciclo di sonno.

Gestione del sonno in equipaggio ridotto. Per equipaggio ridotto intendiamo la tipica regata in doppio. Ci sono varie strategie che si possono adottare per decidere la turnazione. Molto dipende dall’affiatamento dei due co-skipper e dal livello di preparazione rispetto alla gestione del sonno polifasico. Il mio consiglio è che, meno ci si conosce, più le regole devono essere ferme. Due co-skipper che navigano insieme da lunga data invece possono adattare ritmi più liberi.

Per fare degli esempi pratici, quanto navigavo con Paul Peggs, non avevamo turni fissi. Io e Paul prima di partire per la Global Ocean Race avevamo già fatto la Round Britain and Ireland insieme. Oltre a quella molti altri allenamenti. Inoltre avevamo notato che c’era una naturale abilità per me di stare sveglio di notte. Paul invece non amava le notti, anche perché era solito timonare tantissimo. Io invece dedicavo molto più tempo allo studio della rotta ottimale e dei dati meteo. Dunque nei miei turni usavo prevalentemente il pilota automatico e timonavo solo per piacere.

Questa faceva sì che entrambi ci sentissimo liberi di dichiarare semplicemente quando avevamo sonno ed andare a dormire. Andare a dormire quando si ha sonno è molto più efficiente che farlo su comando dunque aveva un suo merito intrinseco. La naturale alternanza fra noi due prevedeva dei momenti in cui eravamo entrambi svegli. In quelle occasioni discutevamo la strategia per le ore successive. Quando uno dei due dormiva veniva svegliato solo per manovre importanti o se l’altro si sentiva stanco.

Non perdere il treno del sonno. Gestire il sonno liberamente come facevamo io e Paul era un lusso. Risolveva molti problemi ma nasceva anche da una totale fiducia reciproca. Io tendevo a fare gran parte della notte ma Paul faceva gran parte del giorno ed in ogni momento potevamo chiedere il cambio. Questo approccio però richiede che entrambi siano abituati alla navigazione in solitaria e conoscano il proprio corpo. Il velista inesperto infatti male si adatta all’inizio perché gli viene chiesto di stravolgere le sue abitudini. Proprio come la madre che con un bebè viene svegliata quando era abituata a dormire.

Sia io che Paul avevamo fatto molte miglia di regate in solitaria ed eravamo in sintonia con le nostre esigenze. Quando sentivamo il nostro corpo richiamarci al sonno sapevamo di non dover perdere il treno. Nella gestione del sonno polifasico, quando la stanchezza chiama bisogna sempre cercare di dormire salvo impedimenti. “Non perdere il treno del sonno” è una frase cara a Claudio Stampi, guru mondiale della gestione del sonno polifasico per velisti. Il momento di stanchezza segue i micro cicli nelle singole fasi del sonno polifasico.

Su larga scala segue i cicli cicardiani, dunque la sonnolenza può sopraggiungere in momenti diversi. Ovvero anche durante la nostra veglia abbiamo un naturale alzarsi ed abbassarsi del livello di veglia. A questo si aggiungono i due grandi momenti di calo della veglia legati ai cicli cicardiani. Nella gestione del sonno polifasico dobbiamo appunto riuscire ad ascoltare il nostro corpo e rispondere.

Rompere le abitudini. Salvo essere affiatati ed allenati come era per me e Paul, consiglio sempre dei turni fissi nelle altre situazioni. Con il velista inesperto come co-skipper è difficile far capire che si passa in modalità sonno polifasico da subito. Il velista non allenato non sarà in grado di dormire durante il giorno. Durante la notte invece farà fatica a tenere una rotta decente al timone. Questo perché si trova spaesato e non ha mai “distrutto” le sue abitudini prima di quella regata.

Per molti versi un bebè è il miglior allenamento che si possa immaginare per un regatante in solitaria. Spezzare il sonno monofasico in polifasico è ciò che ci viene richiesto per diventare velisti in solitaria. Non solo questo, approfondiremo più avanti la gestione del sonno in solitaria.

Il velista che invece ha già navigato in solitaria sarà già passato da questo processo distruttivo delle abitudini. Nonostante a distanza di tempo a terra si torni al sonno monofasico, la memoria rimane. Soprattutto si è imparato ad ascoltare il proprio corpo, riconoscere gli stadi veglia e riposo relativi. Si impara a non aspettare quando è troppo tardi, e si crolla. Si impara appunto la gestione del sonno polifasico.

Come imparare a passare in modalità polifasica. Nelle prime regate in solitaria, il passaggio da sonno monofasico a polifasico è durissimo. Richiede 3-4 giorni di adattamento, che vuol dire che per le regate brevi non si arriva mai vederne i risultati. Sulle regate più lunghe invece dopo il terzo quarto giorno ci si accorgerà che il corpo si è adattato. Non si sente più questa enorme pulsione al sonno e la veglia legate al giorno e la notte.

All’inizio però addormentarsi sarà dura, soprattutto per l’ansia che mette l’idea di dormire. Dobbiamo tuttavia iniziare da qualche parte per arrivare al risultato. Il primo passaggio e quello di andare sottocoperta, mettersi comodi e imporsi con un timer di tenere gli occhi chiusi almeno 10 minuti. All’inizio non ci addormenteremo, tuttavia anche solo tenere gli occhi chiusi è dimostrato aiuti a recuperare una minima parte delle energie.

Dopo questi 10 minuti potremo fare il nostro giro di ricognizione all’esterno per poi riprovare subito. Puntate sempre una sveglia molto potente, anche se vi sembrerà non servire. All’inizio non vi addormenterete andando in sonno profondo. Ma una delle tante volte vi accorgerete magicamente che sì, forse avete dormito. Magari avete fatto un piccolo sogno, o comunque qualcosa non torna nei vostri pensieri. Siccome eravate svegli è come se foste entrati in fase REM ovvero una veglia nel sonno. Dopo ulteriori tentativi vi addormenterete e senza sveglia non vi sveglierete.

I micro-sonni nella gestione del sonno polifasico in solitaria. Quando avrete imparato ad addormentarvi in solitaria il lavoro più duro è fatto. Viene qui però in gioco la gestione del sonno polifasico vera e propria, ovvero quanto dormire? Dobbiamo fare una distinzione e renderci conto che la risposta dipende esclusivamente dalle condizioni e luogo di navigazione. In acque trafficate o magari con lo spinnaker in venti tesi difficile poter dormire molto. In oceano aperto su una bolina stabile senza nessuno intorno le cose sono ovviamente diverse.


Quando non possiamo dormire molto dobbiamo sfruttare un aspetto importante della gestione del sonno polifasico. I primi 15′ di sonno circa sono i più riposanti di tutto un ciclo del sonno, che dura un’ora e mezza circa. Dunque non potendo dormire molto dobbiamo cercare di dormire esattamente 15′. C’è chi arriva ad affinare il numero di minuti scoprendo che si sveglia meglio dopo 10, 12, 15. Non è una cosa casuale ma legata al nostro corpo e dobbiamo arrivare a scoprirla. Infatti questo sonnellino esiste nel nostro DNA, è quello che ci permetteva di rimanere in semi-allerta rispetto ai predatori.

I gatti sarebbero i migliori velisti in solitaria, abituati a continui pisolini e micro-sonni. Per noi umani invece è importante la relazione fra pisolino o micro-sonno ed un ciclo completo del sonno. Quello che dobbiamo evitare assolutamente è di dormire 45′. Ci sveglieremmo in stato confusionale dal profondo sonno senza magari neanche ricordarci dove siamo. Può essere persino pericoloso, dunque dotatevi di una buona sveglia.

Quando e quanto dormire in solitaria in acque trafficate. In solitaria vige la regola che non bisogna mai perdere un’opportunità di dormire. Se non riuscite a dormire chiudete gli occhi e riposateli. Fino a che ci troviamo in acque trafficate o in condizioni di navigazione instabili, i micro-sonni sono la nostra unica arma. Una persona ha bisogno di un minimo di 4h di sonno giornaliero per non dare di matto. Dunque se possiamo dormire solo 15′ per volta dobbiamo riuscire ad infilare un minimo di 16 micro-sonni nell’arco della giornata.

Il velista inesperto aspetterà la prima notte per i primi sonni. Si renderà presto conto che non riuscirà a colmare la stanchezza. Quando a questo si aggiungerà la botta di sonno del ciclo circadiano notturno sarà un momento davvero difficile. Il velista esperto invece inizierà sin dalla partenza a coricarsi e riposarsi anche se magari non dormirà al primo tentativo. La memoria del sonno monofasico va rotta, ma iniziando a coricarsi il corpo si inizia ad abituare. Dopo un po’ grazie all’accumularsi della stanchezza il velista inizierà con i suoi micro-sonni.
Una volta entrato in modalità polifasica fondamentalmente si dovrà cercare di dormire sempre. Ogni volta che la nostra veglia non è richiesta, ovvio nei momenti di maggiore allerta potremo stare svegli. Per contro quando avremo più sonno potremo infilare anche tre micro-sonni in una sola ora. Interrotti solamente dal tempo di mettere il naso fuori e vedere che non ci sia nulla da fare.

Gestione del sonno in acque aperte.  Nelle regate oceaniche, dalla partenza ero solito fissare un waypoint immaginario sul limite della piattaforma continentale. Ovvero il punto in cui il fondale del mare passava improvvisamente da poche centinaia di metri a migliaia. Questo perché quello è anche il limite fino al quale si spingono i pescherecci, che non pescano in Oceano aperto. Qui rimane solo il traffico degli altri concorrenti e quello commerciale.

Il traffico commerciale e degli altri concorrenti (che non siano un po’ stronzetti) si può tenere a bada con l’AIS. Purtroppo nelle regate brevi molti velisti spengono il proprio AIS per non dare informazione sulla propria posizione. E’ un gesto molto scorretto perché crea pericoli inutili per il resto della flotta. Una volta in acque meno trafficate, e con un buon allarme AIS possiamo passare alla fase polifasica pura. Ovvero non solo più fatta di micro-sonni, ma, quando le condizioni lo permettono di cicli di sonno polifasico. A seconda delle condizioni di regata le due modalità di gestione del sonno possono essere mischiate.

Tutte le volte che ne avremo l’opportunità, dormiremo un ciclo completo di 1h 30′. Da ripetersi anche più volte dopo aver verificato tutto quanto intorno a noi. Dopo 2-3 giorni di navigazione in mezzo a navi e pescherecci avremo bisogno di recuperare le forze e vedo questa fase come fondamentale. Tuttavia i velisti professionisti, specie dei multi scafi non passano mai alla fase due. Fanno tutta la regata esclusivamente con micro-sonni. Ellen MacArthur durante il suo record del giro del mondo senza scalo non dormì mai più di 20 minuti, la media era 15′.

Gestione del sonno polifasico in equipaggio ridotto. Abbiamo prima visto l’esempio di due velisti entrambi allenati e preparati. Paul ed io potevamo organizzarci come credevamo e questo non ci creava problemi. Tuttavia con due skipper che si conoscono meno è meglio fissare dei turni fissi. La prima opzione è quella di alternare 3 ore di veglia con 3 ore di riposo. Lo skipper in veglia cercherà di non svegliare l’altro se dorme per le manovre, salvo se necessario.

Quando si sveglia per necessità il proprio co-skipper dategli sempre qualche minuto. Potreste infatti averlo svegliato in sonno profondo e farlo uscire subito in pozzetto può essere pericoloso. La formula 3-3 è piuttosto faticosa ma è l’unica che funziona se c’è disparità di esperienza fra i due membri dell’equipaggio. Facendo solo 3 ore di riposo, che poi non sono tutte di sonno, potrà lasciare indicazioni precise al co-skipper. Questi, sarà istruito anche di svegliare lo skipper più esperto in caso di situazioni non previste o cambi vento.

Se i due skipper sono entrambi in grado di fare tutte le scelte del caso in solitaria, preferisco la formula 6-6. Alternando 6 ore di veglia e di riposo, è vero che i turni diventano lunghi e più faticosi, specie di notte. Però la possibilità di farsi una dormita di quattro ore e mezza (3 cicli) ci permette di recuperare bene le forze. Inoltre lascia a chi è di riposo più tempo per gestire le altre attività. Controllare rotta e meteo, mandare eventuali email, mangiare, cambiarsi.

Gestione del sonno in equipaggio. Se invece di essere solo due a bordo siamo in equipaggio le opzioni sono parecchie. Se ruotiamo su due squadre la mia scelta ricadrebbe sul 6-6. Tuttavia la versione ridotta a 3-3 spesso non è praticabile. Perché con più persone che si muovono è difficile che tutti facciano le giuste ore di sonno. Dunque si può fare 4-4 o raddoppiare a 8-8. Qui sta allo skipper decidere, se il secondo in comando è equivalente si può pensare all’8-8. Altrimenti per gli stessi ragionamenti fatti per il doppio, abbasserei a 4-4.