martedì, Dicembre 3, 2024

I miei ricordi di Bernard Moitessier – di Antonio Coppi

Ciaociao, ho già presentato un bel ricordo di Moitessier, ma quando l’amico Antonio Coppi mi ha detto di averlo conosciuto personalmente, non ho resistito alla lusinga di proporvi l’articolo che ha scritto su di lui, e ve lo propongo SIC ET SIMPLICITER…….e  spero che tenendovi aggiornati sulle regate intorno al mondo, sui navigatori che vi presento, e sull ”andar per mare”, scopriate anche voi  di avere ”acqua salata nelle vene “….

Vi anticipo che prossimamente fra i personaggi del mese conoscerete Chicca Pestarini, Sara Teghini, Margherita Pelaschier e Marco Nannini…

Un ringraziamento dovuto al poliedrico Comandante Tony, che sta organizzando la crociera di addio alla vela, da Fenike al Mar Nero, aspettando al ritorno dall’ultima crociera un suo racconto sullo stile di navigazione che da anni lo caratterizza sul Fabinou

                             

Conobbi Bernard  Moitessier a Venezia nel 1990 in occasione della presentazione di alcuni suoi filmati girati durante la Golden Globe Challenge del 1968, la prima regata intorno al mondo in solitario e senza scalo. Quando, dopo la completa circumnavigazione del mondo stava vincendo la regata e il relativo ricchissimo premio (un globo d’oro e 5000 sterline!), rinunciò a tagliare il traguardo e sempre senza scalo proseguì per un altro mezzo giro del mondo, fermandosi finalmente a Thaiti. La sua navigazione senza scalo durò oltre dieci mesi.

Della sua vita, delle avventure di mare raccontate nei suoi libri si è scritto tantissimo, e il suo ricordo rimane nel cuore di chi lo ha seguito con passione in quegli anni ormai lontani. Con queste poche righe voglio solo aggiungere un ricordo personale, che fino ad oggi ho custodito gelosamente.

Nel 1990 lavoravo per Italia Oggi e fui avvisato dal collega Giorgio Casti, (fondatore e direttore di Bolina, morto a soli 65 anni il 30 novembre del 2009) che aveva intervistato Bernard a Parigi e lo aveva poi invitato in Italia.  Avevo letto tutti i libri di Moitessier, che allora erano la Bibbia dei sognatori dei mari lontani, perciò il 12 febbraio del 1990 avevo pubblicato un articolo a piena pagina con la storia della sua vita e delle sue avventure. Il giorno successivo Giorgio me lo presentò. Rimasi impressionato dalle sue mani grandissime e nodose,  dai suoi occhi di un azzurro intenso e dalla sua precisa richiesta di far tradurre il mio articolo, perché voleva leggerlo. Più tardi quel giorno, dopo la proiezione di alcuni suoi filmati, facemmo una lunga chiacchierata a tre. Mi spiegò che troppe cose inesatte erano state scritte su di lui  e che aveva voluto controllare il mio articolo. Poiché lo aveva trovato assolutamente aderente ai fatti si congratulò con me e volle autografarmene una copia. Siccome sulla carta del giornale l’inchiostro sbavava, facemmo fare una fotocopia a grandezza naturale dell’articolo e lui la firmò in alto sulla destra.

Il nostro rapporto continuò e l’anno dopo lo andai a trovare a Parigi, dove  al suo ritorno in Europa (1987) si era sistemato in un piccolissimo appartamento, dove stava completando la stesura del suo libro “Tamata e l’alleanza”. 

                               

Era già ammalato del cancro alla prostata, che lo avrebbe portato alla morte. Avevo l’idea di realizzare un film su di lui, girandolo nei luoghi della sua vita, una specie di docufilm che avrebbe dovuto mettere in luce non solo la sua storia di navigatore solitario, ma anche gli aspetti della sua personalità fuori dell’ordinario.  I francesi amavano di più altri navigatori come  Eric Tabarly e Alain Colas, entrambi scomparsi in mare, forse perché meno schivi e perciò mediaticamente più esposti, ma io ritenevo e ritengo tuttora Bernard Moitessier  in assoluto il più grande, naturalmente in rapporto alle conoscenze tecniche e ai personaggi dell’epoca.

Un anno dopo avevo trovato un possibile finanziatore francese, monsieur Aladino Ferrari, proprietario della società Sigestra con sede a Parigi, che aveva ascoltato con simpatia e interesse il mio progetto.  Con lui e con il suo responsabile della omonima barca – un ammiraglio italiano in pensione – si era instaurato un piacevole rapporto durante le regate dei maxi, che seguivo sempre per quel giornale, allora di proprietà del gruppo Finedit (che faceva capo a Raul Gardini)  e del quale tenevo la rubrica di tecnologia del mare.

Convincere Bernard non fu una cosa semplice, ma riuscii a trovare la chiave per fargli accettare l’idea: quella di far meglio capire le sue vere motivazioni nei confronti di una società di cui non condivideva la superficialità e l’egoismo.

Fissai un appuntamento con lui e lo andammo a trovare – l’ammiraglio come referente di monsier Ferrari ed io – nel suo piccolissimo appartamento. Ci accolse in una stanza assolutamente priva di mobili, con qualche vecchio tappeto a coprire i pavimenti, senza seggiole o tavoli. Bisognava togliersi le scarpe e sedersi in terra, tipo tenda araba.  Io che lo conoscevo non ero in difficoltà, ma avevo fatto l’errore di non avvisare l’ammiraglio, che era vestito di tutto punto, con gilè, giacca e cravatta e scarpe lucide allacciate.  Fece una gran fatica a togliersi le scarpe,  e vestito come era non gli fu possibile sedersi. Rimase in piedi e  tra lui e Bernard non nacque alcuna empatia; anzi l’ammiraglio lo considerò subito un povero disgraziato mezzo sbarellato. Bernard aveva  ascoltato le mie spiegazioni e chiarito i suoi punti di vista, semplici, che dovevano rispettare la sua personalità e le sue idee. L’’ammiraglio, in totale difficoltà, lo ascoltava con scetticismo e non interloquiva  Rivedo ancora oggi la scena e se da un lato allora feci fatica a non ridere, dall’altro provo ancora una certa amarezza, perché in pochi minuti il mio progetto affondò sotto la disapprovazione e i silenziosi siluri dell’ammiraglio. Due anni dopo il 16 giugno del 1994  Bernard morì a Vanves.

A mio avviso questo film, girato con lui, oggi sarebbe un documento prezioso per la storia della vela e dell’uomo, che ha navigato gli oceani su imbarcazioni con l’albero fatto con un lo spirito degli antichi navigatori, a cui la vela ha permesso di vagabondare per i mari in piena libertà, affrontando ogni situazione con il vero spirito di avventura.

Spazi immensi e natura incontaminata, che ti mettono a confronto con te stesso,con le tue paure più profonde, con le tue emozioni più coinvolgenti. Questo è il mare che ci ha consegnato Bernard Moitessier.

 Siccome sulla carta del giornale l’inchiostro sbavava, facemmo fare una fotocopia a grandezza naturale dell’articolo e lui la firmò in alto sulla destra.

 

«… guardo il mare ascoltando la nota cantata dalla prora. E vedo un piccolo gabbiano posato sul mio ginocchio… Avvicino lentamente la mano. Mi guarda lisciandosi le penne. Avvicino ancora la mano. Smette di lisciarsi le penne e mi guarda senza timore. Sembra che i suoi occhi parlino. Avvicino la mano ancora un poco… Allora mi parla… e mi racconta del Bel Veliero dove molti uomini sono rimasti ancora marinai. Questi non portano guanti, per sentire meglio la via delle manovre e delle vele, camminano scalzi e serbano il contatto con il loro bastimento, così grande e bello e alto, i cui alberi arrivano lassù fino al cielo. Parlano poco, osservano il tempo, leggono nelle stelle e nel volo dei gabbiani, riconoscono i cenni che i delfini gli fanno. E sanno che il Bel Veliero corre verso la catastrofe.»

Perché Moitessier, quando era già praticamente il vincitore dei premi posti in palio per il primo giro del mondo a vela senza scalo in solitario, preferì rinunciarvi e, invece di approdare in Inghilterra, proseguì per conto proprio, compiendo un altro mezzo giro del globo e andando all’atterraggio di Tahiti?
Ora Moitessier, in questo che è il più meditato e sofferto dei suoi libri, racconta quel viaggio: in che modo e perché lo intraprese, e dove lo ha condotto la sua «lunga rotta». Si è trattato, infatti, di un viaggio di scoperta, oltreché di una memorabile impresa velica: un viaggio che ha rivelato solo per gradi, al navigante stesso, la sua vera natura.

La «lunga rotta» non è solo sulla carta nautica, non si svolge solo nella realtà del mare, del vento e del cielo, ma anche nell’intimo di Moitessier, e si traduce, alla fine, in un abbandono del mondo occidentale, in un ritorno alle fonti dell’Oriente. Storia di mare, storia di un uomo.