ARTURO, ancora oridinaria follia
Continua il racconto del comandante Tony Coppi dal pozzetto del Fabinou, in navigazione fra le isole dell’Egeo assieme ai suoi ospiti che da anni lo accompagnano fedelmente. A bordo con lui non ci si annoia mai, nè in navigazione nè tantomeno a tavola, dove i suoi manicaretti lasciano sempre a bocca aperta. In questa puntata leggiamo i suoi incontri con l’Amerigo Vespucci e con il Corsaro Secondo della Marina Militare ………
4- Arturo, ancora ordinaria follia di Tony Coppi
“Come diavolo aveva fatto a conciarsi così?”
Mario è rimasto colpito dalla vicenda della ragazza.
“La puleggia di rinvio della scotta, fissata sul boma, aveva i bordi taglienti. Una strambata improvvisa e la poveraccia l’ha presa in testa di striscio. In fondo poteva andare peggio. Io ho preso un colpo di boma durante una regata e sono rimasto svenuto per quaranta minuti e ne porto ancora le conseguenze”
“Già ma il boma della tua barca era un’altra cosa!” interviene Giovanni.
“È vero, sto solo dicendo che se la colpiva diversamente poteva avere guai ben peggiori. Comunque ti assicuro che vedere quella bella ragazza con la faccia coperta di sangue è stato un vero shock anche per me”
“Ci credo!”
“Continua a raccontarci del sommergibilista”
“Va bene, se non vi annoio vi racconto ancora qualche episodio della telenovela dell’Arturo”
“Dai, che siamo curiosi”
Intanto, come succede normalmente a metà mattinata in queste acque e di questa stagione, il vento è aumentato e tende a girare di qualche grado in prua.
Puggiamo di una decina di gradi a sinistra verso l’inconfondibile profilo dell’isola di Rodi, qualche smanovellata sui winches per stringere leggermente di più e non allontanarci troppo dalla rotta e Fabinou continua la sua corsa su questo mare appena segnato da qualche crestina bianca.
Un giorno in banchina a Fiumicino verso le sei del pomeriggio assisto ad una scena da film. Vittorio mi racconta l’antefatto. Antonio si accorge che una luce di crocetta è bruciata e decide di cambiarla. Prende il bansico da me costruito con una tavola di quercia da quattro centimetri di spessore (volevo che fosse sicura a tutti i costi!!!) con quattro fori da dieci ai quattro angoli, ai quali avevo fissato una cima per farne una specie di altalena, da fissare poi sulla drizza della randa. Sull’Arturo non c’erano winches, ma solo bozzelli e paranchi. La drizza di randa era armata con un semplice bozzello in testa d’albero.
Il sommergibilista aveva chiamato a raccolta la moglie, tarchiata e ben strutturata, con dei polpacci a dir poco michelangioleschi, e le figlie, mettendole tutte in fila a tirare sulla drizza per issare il bansico.
“Lidia issa!”
“Che faccio, isso?”
“Issa ti ho detto”
Dopo vari sbuffi e improperi Antonio arriva in crocetta:
“Lidia, fissa!”
“Che faccio, fisso?”
“Fissa, fissa”
Lidia dà volta sulla galloccia e Antonio comincia ad armeggiare per cambiare la lampadina. Le donne si disperdono, chi in tuga, chi torna a sedersi in prua.
Dopo una decina di minuti di smadonnamenti il sommergibilista riesce a cambiare la lampadina.
A quel punto io arrivo in banchina.
“Lidia molla!” urla Antonio dall’alto. Lidia è sottocoperta.
“Lidia, Lidia, me voi lascià qua tutto er giorno, movete, molla t’ho detto”
“Che faccio, mollo?”
“Molla, molla”
Lidia scioglie il mezzo collo sulla galloccia e lascia la drizza. Il bansico precipita di colpo sul ponte e la colpisce di taglio su un piede. Lidia comincia ad urlare saltellando sul ponte:
“Ahi Ahi, a disgraziato, m’hai azzoppata, viè giù che te sistemo io”
Antonio, che per sua fortuna o per premonizione è rimasto aggrappato con gli avambracci in crocetta, urla a sua volta:
“A fia de na mignotta, me voi ammazza’, artro che piede, manda su il bansico!!”
Ma Lidia saltella urlando e se ne frega del marito a penzoloni in crocetta.
Il tempo di correre verso la passerella, ma Vittorio arriva prima di me e issa il bansico. Antonio arriva sano e salvo sul ponte e invece di ringraziare Vittorio si lancia sulla moglie, ancora urlante, sbraitando i peggiori improperi. Le figlie assistono impassibili, forse abituate a scene di quel genere.
Meno male che Vittorio è lesto a mettersi in mezzo, sennò avrei assistito ad un’altra scena di ordinaria follia!!!
Devo dire la verità, non riuscivo a smettere di ridere.
Ridono anche Mario e Giovanni
Dopo un poco Mario mi chiede: “qualche ricordo più bello?”
Mese di maggio, uno splendido cono di sole che ci segue per tutto il fine settimana.
Massimo, Giorgio ed io stiamo navigando verso l’Argentario, dopo aver passato la notte a Cala Galera.
In giro solo un peschereccio. Giorgio e Massimo si mettono nudi, togliendosi anche il costume.
“Ragazzi, state attenti che questo solicchio è più pericoloso di quello di agosto!” Incominciano a prendermi in giro e si attaccano il bollino delle ciquita sulle parti intime. Mentre ballano sulla tuga non si accorgono che io punto sul peschereccio. Lo lascio a sinistra di pochi metri. Mentre passiamo sentiamo una voce dal peschereccio: “Ricchiuni, ricchiuni” e una risata generale….
Loro se la pigliano con me. Ma sono amici di spirito e la cosa finisce con un bicchiere di bianco, tenuto in cambusa per le grandi occasioni. La cosa sarebbe stata dimenticata se…. La sera a Porto S.Stefano ho dovuto preparare una crema di acqua e olio di oliva emulsionati perché si stavano spellando…potete immaginare dove e con che bruciore!
Un’altra volta, sempre a Porto S.Stefano ormeggiamo in banchina sulla passeggiata.
Montiamo la pesante passerella di legno massiccio, fissata sul ponte con un perno centrale inserito in un bicchiere sulla coperta, armata con venti laterali, fissati a due gallocce sul capodibanda di poppa, issata con la drizza della randa.
Mi preparo di tutto punto, pantaloni bianchi e giacca blu con bottoni oro, mocassini neri con la parte superiore bianca, di moda alla fine degli anni sessanta. Tutto appositamente imbarcato per quel momento e – speravo – per un possibile rimorchio. Mi pettino accuratamente e mi preparo per uscire in gran pompa. I due amici (Giorgio è figlio di un ammiraglio) che hanno recuperato il fischietto, lanciano tre fischi acuti e modulati e annunciano: “il comandante lascia la nave”. La passeggiata è affollata. Faccio tre passi sulla passerella e il vento di babordo troppo lento fa partire di colpo la passerella sul lato con il relativo conseguente arresto secco: e io….. volo in mare!!!!
“Bellissima!” Mario e Giovanni ridono di cuore.
Giorgio e Massimo mi aiutano a risalire a bordo, zuppo come un pulcino, La cosa peggiore non è la risata dei passanti in banchina, ma due ragazze che si avvicinano premurose alla passerella e chiedono se mi sono fatto male…..Una tale ferita al mio orgoglio che lì per lì non volevo più uscire.
Da quel giorno e per molti anni non ho più portato abiti eleganti a bordo! Ma due settimane dopo lo dovevo rimpiangere amaramente.
Un sabato di fine maggio stiamo navigando da Fiumicino verso Civitavecchia. Al largo di Ladispoli vediamo al largo l’Amerigo Vespucci, maestosamente invelato, che naviga verso Civitavecchia. Cazziamo e stringiamo per metterci sulla sua rotta. Quando ci passa a una sessantina di metri dico a Massimo di issare sulla crocetta di sinistra la bandiera italiana. Un minuto dopo l’equipaggio dell’Amerigo si schiera lungo la murata e fa il saluto alla voce. Una emozione incredibile, che non posso dimenticare e che ancora mi dà i brividi. Poi sento suonare il baracchino sul 16. “qui Vespucci, sono il marconista. Il comandante si congratula con voi, siete dei marinai”
Io sono confuso, rispondo:“Ringrazi il comandante, siete bellissimi”
“Stasera a Civitavecchia c’è festa a bordo e siete invitati”
“Ringrazi il comandante, ma non abbiamo vestiti adatti, siamo in jeans”
Dopo un minuto di pausa sento di nuovo la voce del marconista:
“Il comandante dice che i bravi marinai sono sempre i benvenuti con qualsiasi abito”
A Civitavecchia l’Amerigo era attraccato sul molo vicino alla nave scuola argentina “Libertad”. A bordo la festa era elegantissima, per cui appena entrati ci guardammo in faccia e decidemmo di andarcene subito. Fummo maleducati, ma non ce la sentivamo di passare in mezzo a quei cadetti in alta uniforme e alle ragazze di Civitavecchia tutte tiratissime per l’occasione. Lasciammo al primo cadetto che incontrammo saluti e ringraziamenti per il comandante.
Il giorno dopo facemmo amicizia con alcuni ragazzi della Libertad, che ci regalarono il loro guidone. Lo tengo ancora gelosamente tra i miei cimeli nautici…ed è passato mezzo secolo.
Un altro ricordo di splendida vela: Eravamo ormeggiati sotto la antica torre di Marciana Marina all’Elba, che svetta sul molo foraneo. Dalla fine degli anni settanta il molo foraneo è stato allungato, ma all’epoca terminava appena una ventina di metri oltre la torre. La mattina verso le dieci arrivò il Corsaro Secondo della Marina Militare, allora comandato dall’ammiraglio Bernotti.
Stava iniziando a soffiare il libeccio. Lo splendido veliero diede fondo nel piccolo bacino dell’angiporto, appena riparato dall’inizio del molo, ma aperto alle onde di rimessa. L’ammiraglio era elbano e aveva la casa di famiglia proprio sul lungo porto di Marciana, praticamente davanti alla prua del Corsaro. Tre minuti di scialuppa e sarebbe stato in famiglia, ma non scese. La notte il vento aumentò e la barca rollava e beccheggiava paurosamente.
La mattina verso le sei mi svegliarono i fischi del nostromo. Guardai fuori dall’oblò e assistetti allo spettacolo più affascinante della mia vita: Il Corsaro aveva issato tutte le vele e stava uscendo dalla baia per affrontare i cavalloni frangenti, infuriati dal libeccio che soffiava dal pomeriggio precedente sempre più forte. Il Corsaro tutto sbandato sulla dritta affrontò il primo cavallone alzando una valanga d’acqua fin sopra la prima crocetta e subendo un arresto che lo fece tremare fino alla testa del maestro. Poi riprese velocità e superò la barra tra onde e sprazzi di spuma che spazzavano la coperta. Uno spettacolo di forza e di ardimento che mi bloccò il respiro: non mi vergogno a dirlo, mi si rigarono le guance di lacrime di commozione.
Incontrai l’ammiraglio Bernotti qualche anno dopo sulla passeggiata di Marciano, davanti al bar “La Torre” e lo invitai a prendere il caffè. “Venga, andiamo a prenderlo a casa mia e facciamo due chiacchiere. Ero con l’amico Vittorio, giornalista RAI di lungo corso. Nella bella villetta dell’ammiraglio lui ci raccontò alcuni aneddoti della sua vita. Io gli ricordai quella libecciata e la sua uscita da Marciana e lui ridendo mi disse che aveva preso anche una “arronzata” perché avrebbe dovuto andare a Portoferraio, dove era atteso per il giorno prima, ma aveva ceduto al piacere di fermarsi a Marciana…