Il mio pacifico (9)
IL MIO PACIFICO (9)
Hiva Ora
Venerdì 24 maggio
La sosta a Fatu Hiva è durata più del previsto, con la scusa di aspettare Leopoldo che arrivava stanotte, e così martedì è trascorso in rada a cazzeggiare. Abbiamo fatto visita a un’altra barca di italiani appena arrivati con un “cigalle”, bellissimo cutter in alluminio , abbiamo barattato con Jaques 2 bottiglie di rhum con 2 polli e due frutti dell’albero del pane, siamo scesi a terra sperando di trovare uova e verdura, ma inutilmente. All’ufficio postale speravamo di trovare le ricariche telefoniche ma senza soldi polinesiani non è possibile fare acquisti, per cui …tutto rimandato alla prossima isola, la capitale delle Marchesi, dove c’è tutto, anche l’ospedale.
Abbiamo incontrato l’equipaggio di una barca spagnola formato da tre ragazzi giovani che si sono presi un anno di vacanza dopo l’università per andare in Australia: l’entusiasmo che comunicavano e l’energia che sprizzavano era elettrizzante, ed è stato un piacere fare quattro chiacchiere con loro; ci avevano già visto in altri tre porti, ma non c’era stata occasione di incontrarci, e così piano piano si sta ricostruendo la “carovana” che da Panama ha fatto la traversata per andare in Polinesia e Australia.
Tutto il giorno è stato contraddistinto da acquazzoni violenti, le nubi basse in questo caso caratterizzano il panorama, e solo a sprazzi il sole ha ridato vita ai colori dell’isola, regalandoci tavolozze pastellate che solo a queste latitudini troviamo.
Abbiamo 11.5 ore di differenza di fuso con l’Italia, e telefonare diventa un po’ un problema, con il rischio di svegliare qualcuno nel cuore della notte o di essere svegliati, come mi è già capitato 2 volte.
Ora che non c’è più il “pathos” della traversata, la vita di bordo si snoda con un tram tram non sempre eclatante: mentre in navigazione tutto ha una logica, e si accettano senza problemi i condizionamenti dati dai turni, in rada le cose cambiano, e dobbiamo fare i conti con la promiscuità che non sempre si accetta, con le abitudini alimentari di chi detiene “le chiavi” della cucina, e con la scusa che non c’è verdura fresca tornano prepotentemente in tavola la pasta, la pizza, le patate, e non è mancato il famoso pasticcio, oltre a “turbare” il minestrone aggiungendovi la pasta (pure in quello). Volete sapere l’ultima: stasera è stata scoperta dimenticata in frigorifero una delle cacciottine fresche “primo fiore” che avevamo comprato a Isabela…. poteva essere una pasta in meno…
Mercoledì mattina, ore 7, prima di salpare per Hiva Ora
Piove, in pratica da tre giorni, l’acqua del mare è diventata marrone, e mi ritrovo come dieci anni fa a Raiatea (Polinesia) quando rimanemmo due settimane sempre chiusi in barca ad aspettare che smettesse. Non c’è nulla da fare, nulla, solo aspettare. Non è facile abituarsi a queste situazioni, senza divenire preda di se stessi, perché in queste condizioni emergono tutti i lati del nostro carattere (del nostro essere) che normalmente rimangono assopiti. Solo una forte capacità di autocontrollo, d’introspezione, di analisi, di oggettiva valutazione consentono di affrontare e superare periodi così. In effetti uso la parola “periodi” perché oltre i tre giorni di condizionamento esterno noi cambiamo, non siamo più quelli di prima, sia nei rapporti con gli altri che con noi stessi.
Solo una buona dose di autocontrollo, disciplina, capacità di oggettivare le situazioni consentono di essere noi stessi, e gestire ogni situazione durante questi periodi.
Mercoledì 22/5 ore 18, appena arrivati a Hiva Ora
Abbiamo dato fondo dentro il porto, con un’ancora anche di poppa per non ruotare, perchè non c’è molto posto. È stata una navigazione tutta sotto la pioggia scrosciante, ma per fortuna all’arrivo ha smesso, almeno così non ci siamo bagnati. Alla partenza invece….non vi dico, sono rimasto in costume, almeno acqua per acqua, poi mi sono asciugato, cambiato, e sono montato di guardia fino all’arrivo. Ho appena testato la connessione internet e sembra che funzioni….vedremo se sarà vero.
Venerdì 24/5 sera
Non era vero…le connessioni interne sono lentissime, a pagamento, saltano continuamente non sono affidabili, quindi nulla da fare; questa è la situazione alle Marchesi, e come se non bastasse in paese non c’è alcun internet caffè ne postazione a pagamento che consenta un collegamento affidabile, e pertanto dovrò fare a meno di qualsiasi spedizione voluminosa. Volevo spedire le fotografie che avevo preparato, ma dovrò accontentarmi di inviare le news con la radio di bordo.
Veniamo a noi…. Ieri mattina sono sceso subito a terra sotto una pioggia scrosciante per andare in paese a fare alcune commissioni: dovevo farmi delle analisi in ospedale, ma ho subito scoperto che è una pia illusione: ogni campione di sangue sarebbe stato inviato a Papete e prima di una settimana non si sarebbe potuto avere l’esito dell’esame, per cui…tutto rimandato alla prossima occasione buona, che non so ancora dove sarà. Poi ho cambiato un po’ di soldi (1€=110 franchi polinesiani), ho visto dove sono i supermercati, l’unico bar/trattoria del paese, l’ufficio postale (unico posto dove vendono le carte telefoniche), e con il tassista l’argomento principale è stato Paul Gauguin, mentre Jacques Brel è ignorato.
Sembra che l’isola sia frequentata dai turisti solo per andare al museo e alla sua tomba, e che il governo francese non faccia nulla per favorire lo sviluppo dei servizi turistici per i naviganti che vi arrivano dopo la traversata del Pacifico, che invece sono la fonte principale del movimento economico. Mediamente ci sono trenta barche alla fonda, ognuna si ferma dai tre ai sei giorni, e solo per rifare cambusa vengono spese centinaia di €uro; noi per esempio ne abbiamo spesi un migliaio, oltre a 300 di gasolio ( e per fortuna ne abbiamo consumato solo 200 litri…..2 ore al gg per il generatore e una decina di ore di motore). Infatti anche parlando con altri operatori del posto, la lamentela è stata uguale: tutti i soldi che arrivano dalla Francia rimangono a Papete, e qui arrivano solo gli spiccioli, quindi niente internet, niente ristoranti, niente servizi turistici, niente assistenza ospedaliera di qualità, niente marina per il diporto. Per fortuna c’è un molo ben protetto, dove arrivano alcune navi per garantire i collegamenti con Papete. Ieri ce n’erano due, e in poche ore hanno scaricato tutto il carico per Hiva Ora, e ritorneranno fra circa un mese.
La sera sono arrivati Rosaio e Leopoldo, cui abbiamo fatto assistenza per la posa dell’ancora a poppa, sotto una pioggia scrosciante e al buio, ma avevano bisogno di aiuto, e non lo si poteva negare…Ho così conosciuto Leopoldo, il solitario, veneziano, amico anche di Carlo Venco, che teneva la barca a Monfalcone, un Gran Soleil 48…
Oggi infine siamo stati tutto il giorno a terra, anche se lasciare la barca è sempre un traffico: c’è sempre un’altra cosa da fare, e nonostante ci si programmi per tempo, non riusciamo a sbarcare prima delle 9, quindi tutta la giornata parte a rilento; in paese i negozi aprono alle 7, il mercato chiude alle 11, e logicamente chi tardi arriva male alloggia; non abbiamo trovato più niente e quindi…santo supermercato, dove i prezzi sono più cari che rispetto a noi anche del 30%, a parte gli alcolici che lo sono anche del 300%: una bottiglia di Gin Gordon più di 60 €……
Anche la parentesi culturale ha avuto la sua attenzione, con la visita al museo di Paul Gauguin (nulla di particolarmente unico) e al cimitero in cima a una collina, da dove si domina il mare, dove lui è sepolto vicino a Jacques Brel: due semplici tombe, due belle lapidi, un pensiero che vi riporto:
Passant, homme de voiles, homme d’etoilles, ce troubadour enchanta nos vies de la mer du nord aux Marquises. Le poete, du bleu de son eternità, te remercie de ton passage.
Domani gita in macchina intorno all’isola, armati di macchina fotografica e tanta curiosità da appagare, sperando che non piova.
26 maggio
Hiva Ora
Sabato. Anche in questa seconda tappa delle Marchesi ho avuto la possibilità di visitare l’isola. Siamo partiti di buon’ora e a bordo di un 4×4 guidato dal marito di Mary Jo, la signora che ha il monopolio locale dei taxi, delle gite guidate e della lavanderia, con meta principale il sito archeologico più importante delle Marchesi dove avremmo potuto ammirare i Tiki, grandi statue che testimoniano e rappresentano la tradizione polinesiana degli abitanti delle isole e dei loro antenati.
Le strade all’interno sono mediamente buone, alcune con il fondo in cemento altre sterrate, e si snodano in mezzo ai boschi o sui crinali a picco sul mare, dai quali si scende nelle baie sulle cui rive sorgono i villaggi. Vegetazione molto fitta, con tutte le varianti di piante possibili, perfino il teck, e sopra i 1000 metri hanno piantato anche i pini, importandoli dall’America.
Anche qui, come nelle precedenti isole, le piante da frutto abbondano, sia nei giardino di tutte le abitazioni sia nei boschi, dove costituiscono cibo per capre, pecore, maiali, galli e galline (quasi tutto selvatico e libero di essere cacciato), ed uccelli di ogni tipo: ho notato una quantità abnorme di tortorelle, chissà perché proprio questa specie….
Sparse nell’isola ci sono molte fattorie, dove abbiamo visto mucche e cavalli, quest’ultimi vengono affittati ai turisti per le visite all’interno dell’isola “fuori pista”. Siamo ripetutamente saliti sopra gli 800 metri per scollinare le montagne al centro dell’isola e portarci prima nel versante a nord e poi a est, dove ci sono gli insediamenti più interessanti. In una fattoria gestita da francesi, all’interno di una grande serra c’era la coltivazione della vaniglia, preziosissima spezia, in un’altra piantagioni di cocco per la produzione della farina di copra, sul tronco delle cui piante era visibile una alta cintura di latta (quindi scivolosa) per impedire ai topi di salire a mangiare i frutti (ricordate Moitessiè?), e nell’ultimo villaggio la gestione del sito archeologico affidata ad una famiglia privata.
Qui abbiamo pranzato gustando ottimi piatti locali: frutto del pane fritto (sembra patata un po’ dolce), banana selvatica al forno, e banane cotte simil confettura. Poi pesce crudo marinato con carote, cipolle e latte di cocco, capra al forno e spezzatino di manzo con riso. Succo di pompelmo e caffè alla vaniglia, anche se l’equipaggio non sa mai rinunciare alla birra, che da sola costa ¼ del prezzo del pranzo…..
Due parole sul sito: è ben conservato, uno spiazzo in mezzo al bosco con terrazze sfalsate di pietra lavica dove si possono notare alcune pietre sulle quali i giovani promessi al matrimonio dovevano tatuarsi prima della cerimonia, e le statue ad altezza d’uomo volte a Sud che dominano il sito dalla terrazza più alta. Tutto attorno ci sono piante da frutto, per fortuna c’era il sole, e l’atmosfera ravvivata dai colori dei cespugli fioriti conferiva all’ambiente un’atmosfera sacrale quasi mistica.
Anche qui il sabato e la domenica sono festivi, non che negli altri giorni la popolazione sia molto impegnata: a parte i servizi sociali, amministrativi e commerciali, mancano attività industriali e artigianali, per cui ci siamo ripetutamente chiesti come faccia a vivere la popolazione locale.
È vero che l’isola sembra un paradiso terrestre, c’è di tutto per il sostentamento (e che qualità…), e l’accumulo del reddito non sembra essere presente nella loro mentalità corrente, ma i negozi sono frequentati, la gente compera, girano automobili (pick up) che costano (ma mancano motociclette e biciclette), e quindi i soldi da dove provengono?
Forse sovvenzioni statali, sicuramente qualche forma di sussistenza da parte della Francia, tant’è che alle ultime elezioni il partito che proponeva l’indipendenza non ha raccolto particolari consensi.
La nostra guida oggi ci spiegava che finchè c’è la Francia che paga, tutti stanno bene, quindi perché cambiare?
Durante la gita siamo passati in mezzo a tre villaggi, tutti ordinati, le case lungo l’unica strada costellata di piante fiorite e colorate. In effetti il colore ravviva ogni insediamento abitato, e tutte le donne portano all’orecchio un fiore bianco profumato, lo stesso fiore simbolo della Polinesia con cui intrecciano anche le ghirlande.
In una baia, con mare un po’ agitato e onde alte, una canoa con bilancino doveva “atterrare”, e abbiamo assistito a una provetta manovra da parte del conducente: si è messo con la canoa perpendicolare alle onde, ne ha atteso una di alta, ha accelerato e serfando sulla cresta dell’onda ha spiaggiato sull’arenile, dove è stato aiutato a trascinarla a terra…Complimenti.
Lunedì 27 maggio
Hiva Ora
Domenica è sempre domenica, diceva una vecchia canzone, che qui alle Marchesi è più valida che mai. Tutto il paese, o quasi, si ritrova in chiesa alla messa delle 8: le persone sono vestite con l’abito della festa, le donne agghindate e con le corone di fiori in testa o il fiore bianco all’orecchio, durante la cerimonia risuonano i canti i lingua nativa, e l’atmosfera di pace e “festività” permea tutti.
C’è molta partecipazione, sapevo che i polinesiani in genere sono molto religiosi, e ne ho avuta la conferma anche qui. Sono momenti di aggregazione e all’uscita dalla messa tutti si ritrovano sul piazzale a chiacchierare, ed anch’io ho conosciuto il sacerdote con il quale ho fatto due parole.
Il panettiere apre solo un’ora dopo la messa per distribuire il pane, dopodiché il paese si svuota, tutti tornano a casa oppure si ritrovano nei ristoranti dei due alberghi che organizzano il pranzo in occasione della festa del mare, che cadeva proprio ieri, 26 maggio…dalla mattutina fino al pomeriggio: 40€ tutto compreso, piscina, colazione e pranzo, bibite comprese, e premio per la mamma con il miglior costume (non da bagno…ah ah ah).
Dal panettiere mi son comprato anch’io una baguette fresca, una coca e dei formaggini, e me ne sono andato a zonzo per il paese. Non pioveva, finalmente, e così sotto il sole ho potuto archiviarmi alcune immagini che non scorderò: in riva al mare c’era un ragazzino di dieci anni con il suo cavallo nero di un anno, al quale stava insegnando a non avere paura dell’acqua. Lo ha fatto scendere piano piano fra gli scogli, lo ha montato a pelo, e quando questi non ha più voluto avanzare nell’acqua è sceso, lo ha tirato per la cavezza e lo ha portato ad immergersi mezzo metro sopra al garretto, lo ha lavato, è ritornato sulla spiaggia e lo ha cavalcato sull’arenile.
Gli ho parlato, e mi ha raccontato che il suo è il più bel cavallo dell’isola, nato dalla cavalla di proprietà del fratello maggiore, e lo segue tutti i giorni, e non lo venderà mai….è suo….
Ho incontrato in riva al mare anche il primario dell’ospedale che con la moglie faceva il bagno: è arrivato a Hiva Ora da tre mesi, viene dal nord della Francia, Normandia, e fa un po’ fatica ad abituarsi; lo credo, un passaggio non certo indolore, ma a volte il lavoro o il bisogno di lavorare ci portano in lidi lontani, che comunque ci consentono di vivere dimensioni diverse e acquisire un’esperienza di vita che ci servirà sempre, in ogni situazione.
La mattinata si è poi trascinata lentamente, cercando un collegamento internet vicino alla posta, o alla polizia, o all’albergo, ma nulla, sembra una risorsa stellare, e, prima che diventi patrimonio “sociale”, credo passi ancora del tempo. E così sono costretto a rinunciare a spedire le foto agli amici, a collegarmi a skipe, e accontentarmi di una telefonata a casa a costi…..stellari..
Lunedì sera.
Tahuata
Fatte le provviste di pane per tre giorni, nella mattinata ci siamo diretti verso Tahuata, la terza isola programmata nel giro delle Marchesi. Si trova a poche miglia da Hiva Ora, per cui ce la siamo presa con calma e abbiamo salpato le due ancore (prua e poppa) senza particolari problemi: Angelo è rimasto sul dinghi con la cima dell’ancora di poppa, abbiamo salpato quella di prua, siamo ritornati a prendere Angelo che ci ha dato la cima a prua da passare sul salpa-ancora, abbiamo tirato a bordo prima il dinghi e poi l’ancora, e dopo aver separato la cima dalla catena e dall’ancora abbiamo riposto tutto nei gavoni di prua e siamo partiti. Siamo riusciti a schivare due acquazzoni per puro miracolo, e questo si è perpetrato perché siamo arrivati a destinazione poco dopo le 13 con il sole. Ne avevamo bisogno dopo tanta umidità, e la vista di una baia protetta e profonda, la spiaggia di sabbia bianca con le palme sullo sfondo, l’acqua azzurra e trasparente dove una manta piccolina si intravedeva fra le onde, ci hanno “costretto” a tuffarci subito per prendere contatto con tanta bellezza. Con la maschera mi sono avventurato sotto costa, e finalmente ho visto un po’ di pesce, bei ricci di mare con gli aghi lunghissimi, qualche corallo ma soprattutto un’acqua trasparente e pulita; credo che questa baia ci ospiterà qualche giorno, anche perché abbiamo la cambusa piena di verdura e frutta, molta raccolta durante le gite, che con piacere da alcuni giorni mangiamo a tutte le ore: anche oggi sia a pranzo sia a cena ho evitato la pasta…magno cum gaudio….
Sabato durante la gita, ho raccolto un sacchetto di peperoncini freschi, e la sera a bordo dopo averli tritati li ho messi in un vasetto e coperti di olio: stasera con il minestrone hanno già riscosso i primi consensi, perchè il peperoncino fresco così trattato lascia in bocca un sapore unico, e ve lo raccomando, ora che in Italia arriva l’estate.
È notte, Franco e Angelo dormono in coperta: c’è la luna calante e il cielo è pieno di stelle.
Era dalla traversata che non avevo più visto una stellata così, e prima di scendere in cuccetta a scrivere (devo approfittarne quando sento che il comandane attacca il generatore), mi ero sdraiato a prua per farmi una dose di polvere di stelle a poco prezzo. Fra un po’ quando avrò finito di scrivere tornerò fuori, non voglio perdermi un saluto alla croce del sud e un pensiero alla polare che si può immaginare sotto l’orizzonte, sul prolungamento del lato del carro…. È bello essere qui, e forse la lontananza dai nostri lidi e la difficoltà per raggiungere l’oltreoceano (Pacifico) rende ancor più unici questi momenti, anche se siamo purtroppo spesso soli ad immergerci in questi paradisi. Peccato. Rimarranno i ricordi dentro di me e tante immagini catturate da far vedere agli amici,e tanti spunti per chiacchierare in pozzetto.
Giovedì 30maggio
Hiva Ora
Siamo ritornati in porto a Hiva Ora per una sosta tattica: dobbiamo fare provviste per alcuni giorni perchè ci trasferiremo prima in una baia ad Hanamenu, a nord di Hiva Ora, e poi navigheremo verso Nuku Iva. Neanche a parlarne di internet, per cui rimanderò ogni speranza di collegamento alla prossima tappa.
Che bella l’isola di Tatuata: un nome una garanzia; avevo letto che avremmo trovato le spiagge più belle della Marchesi, ed effettivamente è stato così. Prima la sosta ad Hanamoenoa, baia incantevole con una spiaggia dove le palme arrivavano fino al mare, acqua trasparente e finalmente il piacere di rivedere un po’ di vita sotto il pelo ……dell’acqua, pesci di tutte le dimensioni, un grosso polipo, ed anche la comparsa del corallo e dei ricci dai lunghissimi aghi. Non vi nascondo che il piacere di nuotare in queste acque è appagante, anche se un po’ impegnativo per la corrente e per il respiro dell’oceano, che anche con mare calmo si fa sentire facendo alzare e abbassare l’acqua di oltre mezzo metro, per cui rimanere fermi a guardare in profondità attaccati a una parete è quasi impossibile. Ieri era in programma una visita ad altre due baie e a un villaggio, e alle 8 eravamo già in movimento: qui fa chiaro prima delle 6, tutti sono in piedi ben prima delle 7 e neanche volerlo si può rimanere in cuccetta, tant’è che alle 7.30 il caffè è già un ricordo.
La giornata soleggiata ci ha messo subito di buon umore, anche per merito del panorama che si scopriva man mano che procedevamo lungo la costa, con verdi crinali che scendevano dalle montagne, tanto che sembrava di essere nelle nostre montagne della Val Gardena. A un certo punto dietro ad un capo sono rimasto a bocca aperta per due motivi: alla fonda c’era un Cigalle francese da 18 m, bellissimo, aggressivo, scalpitante, armato a cutter, nero e grigio (ormai stanno quasi facendo concorrenza all’Amel per la ripetuta presenza in questo tratto di oceano); poi è apparso il villaggio di Vaithau, da favola, con una chiesa in primo piano il cui campanile poteva far invidia a una chiesa gotica, una fila di casette colorate, un campo di calcio con le tribune, una scuola, un molo d’attracco che invogliava a scendere a terra, il tutto con lo sfondo di una piantagione di palme per la copra che si perdeva in lontananza sui fianchi della valle.
Un piacere per gli occhi e per lo spirito, e la soddisfazione di riscontrare che le Marchesi offrono continue sorprese.
Abbiamo visitato il villaggio, la scuola, la chiesa, un piccolo negozio e la mostra dell’artigianato locale, con monili ricavati da ossa di balena, di pesce spada (spadone) e di corna di cinghiale, e anche le perle nere, caratteristica della Polinesia. Gli abitanti sono gentilissimi, ci hanno invitato a prendere tutta la frutta che volevamo, ed anche ad andare a caccia, perché sulle montagne (come ho già scritto) c’è di tutto e la caccia è libera; pensate poi che nel prato di una casa stavano giocando a biliardo su un tavolo regolare….altro che fuori dal mondo. Ho saputo che sparse nell’isola ci sono anche le vacche allo stato brado: immaginatevi una battuta di caccia dalla quale si torna con una bestia da 500 Kg squartata a pezzi….e qui lo fanno!
Abbiamo poi proseguito verso le altre due baie di Hanatefau e Hapatoni con i suggerimenti di un ragazzo che ha voluto imbarcarsi con noi per un paio d’ore, e ci ha portato in vicinanza di una grotta, dove i delfini vanno a partorire. Lo spettacolo che la natura offre ai nostri occhi è superlativo, ed è difficile spiegarlo, forse lo potranno fare le foto che ho scattato, perché è tutto un susseguirsi di boschi che arrivano sul mare, con i cocchi che spuntano ovunque, alberi di lime, spiagge incontaminate, con villaggi le cui stradine sterrate sono delimitate da piante e fiori, alberi da frutta che spuntano ovunque, gli abitanti che ti dicono che puoi prendere ciò che vuoi, …beh, che volete che voi dica, sono rimasto senza parole….da scrivere.
Ultima nota di colore che vi racconto: all’andata ci ha fatto compagnia per mezzo miglio un branco di delfini, al ritorno poco prima di dar fondo all’ancora una manta con apertura alare di oltre 2 metri ha nuotato pigramente per farsi notare quasi sotto la nostra prua, e alla fine un tramonto degno della tavolozza di Gauguin ha fatto da sfondo all’ultimo bagno della giornata.
Stiamo togliendoci la voglia di frutta fresca, pompelmi giganteschi e succosissimi, manghi, papaia, banane, cocchi e altri frutti che non conoscevo e che il comandante ogni giorno porta a bordo, e tutto gratis, ci manca solo andare a caccia. Siamo invece prudenti sul pesce, perché il rischio della cicutera è alto, e non vogliamo correre azzardi, per cui aspettiamo….le aragoste…che prima o poi dovremmo trovare.
Stasera siamo nella baia di Hanamenu, stretta in fondo ad un a valle con montagne molto alte, peccato che la pioggia oggi ci abbia disturbato e di conseguenza contaminato il mare facendolo diventare fangoso; dovendo rimanere chiusi in barca i cuochi si sono dati da fare, ed Angelo ci ha deliziato con una crostata alla banana accompagnata da un cocktail a base di Rum, cocco fresco e banana….
Sabato 1 giugno
Isola UA POU
Baia D’Hakahetau
Baia Hakahau
Anche l’isola di Ua Pou, di origine vulcanica, non è male, anzi si fa subito notare per gli alti pinnacoli che si stagliano verso il cielo; sono dodici in tutta l’isola, un record mancato da Messner, le montagne superano i 1000 metri di altezza e pareti a strapiombo cadono sull’Oceano lasciando in evidenza lastre di granito pronte da essere lavorate. Ieri sera siamo arrivati poco dopo le 17 alla baia D’Hakahetau, ma alle 17.30….è subito sera, e non si vede neppure la prua della barca.
Stamane solita sveglia all’alba delle 6, grazie anche ad un violento acquazzone, ormai è diventata un’abitudine, e stancamente si fanno arrivare le 8: scendiamo a terra per un giretto, approdiamo ad un molo con un alto frangiflutti e ci troviamo di fronte un altro scenario da paese di favola: i ragazzini fanno il bagno tuffandosi in mare, i pescatori puliscono il pesce (grossi snappers pescati alla traina direttamente dalle canoe), ed alcuni giovani stanno mettendo le canoe in acqua per andare a pagaiare.
Saliamo lungo la solita unica strada, contornata di casette e piante colorate, ci fermiamo a prendere il pane, e veniamo a sapere che c’è un italiano poco distante che ha un ristorante; ci andiamo subito, e troviamo Piero, che di italiano ha solo le origini dei genitori siciliani; vive qui da 7 anni, sta bene ed è felice, ma oggi non lavora perché sta arrivando sua figlia da Parigi. Pazienza, comunque eravamo di passaggio, e poco dopo ce ne torniamo a bordo per salpare verso Baia Hakahau. Distante solo poche miglia, è una baia con porto ben protetto, e diamo fondo mettendo l’ancora di poppa per rendere più sicura la permanenza. Ci fermeremo due giorni, sabato e domenica, e magari vedremo qualcosa di caratteristico, perchè sentiamo musica e c’è aria di festa ….e scoprirò che è vero.
Nel pomeriggio non resisto, la musica mi incita, e decido di andare a terra a nuoto. Con 4+4 bracciate arrivo in spiaggia, e mi avvio in esplorazione; c’è una specie di ristorante, dove cucinano alla brace, lungo la strada ci sono campi di bocce, dove stanno giocando e in fondo alla baia spicca una sala, dove molte persone stanno a guardare e dalla quale arriva la musica. È una maratona di ballo, per la quale si sono date appuntamento tutte le ragazze dell’isola, ed anche i ragazzi cresciuti come ragazze, secondo la consuetudine polinesiana per la quale il primo nato (maschio o femmina che sia) deve provvedere a tutti i lavori domestici; non vi nascondo che sono molto belli, cresciuti in mezzo alle ragazze, effeminati anche gestualmente, molto naturali e per questo non danno fastidio alla vista, tutt’altro.
La musica è tutta ballabile, non solo ritmi locali, ma la particolarità è che tutti ballano seguendo le indicazioni della maestra, con movimenti e gesti delle mani, braccia e bacino che rappresentano la simbologia e la tradizione polinesiana. In prima fila spiccavano alcune ballerine con un corpo da sballo, si muovevano sinuosamente e riscuotevano il plauso della platea. Mi sono allora ricordato di dieci anni fa, quando a Raitea assistetti al ballo che fecero in nostro onore quando arrivammo con la barca, e noi maschietti rimanemmo soggiogati dalla grazie del ballo e delle ballerine….
Sono rimasto attaccato alla ringhiera mezz’ora, il ritmo era contagioso, le ballerine anche, la musica accattivante e dopo mesi di digiuno da spettacoli di questo genere mi sono veramente divertito, molto, e poco prima che facesse buio sono rientrato a nuoto in barca , felice, …per così poco….
Sapete chi era arrivato? Alessio, con il Baltic, che avevo incontrato a Scelter bay, prima di Panama, che ha attraversato il Pacifico in solitario in diciotto giorni (mitico!) ed è alle Marchesi da un mese. Lui mi piace molto, e mi sono fermato a fare due chiacchiere sotto bordo alla sua barca…
Mi ha raccontato che alla prossima isola che toccheremo non dovremmo avere problemi con internet, e anche questo mi ha messo di buon umore.
Domani ci vedremo a terra, e ne faremo altre due….chiacchiere….
Lunedì 3 giugno
Nuku Hiva
Oggi, con una bella veleggiata di 25 miglia, vento al traverso e sole siamo arrivati a Nuku Hiva, l’ultima meta dell’arcipelago delle Marchesi, l’isola più grande e forse la più ospitale ed occidentalizzata. Ciò non toglie che alle 18, con il sole appena tramontato ed il buio incipiente, tutto il paese si fermi e non c’è alcuna possibilità di sentirsi “globalizzati”: il molo è completamente al buio, e se qualcuno volesse sbarcare con il dinghi avrebbe sicuramente problemi, specie con un’onda di un metro che anche di giorno complica la vita.
La baia è molto ampia e profonda, all’entrata due grossi scogli fanno da sentinella (li chiamano così), e dentro abbiamo contato oltre 45 barche alla fonda, fra cui tre italiane oltre alla nostra.
Appena arrivati ci è venuto a salutare Giovanni, un ragazzo italiano appena laureato in medicina, che per premio si è preso 6 mesi di vacanza per la traversata del Pacifico: è qui da un mese, imbarcato con un francese, ha fatto il giro dell’isola fermandosi in tutte le baie, che ha detto essere molto belle, ed ha fatto amicizia con alcuni ragazzi del villaggio, con i quali è andato una settimana in giro sui monti a cavallo a caccia. Ce lo raccontava come la cosa più naturale del mondo, e questo mi ha fatto molto piacere, perché in fondo ho la riprova che non è così difficile viaggiare.
Certo che le Marchesi sono veramente belle, ed hanno mantenuto quel fascino di terre lontane che una volta apparteneva ad un sogno. Sono tutte isole vulcaniche, tutte molto verdi, tutte pochissimo abitate, tutte offrono sostentamento perché hanno di tutto… ed hanno mantenuto le tradizioni polinesiane che possiamo riscontrare nei giorni di festa: le canzoni, i balli, lo sport, l’ospitalità.
Il fatto di essere così lontane dalle terre continentali le salvaguarda dalla corsa al consumismo, e comunque lascia spazio ad uno sviluppo controllato che ognuno potrebbe intraprendere senza turbare altri equilibri.
Ieri per fare due chiacchiere, abbiamo fatto due conti:sapendo che sono almeno 1000 barche (ma sono molte di più) che passano di qua ogni anno, ed ogni barca ha una media di 2 persone a bordo, che sicuramente hanno bisogno di servizi oggi non presenti, e sarebbero disposti a spendere tot €uro per averli, ci è risultato un possibile business di mezzo milione di €, non male. Ora fate voi un conto di quante possibilità ci sarebbero di venire quaggiù per cambiare vita, privilegiando la qualità della vita, con al certezza di non …morire di fame: basterebbe un po’ di intraprendenza, di voglia di lavorare, perché i bisogni ci sono già, acclarati da parte di tutti i naviganti che arrivano, che hanno bisogno di assistenza, conoscono il valore di certi servizi e che sarebbero disposti a spendere per averli.
Manca internet, manca un servizio taxi-boat, manca un bar, manca un’offerta organizzata di servizi turistici, manca un ristorantino appena a terra, servizi che per esempio alle Galapagos c’erano, e riguardano le stesse barche che poi passano alle Marchesi; non parliamo poi del meccanico o altro artigliano un po’ specializzato… quindi non venitemi poi a dire che non c’è lavoro o che non ve lo avevo detto. Venite alle Marchesi.
Mercoledì 5 giugno
Nuku Hiva
Vi siete mai punti con i ricci, quelli con gli aghi lunghi 10 cm che vi trapassano quasi il piede? Ebbene, è capitato proprio a me, che di solito sono molto attento, ma è stato inevitabile, e tutto a seguito di una…buona azione.
Ieri era stata una giornata buona: dopo aver fatto le analisi in Ospedale (equipe gentilissima e preparata, anche se per un esame del sangue devono mandare le provette a Papete, per cui i risultati li riceverò via email..), ero riuscito a collegarmi a internet e spedire tutte le foto in giacenza, oltre 250, collegarmi a skipe e spedire le news. Poi un pranzo alla marchesana con altri equipaggi, e infine rientro a bordo……ma senza l’ancorotto del dinghi: si era impigliato sul fondo e non si riusciva a spedarlo, per cui lo avevamo lasciato in mare con una cima a terra in attesa di una soluzione.
Il comandante mi ha chiesto se mi sentivo di scendere in apnea a liberarlo: fondale di 4/5 metri, non si vedeva niente per il fango portato dalla pioggia, e il giorno prima, sullo stesso molo che funge anche da pescheria, c’erano squali da 2 metri che divoravano gli scarti gettati a mare, ma nonostante tutto, pur se con una certa riluttanza, avevo accettato.
Mi ero preparato di tutto punto, respirazione profonda e poi giù, nelle viscere del mare, seguendo prima la cima e poi la catena. Visibilità…a palpo, arrivo in fretta sul fondo e trovo l’ancorotto impigliato dentro ad un corpo morto; senza fatica lo libero e risalgo in fretta, perché anche se gli squali erano pinna bianca, che dicono essere inoffensivi, quando ti passano vicino non lasciano tranquilli, e lo metto sul dinghi.
C’era bassa marea, l’onda dell’oceano ha un respiro di un metro, e la risalita sul dinghi era difficile, per cui il comandante mi dice di salire con la scaletta attaccata al molo, forse sarebbe stato più facile .
Purtroppo non è stato così, il riflusso dell’onda di un metro non consentiva un facile accesso alla scaletta, e mi son trovato improvvisamente senza acqua sotto i piedi, attaccato ad un piolo con le mani, e con i piedi a cercare un appoggio sulla parete del molo. L’ho trovato subito, anzi l’onda mi ci ha messo sopra quando con il cavo inferiore mi ha depositato su un gruppo di ricci neri che non si vedevano sui quali ho appoggiato il piede destro. Non vi dico il dolore, non sapevo cosa poteva essere stato, se mi ero tagliato oppure rotto il piede, poi ho pensato ai ricci, e a denti stretti con la paura di perdere la presa mi sono arrampicato con un piede solo in cima al molo, dove sono stramazzato ancora in preda allo spasmo. Riesco a guardare il piede, e vedo tante punte che sporgono dalle dita e dalla pianta, e capisco che mi è capitata grossa. Volevo andare subito in ospedale, ma alle 16 non c’era nessuno, e quindi non mi restava che farmi portare a bordo dove il comandante ha cercato di estrarmi qualche aculeo.
Purtroppo i risultati sono stati scadenti, il piede mi faceva male, ma non avevo alternative ne rimedi. La sera in rete parlando con i radioamatori, suggeriscono di fare bagni con acqua e sale, ma preferisco aspettare la mattina seguente ed andare in ospedale. Detto fatto, stamane ci sono andato, accompagnato da Angelo, mi hanno subito riconosciuto, la dottoressa mi ha preso in consegna il piede e mi ha dato la terapia: antitetanica, non metterci le mani con aghi, ma lasciare che la natura faccia il suo corso; tre impacchi al giorno con acque e betadine, pomata di osmogel, e in pochi giorni dovrebbero uscire o essere assorbiti, perché l’aculeo è calcareo, per cui deve sciogliersi, e mal che vada mi farà un po’ male qualche giorno, ma poi passerà. Sarebbe stato meglio mettere subito il piede a bagno nell’aceto, per sciogliere gli aculei, ma dopo quindici ore era tardi. Ora sono in ..branda, ho già fatto tre bagni e tre impacchi con la pomata, ho contato oltre venti punti neri più o meno profondi, tre mi fanno male solo a guardarli, ma so che passerà, deve passare. Lunedì risaremo in porto e ripasserò dall’ospedale per un controllo, non si sa mai…..
E così ho avuto anche questa esperienza, ma avrei preferito evitarla.
Oggi pomeriggio siamo partiti per fare il giro dell’isola, ci fermeremo nelle baie più interessanti, e porteremo a casa anche le impressioni di quest’ultima isola, sicuramente la più “occidentalizzata”, anche se siamo lontani anni luce dalle nostre abitudini.
Giovedì 6 giugno-mattina
Sono scesi tutti a terra, e sono rimasto a bordo a curarmi le ferite, anche perché non appoggio ancora la pianta del piede. Però lo sapete che già da oggi non ho più punte di riccio in evidenza sulla pianta del piede? due sono uscite, forse le altre si sono sciolte ..meglio così.
Siamo nella baia del controllore, orientati per SE-NW, ormeggiati con due ancore (prua e poppa), per non soffrire il rollio, così la barca rimane ferma con la prua al mare (ma non al vento). Noi in Mediterraneo non siamo abituati a questo ormeggio, ma da queste parti è d’obbligo per non traversarsi, specie quando le onde entrano in rada da direzione diversa da quella del vento.
Tutto attorno a noi le montagne scendono ripide in acqua, dove anche qui regnano incontrastate le capre : ieri ne ho contato un branco di oltre cinquanta, che in fila indiana attraversavano un costone con il caprone in testa.. in fondo alla baia si apre la valle, coltivata a banane, vaniglia e cocco, e le sfumature di verde rigoglioso testimoniano la presenza di molta acqua dolce, ed infatti piove ogni notte
Come vi dicevo non mi sono ancora fidato a scendere a terra, ho il piede ancora dolente, e ne approfitto per gustarmi questi spazi a bordo (di tempo e di luogo) con grande serenità. Gli amici che mi scrivono mio dicono che sono fortunato con questa esperienza, e di godermela, e pensandoci effettivamente devo riconoscere che sono riuscito a realizzare molti sogni, mettendo a profitto molte esperienze, che inserite nell’arco della mia vita, possono risultare utili per molte riflessioni, se non come esempi.
Sono sintonizzato con la radio su una stazione delle Marchesi in francese che trasmette anche bella musica, e mi rinfranca la buona scuola di questa lingua che ho ricevuto da giovane, a casa, dove con mia madre parlavo questa lingua abitualmente assieme all’italiano. Mi torna spesso utile, tant’è che anche ieri in ospedale mi hanno fatto i complimenti per la scioltezza con cui la parlo. Grazie mamma, anche se purtroppo basta l’astinenza di qualche mese per dimenticare le parole che servono .
Giovedì 6 giugno-sera
Siamo venuti con una breve navigazione in una baia a Nord che non smentisce la bellezza delle atre baie che abbiamo visitato finora. Un villaggio a terra, un’insenatura dove si sta tranquilli alla ruota, anche qui montagne che si stagliano alte tutto attorno, poche altre barche alla fonda, un’acqua pulita e trasparente, un reef con teste di corallo che domani andrò a vedere.
Si sta bene, una pace che fa bene allo spirito, un cielo stellato e forse stanotte non pioverà.
Venerdì 7 giugno
Nuku Hiva-baia D’ANAHO
Mettiamo giù la traina? No! Abbiamo già il congelatore pieno! Ecco, questo mi fa incazzare, perché devo subire una cucina con piatti invernali, mentre potremmo gustare piatti freschi adatti a queste latitudini, con provviste locali, e dare giro alle riserve; abbiamo in congelatore ancora carne e gamberi da Cartagena, mentre potremmo divertirci a pescare, oltre che eventualmente usare il pescato come merce di scambio. Pazienza.
Ieri abbiamo pulito l’opera viva della barca, quattro ore di duro lavoro armati di raschietto e carta/spugna abrasiva, ma con un buon risultato: le alghe verdi si erano formate lungo tutto il bagnasciuga, mentre sotto la carena erano bianche, forse per la mancanza di clorofilla. Sempre ieri il comandante aveva prenotato un pranzetto a terra presso un pescatore, a base di poisson cru, pesce fritto e maialino al forno; peccato che fosse stato fissato come orario alle 12, mentre noi siamo arrivati con mezz’ora di ritardo ed il cibo fosse tutto freddo, a parte il pesce crudo che non ne ha sofferto.
L’atterraggio alla spiaggia era avvenuto attraverso una pass, perché in questa insenatura abbiamo trovato il primo reef, con coralli e pesci in buona varietà e quantità.
Sabato 8 giugno
Nuku Hiva-baia di Haapu
Siamo alla fonda, praticamente sotto l’aeroporto, tant’è che sul moletto attraccano i taxi acquatici da e per la capitale dell’isola, oltre a fermarsi periodicamente le navi che depositano le merci utilizzando le chiatte. Acque limpidissime, un bagno finalmente “giusto” ed una bella nuotata, con una visibilità sul fondo fino a 15 metri, tant’è che ho visto la catena e l’ancora ben piantata , oltre ad ammirare molte qualità di pesce, fra i quali quelli azzurri, piccolini, che sembrano fluorescenti, e mi ricordano altri meravigliosi fondali da favola che ho visto alle Surin Similan (Thailandia) , a Los Roques (Venezuela) e sul Ma Rosso….ma no solo.
Ora me ne sto sdraiato in pozzetto, l’ora della siesta pomeridiana, musica di sottofondo, all’ombra del tendalino, e davanti agli occhi il riverbero del sole sul mare, che mi riporta con la mente alla siesta nel pozzetto del sound of silence, alla fonda in un’isola dell’Egeo o a Premuda, dove accompagnavamo il percorso del sole durante il giorno, fra un bagno e l’altro, due cosette da mettere sotto i denti, il rito dell’aperitivo, con l’unica preoccupazione di stare bene, in pace, tranquilli e senza rotture di scatole, in armonia fra noi e con il mondo! Mi piace, oggi è una bella giornata, forse la prima vera giornata di mare anche grazie al sole che sembra essere ritornato a scaldarci le ossa e a debellare la pioggia (oggi è luna nuova…), ridando colore al paesaggio; e più tardi altra nuotata rigeneratrice: voglio tornare a casa in forma!
Domenica 9 giugno
Nuku hiva-Daniels Bay
…e così con la sosta a Daniel Bay abbiamo terminato il giro dell’isola via mare, mentre martedì faremo quello via terra affittando un 4×4 e lasciandoci perdere nelle strade sterrate che girano tutto attorno all’isola e anche l’attraversano. Con la luna nuova è arrivato il bel tempo, le baie hanno l’acqua limpida e anche oggi mi son fatto due belle nuotate, e durante i trasferimenti abbiamo potuto ammirare le conformazioni geologiche dell’isola. Ci sono vette alte ben oltre i 1000 metri, che s’innalzano dal mare, guglie affilate che sembrano monoliti che si stagliano verso il cielo, altre a gruppi da far invidia alle tre cime di Lavaredo.
Le capre sono ovunque, sui costoni a picco sul mare, macchioline bianche che si muovono “belando”. Navigando sotto costa, e solo quando arriviamo al loro traverso, scopriamo profonde valli che dalla sommità della catena principale dell’isola scendono all’oceano; non vi abita nessuno, sono rigogliosissime, in alcuni spaccati la conformazione vulcanica dell’isola non è stata coperta dalla vegetazione, e spiccano i colori dei metalli rocciosi.
Daniel bay è l’ultima tappa, destinazione che non si può vedere dal largo: è un’ampia conca che si apre davanti agli occhi dopo un percorso sinuoso fra alte rocce , come un canyon, circondata da alte montagne, dove alle 16 il sole scompare dietro alle cime conferendo all’ambiente un’atmosfera cupa.
Siamo arrivati a mezzogiorno, con il sole a picco, in uno sfavillio di colori: dalle sfumature di marrone/nero delle rocce vulcaniche al verde delle valli, al bianco della spiaggia al blu dell’acqua; a terra si vedevano cavalli e mucche al pascolo, vicino alla foce di un torrente, e sulla spiaggia i bimbi delle barche alla fonda che giocano spensierati.
Uniche note negative i “noni”, piccole pulci della sabbia che pungono, e le zanzare piccole piccole che lasciano grandi grandi tracce con le loro punture: ne so qualcosa, perchè mi hanno martoriato.
Domani rientreremo a Thoae, il villaggio principale, dove faremo provviste, mi collegherò a internet, spero a Skipe, e mercoledì saremo al mercato, spero con orario mattutino, prima di salpare per le Tuamotu, altra perla della Polinesia, dopo una traversata di 500 miglia circa.
Venerdì 14 giugno
In navigazione
Abbiamo ripreso l’assetto di guerra, ma solo per poche centinaia di miglia, 451 per la precisione, che dopo la traversata di 3000 miglia sono una passeggiata. Soliti turni, unico bordo per 186° con vento al traverso, dovremmo arrivare a Raroia nelle Tuamotu intorno alle 12 di domani, in modo da avere il sole a picco per fare la passe ed entrare nella laguna.
Dopo l’arcipelago delle Marchesi, che è stato all’altezza delle aspettative, ora ci attende quest’altro arcipelago del Pacifico; piano piano si avvicina la data del rientro, e finora posso affermare che l’esperienza che ho fatto andava vissuta.
Gli ultimi giorni a Nuku Hiva sono stati un po’ languidi, anche per l’imminente partenza: visita alla bella chiesa, con due campanili, che come tutte quelle di queste isole testimoniano che la religione cattolica è ben radicata e osservata, l’incontro con l’equipaggio della barca spagnola, la mattinata in internet per gli ultimi collegamenti, super degustazione di poisson cru, preparato sia con il latte di cocco che senza, suscimi, con soia e senape (al posto del vasavi), e l’ultimo rifornimento al supermercato, con la constatazione che i prezzi sono molto molto cari rispetto ai nostri, senza parlare di alcolici e superalcolici che sarebbero a mio parere inavvicinabili, anche se non tutti a bordo la pensiamo così.
Con l’equipaggio spagnolo abbiamo parlato del loro viaggio, previsione tre anni, che li porterà prima in Australia, poi Nuova Zelanda, per rientrare in Spagna risalendo il Pacifico fino alle Haway, per poi attraversarlo verso Est fino alla California, quindi navigando lungo costa fino a Panama, e infine l’Atlantico, con New York, Azzorre e Spagna. Sono sempre in otto a bordo, anche due ragazze, hanno tutti meno di trenta anni, e la loro avventura è vita allo stato puro! Sono rimasti alle Marchesi un mese, aspettando un nuovo generatore, e durante la sosta in una baia hanno conosciuto un ragazzo marchesano, che poi si è unito a loro, il quale li ha ospitati in casa, li ha accompagnati poi a caccia, a pesca, a prendere le aragoste, insomma a conoscere le Marchesi più da vicino, con un’altra visione: che bella esperienza, e che bel viaggio li attende nei prossimi tre anni, un po’ li invidio; quando ero giovane, alla loro età, questo non era possibile, il primo navigatore da imitare è stato Moitessier, e già sembrava un gigante, mentre ora ci sono oltre 1000 barche a vela che ogni anno attraversano il Pacifico, famiglie intere, con bimbi appena nati e…in procinto di nascere.
E così ieri mattina, salpate le due ancore di prua e poppa, siamo partiti, con l’ultimo ciaociao a Larka, la barca con a bordo una giovane coppia finlandese, lei “creola” di carnagione, nata da madre della Tanzania e padre finlandese, incinta di 8 mesi; li avevamo incontrati a Isabela, dove il marito la stava accompagnando in ospedale, e mai più mi sarei aspettato di ritrovarla qui, dove mi ha detto che aspetterà il nascituro. Non so se sia incoscienza, certo che una buona dose ce ne vuole per aver fatto la traversata in quelle condizioni, e ora nascerà una bimba marchigiana, da madre norvegese, madre e nonna della Tanzania. Auguri sinceri.
Appena fuori da Nuku Hiva abbiamo trovato un po’ di mare, onda al traverso, rollio, ma la nostra attenzione è stata subito catturata dalla pesca di un tonnetto pinna gialla di circa 5 Kg, cui a mezzogiorno abbiamo fatto la festa mangiandolo crudo al cevice e al Suscimi.
Il pomeriggio di ieri si è quindi trascinato stancamente, avevo un forte arretrato di sonno, perché ogni mattina, per un motivo o l’altro, alle 6 l’equipaggio è in piedi, poi la notte guardia dalle 1.30 alle 3.30, e stamane mi sono svegliato finalmente riposato alle 9.30, con il sole, mare più calmo, e scrivendovi ci facciamo compagnia, mentre in cucina i cuochi sono all’opera davanti ai fornelli, tanto per non perdere le buone abitudini.
Il mare è blu, la barca cavalca l’onda lunga, tutti sono rilassati, chi per aver superato lo scoglio (con le sue incognite) della traversata, chi perché sta per tornare a casa, io perché ho superato le mie “prove” e chi mi conosce può capirmi bene. Domani risentirò il profumo dei motu, delle pass, delle lagune e dei colori della Polinesia. A Papete dopo dieci anni spero di rivedere l’amico Henere, il marinaio polinesiano ora skipper di un catamarano, con cui ho convissuto un mese a bordo del Lycia. Altra storia ed esperienza Pacifica da raccontare un’altra volta.