7 superstizioni dei marinai
7 superstizioni dei marinai che (forse) non conosci: miti e credenze in mare
La grandezza sconfinata e l’imprevedibilità del mare hanno da sempre ispirato nell’uomo un senso di rispetto e inquietudine.
Fin dai tempi antichi, chi solcava i mari si trovava ad affrontare forze naturali spesso inspiegabili e pericolose. Per sentirsi protetti durante le lunghe navigazioni, i marinai si affidavano a riti, credenze e superstizioni.
Alcuni di questi rituali servivano a dare un senso all’ignoto, mentre altri derivavano da semplici osservazioni pratiche della vita quotidiana in mare.
Ancora oggi, nonostante la tecnologia e la modernità abbiano trasformato il mondo della navigazione, molte superstizioni resistono al passare del tempo.
Scopriamo insieme 7 tra le più curiose e insolite che ancora affascinano e, a volte, accompagnano i lupi di mare.
1 Non salutare con l’addio
Dire “addio” a qualcuno che sta partendo per mare è considerato di cattivo auspicio. La parola evoca una separazione definitiva, facendo temere un viaggio senza ritorno. Al suo posto, i marinai preferiscono augurare “A presto” o “Buon vento” per propiziare un ritorno sicuro. Questo augurio richiama l’antica speranza di trovare venti favorevoli che guidino l’imbarcazione verso il successo della traversata e il ritorno a casa.
Tra i pescatori siciliani del XX secolo, prima di partire per la stagione di pesca nel Canale di Sicilia, era usanza che le famiglie salutassero i marinai con frasi di buon augurio come “buon vento e buona pesca”. Pronunciare queste parole non era solo un rito scaramantico, ma anche un modo per rafforzare la fiducia nel ritorno sano e salvo dei propri cari.
Dire “addio” era considerato così infausto che, se qualcuno lo pronunciava per sbaglio, si doveva ripetere immediatamente un augurio positivo per scacciare la malasorte. Questa pratica era radicata nella convinzione che le parole potessero influenzare il destino della traversata.
2 Il colore verde è vietato
Colorare lo scafo della barca di verde è considerato un cattivo presagio. Questa credenza deriva probabilmente dal colore del mare in tempesta e dalle alghe, che evocano immagini di pericolo e naufragio. Ancora oggi, molti navigatori evitano di utilizzare il verde per le loro imbarcazioni, e alcuni preferiscono persino non indossare vestiti di questo colore quando salgono a bordo.
Si narra che nel XVIII secolo il famigerato pirata Calico Jack Rackham avesse una vela di colore verde sulla sua nave. Poco dopo aver adottato questa vela, Rackham fu catturato nel 1720 e giustiziato. L’uso del verde fu quindi considerato un segnale di sventura tra i pirati e i marinai dell’epoca, contribuendo a rafforzare questa superstizione.
3 Mai nominare conigli e preti
Parole come “coniglio” e “prete” sono considerate tabù in barca. I conigli, pericolosi perché rosicchiavano cime e vele, rappresentavano una minaccia concreta per le imbarcazioni. I preti, invece, evocano immagini di funerali e malaugurio. Ancora oggi, a bordo, è pratica diffusa sostituire queste parole per non attirare la sfortuna.
Tra i pescatori francesi della Bretagna, questa superstizione era così radicata che preferivano usare termini alternativi. Al posto di “coniglio” usavano espressioni come “la bestia dalle lunghe orecchie”. Si racconta che nel XIX secolo, un’imbarcazione bretone affondò dopo che un coniglio era scappato a bordo prima della partenza, rafforzando la credenza che anche solo nominare l’animale portasse sfortuna.
4 Gatti a bordo portano fortuna
Avere un gatto a bordo era considerato un potente portafortuna per la nave e il suo equipaggio. Si credeva che i felini avessero poteri soprannaturali: erano capaci di prevedere le tempeste e di proteggere i marinai dagli spiriti maligni. Più concretamente, erano anche ottimi cacciatori di topi, aiutando a tenere lontani i roditori che potevano rovinare le provviste e rosicchiare il cordame di bordo. La presenza di un gatto durante i lunghi viaggi garantiva protezione e buona sorte.
Tra le storie più celebri c’è quella di Simon, il gatto della nave britannica HMS Amethyst. Durante l’Incidente dello Yangtze nel 1949, nonostante fosse ferito, Simon continuò a cacciare i topi che minacciavano le scorte di cibo, aiutando l’equipaggio a sopravvivere e sollevandone il morale. Per il suo coraggio il gatto Simon ricevette la Dickin Medal, un’onorificenza britannica assegnata agli animali per atti di straordinario coraggio e dedizione durante i conflitti militari.
5 Battezzare la nave
Durante il varo di una nuova barca, rompere una bottiglia di champagne contro la prua è un rito propiziatorio. Questa è una tradizione ancora oggi rispettata per attirare buona sorte e proteggere l’equipaggio durante le traversate. Se la bottiglia non si rompe, è considerato un cattivo presagio per il destino della nave e di chi vi naviga.
Un caso nefasto riguarda il Titanic, varato il 31 maggio 1911 a Belfast. Contrariamente alla tradizione, la nave non fu battezzata con il rito della bottiglia di champagne. Meno di un anno dopo, il 15 aprile 1912, il Titanic affondò durante il suo viaggio inaugurale dopo aver colpito un iceberg, causando la morte di oltre 1500 persone. Questo tragico evento contribuì ad alimentare la superstizione secondo cui omettere il battesimo o fallire nel rompere la bottiglia durante il varo porta sfortuna all’imbarcazione e ai suoi passeggeri.
6 Il sale come scaccia-sfortuna
Il sale non serve solo in cucina. Spargere un pizzico di sale sul ponte prima di partire è visto come un gesto di buon auspicio. Si pensa che protegga la nave dagli spiriti maligni e dalle tempeste improvvise. Il sale, simbolo di purezza e protezione, ha un valore simbolico che si perde nella notte dei tempi.
Nel XIX secolo, i capitani dei velieri mercantili spargevano sale sul ponte e vicino all’albero maestro prima di ogni viaggio. Questo rito serviva a purificare la nave e a invocare una navigazione sicura. Se il viaggio si concludeva senza incidenti, il gesto veniva ripetuto come segno di rispetto verso le forze del mare.
7 Evitare di cambiare nome alla barca
La leggenda vuole che cambiare il nome della propria barca sia un gesto di cattivo auspicio. Ogni imbarcazione, una volta battezzata, acquisisce una propria identità agli occhi degli dei del mare. Modificare quel nome potrebbe offendere le divinità e attirare sventure durante la navigazione.
Un tempo, se era necessario cambiare nome, si doveva seguire un rituale di purificazione: rimuovere ogni traccia del vecchio nome e invocare Poseidone con queste parole: “Oh grande Poseidone, padrone dei mari e delle tempeste, ti chiediamo di dimenticare il vecchio nome di questa barca e di accettare il nuovo nome che le stiamo dando.” Fatto questo, si versava dello champagne sulla prua e nel mare come offerta al divino e si annunciava solennemente il nuovo nome. Questo rito serviva a placare gli spiriti e a garantire un futuro sicuro alla barca.
La superstizione e il mare
Queste superstizioni, radicate nelle tradizioni marinare, ci dicono quanto il mare sia stato (e continui a essere) un luogo misterioso e rispettato dai navigatori.
Ogni viaggio sulle sue acque era (e in parte è ancora) un’avventura sospesa tra realtà e leggenda, dove il rispetto per le forze della natura si intreccia con la paura dell’ignoto.
Le credenze nate in questo contesto riflettono la costante ricerca di protezione e sicurezza da parte di chi, affrontando l’immensità del mare, si affida a piccoli gesti, rituali e parole scaramantiche per scacciare la sfortuna e invocare la buona sorte.
Che siano autentiche pratiche magiche o semplici tradizioni consolatorie, queste superstizioni ci dicono che per chi naviga, un pizzico di fortuna è sempre la benvenuta.
Il mare, immenso e misterioso, può suscitare nei navigatori un senso di inquietudine. Per chi sfida le proprie paure tra le onde, affidarsi a un antico rito scaramantico è spesso un modo per trovare conforto.
È qui che le superstizioni entrano in gioco: offrono l’illusione di un controllo sull’ignoto e aiutano a sentirsi meno soli nell’immensità del mare. Come se un semplice gesto potesse scacciare la paura e trasformare il timore dell’ignoto in una fragile, ma preziosa, sicurezza.