Riccardo Tosetto
Vi ricordate di Riccardo Tosetto?
A Novembre sono stato invitato dal Rotary di Cittadella ad una serata in onore del mio compaesano Riccardo Tosetto, e poiché lo avevo intervistato prima di partire per la regata intorno al mondo, la Global Solo Challenge, mi hanno chiesto di preparare una nuova intervista per farci raccontare la sua sperienza al riguardo, una chiacchierata fra….amici.
Non ho esitato, stimo moltissimo questo grande navigatore, e con l’occasione gli ho portato anche il libro appena uscito con le mie prime 20 interviste….fra le quali c’erano anche la sua e quella di Angelo Preden, un altro grande navigatore e suo mentore per quest’impresa.
Durante la regata io lo sentivo spesso, con Starlink c’era un contatto continuo, sicuro ed immediato, tant’è che sembrava tutto facile: ma se ci pensiamo sono più gli uomini andati nello spazio rispetto a quelli che hanno completato il giro del mondo in barca a vela, non solo, ma lo hanno fatto solo 200 skipper, di cui solo 6 italiani…..
È partito il 29 ottobre 2023, da La Coruña ed ha navigato senza sosta per 153 giorni, attraversando più di 28 mila miglia nautiche a bordo della sua imbarcazione, Obportus, ed è arrivato sempre a La Coruña lo scorso 30 marzo, alle 9.04 del mattino.
Racconta che giro del mondo in solitaria è sempre stato un suo pallino e quando Marco Nannini ha presentato questa regata, che di fatto segue lo stesso percorso delle regate attorno al mondo navigando verso EST, emulando la Vendée globe, ne ha approfittato, perchè per competere non sarebbe stato necessario avere a disposizione un budget milionario, ma ognuno avrebbe potuto farla con la barca che desiderava….
Ha raccontato che durante la traversata ha affrontato condizioni meteorologiche estreme e momenti unici, dai 25 giorni trascorsi sotto i 12 gradi, non accendendo il riscaldamento per risparmiare gasolio in caso di emergenze, al superamento dei tre Grandi Capi: Capo di Buona Speranza (Sudafrica), Capo Leeuwin (Australia) e Capo Horn (Cile).
Gli ho chiesto quale fosse stato Il momento più difficile
«A Nord delle Falkland, dove ho trovato venti che hanno superato i 140 chilometri orari. Ma anche dopo aver superato Capo Horn, quello che è un po’ l’Everest della navigazione, quando ho trovato perturbazioni con venti a 120 chilometri orari dalle 8 di mattina alle 2 di notte: lì ho rotto una vela e le onde mi hanno portato via due salvagenti. Non ho dormito per 48 ore. Ma anche la perdita del pilota automatico a tre giorni dall’arrivo ha complicato le cose, perché ha richiesto un duro lavoro per ripararlo. Già il 20 dicembre avevo avuto grossi problemi a entrambi i piloti automatici. Dovete tenere presente che sono meccanismi delicati, che permettono alla barca di rimanere in rotta e ben allineata al vento senza tenere sempre il timone in mano, per esempio quando dormo, mangio o sto issando le vele. Senza piloti le nostre barche plananti non vanno dritte neanche 30 secondi col timone libero. Un problema grosso che mi ha costretto a mettere mano alla cassetta degli attrezzi».
Hai mai avuto paura?
«Non paura, ma il timore di avere problemi alla barca. Sarebbe stato grave averne, ad esempio, all’altezza del leggendario Point Nemo, il polo oceanico dell’inaccessibilità, nel Pacifico, chiamato così in onore del capitano Nemo, protagonista del romanzo di Jules Verne “Ventimila leghe sotto i mari”. Lì non c’è nulla, solo acqua: è il punto più lontano da qualsiasi terra emersa, 2.688 chilometri da quelle più vicine. Non sarebbe stato semplice ricevere soccorso».
E il momento più emozionante?
«All’arrivo a La Coruña, ricevendo l’abbraccio della mia compagna Valeria, della mia famiglia e degli amici, che erano lì ad accogliermi con gli occhi lucidi, trasportando energia e affetto dall’Italia fino alla Spagna. Per quanto riguarda la regata direi quando ho superato Capo Horn, con il cambio di rotta vicino al faro e le foto scattate dal guardiano stesso, che hanno reso l’esperienza ancora più straordinaria».
La giornata tipo a bordo?
«In primis curo la rotta e molte risorse sono dedicate alla meteorologia, perché c’è una strategia per evitare le condizioni estreme. Poi bisogna pensare alle manutenzioni. Dormo al massimo per un’ora e mezza, per cui ho una sveglia impostata sulla plancia di comando assieme ai vari allarmi legati alle condizioni di navigazione. Quella del cellulare non basterebbe, perché, col rumore che c’è in mezzo al mare, non si sente».
Com’erano organizzati i tuoi pasti?
«Avevo con me provviste calcolate per 150 giorni, suddivise in sacchi da 15. Tutto cibo pronto o liofilizzato. Ai pasti è anche legato uno degli aneddoti più divertenti: Valeria e un’amica mi hanno preparato le porzioni e nelle prime settimane di viaggio avevo sempre a disposizione delle tortillas che mi piacevano molto. A un certo punto non le ho trovate più. Quando l’ho chiamata le ho chiesto se si erano dimenticate di inserirle, mi ha risposto che lo aveva fatto volutamente per rispettare la data di consumazione: lei ha una vera fissa per le scadenze».
Ma a casa a Cittadella come hanno vissuto questa sua esperienza?
«Valeria dice che peggio di com’ero non potevo tornare! Battute a parte, i miei cari hanno sofferto più di tutti, ma sapevano che questo era il mio obiettivo, per cui sono anche le persone che mi hanno supportato di più. I contatti li ho sempre tenuti regolarmente utilizzando Starlink, la tecnologia satellitare».
Hai già in mente il prossimo viaggio?
«Adesso penso a riposarmi. Ho in testa dei nuovi progetti, ma prima di rivelarli aspetto che si concretizzino».