lunedì, Settembre 16, 2024

Preden: il racconto

Prossimamente uscirà un libro edito dal Frangente con una ventina di interviste che ho pubblicato su rotte di tutto il mondo nella rubrica il personaggio del mese. Alcuni navigatori hanno portato alcuni interventi  che da soli valgono un racconto a parte, ed uno di questi è Angelo Preden… Leggete il suo racconto.

p.s.= ho trovato utilissimo andare a capo ad ogni capoverso, per rendere non solo efficace ma suggestivo il racconto.

La mia famiglia, tutta gente di mare, è originaria di Rovigno d’Istria.
Per le note vicende del dopoguerra, anche noi abbiamo dovuto abbandonare tutti i nostri averi, case comprese, con la convinzione, di allora, che non avremo più rivisto l’Istria.
Abbiamo lasciato Rovigno con due pescherecci di 13 metri.
Siamo andati prima a Trieste, dove siamo diventati ufficialmente Profughi Giuliano Dalmati.
A bordo c’era tutta la mia famiglia, donne comprese e io che stavo per nascere.
Mio nonno, il capitano, seppe che a Chioggia un gruppo di altre barche istriane si stavano organizzando per navigare di conserva sino in Sardegna, esattamente ad Alghero Fertilia, dove c’era uno dei più grandi campi Profughi d’Italia per ospitare gli esuli Istriani e Dalmati.
Siamo andati a Chioggia e con tutte le altre barche abbiamo iniziato la navigazione.
Quella è stata la mia prima navigazione.
Avevo 15 giorni d’età.
Non dico nulla sulla sofferenza e le angosce, che mi è stato raccontato, di questo viaggio che ben si può immaginare.
Arrivati a Fertilia ci è stato dato un piccolo alloggio, dove vivevamo tutti insieme.
I miei hanno svolto da sempre l’attività di pesca e anche in Sardegna hanno continuato a fare i pescatori.
Si pescava molto ma purtroppo i sardi, di allora, non mangiavano pesce.
Stiamo parlando del 1948.
Il turismo non esisteva.
Il pesce, allora, era ritenuto un alimento per povera gente.
Maiale e formaggi erano gli alimenti comuni.
Per farla breve mio nonno che aveva il naso lungo per gli affari decise, dopo un anno a Fertilia, di rientrare in Adriatico dove c’è, da sempre, più cultura per la cucina marinara.
Dapprima ci siamo stabiliti a Porto Garibaldi, vicino a Ravenna, e in seguito a Chioggia dove c’era, e c’è tutt’ora, uno dei più grandi mercati ittici d’Italia.
Tra parentesi devo dire che gli Istriani e Dalmati sono stati ben accolti dai Sardi.
Ad Alghero Fertilia oggi c’è un museo che ricorda questa storia.
Gli esuli rimasti hanno coniato un dialetto istro-veneto-sardo.
Sempre a Fertilia il santo protettore è San Marco cui la chiesa principale è dedicata per ricordare il legame con Venezia.
Mio nonno, sempre con la sua lungimiranza, continuava ad acquistare pescherecci. Quando io avevo 15 anni, avevamo 5 pescherecci sui 20 metri e davamo lavoro a una cinquantina di marinai.

Uno dei nostri pescherecci dove ho lavorato anch’io

Io sono cresciuto mangiando il pollo o la gallina solo a Natale e poi sempre pesce sino al Natale seguente.
Non mi è mai piaciuto giocare.
Il mio più grande divertimento era andare a bordo dei nostri pescherecci, frequentare gli squeri, così vengono chiamati i cantieri navali in veneto, e le officine meccaniche dove impazzivo nel vedere smontare e riparare i motori Diesel.
Ho frequentato anche il Circolo Nautico dove ho iniziato a manovrare le derive.
La mia mente viaggiava in continuazione e guardavo il mare chiedendomi cosa ci sarà oltre l’orizzonte?
Frequentavo il secondo anno delle superiori.
Avevo un insegnante di lettere che ci trattava malissimo.
Credo fosse un nostalgico del fascismo.
Un giorno mi chiamò, non usando il mio nome e cognome ma il numero del registro, com’era sua abitudine.
Questa cosa mi disturbava molto.
Mi chiese a cosa serve la storia.
Gli risposi che non serve a nulla, in quanto gli uomini continuano a fare le guerre.
Non comprese la mia provocazione e mi diede dell’imbecille.
Mi sono alzato dal banco, sono andato alla cattedra, l’ho preso per camicia a cravatta e scaraventato a terra.
Il professore era bianco come il marmo.
Disse che per lui la cosa finiva lì.
Gli risposi” Chi sbaglia paga”.
Sono uscito dall’aula e sono andato in presidenza a raccontare l’accaduto.
Venni candidato all’espulsione da tutte le scuole del Regno d’Italia.
Allora si diceva così.
Per non rovinarmi il futuro, dopo 15 giorni mi ripresero in un’altra sezione.
Oramai avevo deciso.
Trovavo questa scuola noiosissima, mentre io avevo voglia di apprendere molte cose.
Uscii dalla scuola e da quel momento ho iniziato a vivere libero, seguendo i miei istinti e talenti.
Naturalmente in famiglia non ero compreso.
Ho svolto molti lavori: fotografo in spiaggia, bagnino, falegname, costruttore di souvenir, elettricista, pescatore, marittimo ecc.
Mi sono iscritto alla gente di mare e ho navigato in una nave cisterna che caricava greggio a Tripoli, in Libia, e scaricavamo nelle varie raffinerie italiane.
La mia mansione era giovanotto di coperta.
Ho vissuto un periodo a Parigi dove, per mantenermi, aiutavo un corniciaio.
Venni chiamato all’arsenale di Venezia per la visita di leva.
Chiesi se potevo essere imbarcato, per girare il mondo.
Mi risposero che non ero adatto alla vita di mare e mi ritrovai a Bolzano nel Genio Pionieri Pontieri.
Conobbi una ragazza che divenne mia moglie Renata.
Lei mi ha sempre incoraggiato in tutte le mie iniziative.
Andai a vivere a Cittadella (Padova) e a Bassano del Grappa (Vicenza)aprii un laboratorio artigianale per confezionare le cornici.
Il mare mi mancava.
Iniziai a leggere i libri dei navigatori e tra questi ammiravo Bernard Moitessier.
Avevo acquistato un folkboat di metri 6.60, in legno.
Andavo sovente da Venezia a Rovigno, allora Jugoslavia.
Iniziava a frullare nella mia testa l’idea di attraversare l’oceano Atlantico in solitario.
Volevo farlo per avventura, ma anche per trovare uno sbocco nella nautica.
Così scoprii l’OSTAR, l’unica regata oceanica in solitario allora esistente.
Scrissi in Inghilterra, nel 1974.
Mi inviarono il regolamento e io mi iscrissi versando anche la quota.
La regata partiva il 6 Giugno del 1976, da Plymouth a Newport (USA).
Con un camion feci trasportare il folkboat a Cittadella dove iniziai una revisione totale della barca.
Nei primi mesi del 1975 ricevetti dall’Inghilterra una lettera dove mi si diceva che il regolamento era cambiato.
La misura minima delle barche accettate era di 8 metri.
Allora non disponevo di denaro per cambiare barca.
A Milano, presso la sede della Lega Navale Italiana si era formato un piccolo gruppo di altri navigatori coordinati da Eolo Attilio Pratella, giornalista nautico, radioamatore e organizzatore di eventi nautici.
La vela oceanica italiana si è divulgata, dal punto di vista giornalistico, grazie a questo signore. Ora lui non è più con noi.
Pratella mi telefonò invitandomi a partecipare, a Milano, ai corsi preparatori di navigazione astronomica e meteorologia.
Non andai mai perché ero occupato anche con il laboratorio di cornici.
Nell’ottobre del 1975 Pratella aveva preparato un incontro con la stampa, nell’ambito del Salone Nautico di Genova, per presentare i navigatori italiani iscritti alla Ostar’76.
Tra questi c’era Ambrogio Fogar, Corrado Di Maio, Ida Castiglioni, Edoardo Austoni, Giulio Ramoni e io naturalmente.
Io ero quello messo peggio di tutti, in quanto iscritto ma senza barca.
Il giorno prima di questo evento arrivò una notizia.
Era morto in mare Giulio Ramoni.
In segno di lutto non c’era l’incontro con la stampa.
Giulio Ramoni, di Milano, avrebbe dovuto partecipare alla Ostar con un Caipirinha, barca di 9 metri. Per partecipare alla regata bisognava qualificarsi navigando per 500 miglia in solitario.
La Lega Navale, Sezione di Milano, aveva organizzato questo percorso da Loano al faro di Favaritx, nell’isola di Minorca, e ritorno a Loano.
Ramoni si era già qualificato. Stava trasferendo un’altra barca, non il Caipirinha, dall’Elba a Genova.
Con lui a bordo c’erano due ragazze, sua sorella e la sua fidanzata.
All’imbrunire, con onda formata, cadde in mare.
Le ragazze a bordo non erano in grado di fare nulla, non sapevano neanche avviare il motore.
Persero di vista Giulio e di lui non si seppe più nulla.
In questo modo venni a conoscenza che Ramoni era sponsorizzato dal Cantiere Gilardoni, costruttore del Caipirinha.
Con un mio amico andammo a Nobiallo di Menaggio, sede del cantiere. Conobbi Giovanni Gilardoni e gli dissi che io ero disposto a prendere il posto di Ramoni.
Gilardoni era distrutto per la morte di Ramoni.
Ci disse che non voleva più saperne della regata.
La barca, usata da Ramoni, era nel piazzale del cantiere, di fronte al lago.
Quando l’ho vista sono rimasto scioccato.
Era attrezzata con tutto, compreso il timone a vento.
Gilardoni ci disse che era disposto a venderla. Disse la cifra, per me impossibile.
Scoraggiati ci salutammo.
Nel parcheggio ci venne incontro un signore che era stato presente in ufficio del cantiere durante l’incontro con Gilardoni.
Si occupava delle vendite.
Era dispiaciuto che il progetto Ostar si fosse arrestato.
Ci disse che se trovavamo uno sponsor per il 50 per cento, avrebbe cercato di convincere Gilardoni a continuare con il progetto.
Con queste parole e un velo di speranza tornammo a Bassano del Grappa.
Organizzammo una serata invitando imprenditori della città.
Io spiegai il mio progetto e alla fine dell’incontro ci salutammo con i partecipanti.
Un noto imprenditore di Bassano non andò via.
Mi disse” Secondo me tu sei uno che può farcela, ma non sai fare gli affari. Organizzami un incontro con Gilardoni.
Voglio parlargli”
Ritornammo a Nobiallo di Menaggio.
Dopo i convenevoli il nostro accompagnatore volle sapere quali erano i problemi per non lasciarmi la barca.
Gli disse anche, che il cantiere Nautico di Gilardoni sarebbe “esploso” per la quantità di lavoro che sarebbe avvenuta in seguito alla partecipazione alla regata oceanica.
Gilardoni iniziava a sciogliersi e il colpo finale lo diede il nostro accompagnatore che si sarebbe impegnato a pagare tutte le spese per portare la barca a Loano e iniziare la qualificazione.
Se tutto fosse andato bene Gilardoni mi avrebbe dato la barca.
Eravamo inizio dicembre del 1975 e la data finale per qualificarsi era il 30 gennaio 1976.
Gilardoni accettò, mise a disposizione la barca varandola nel lago.
Io e un mio amico iniziammo ad usarla facendo molte uscite.
Andavamo sempre a nord del lago dove il vento era più forte.
Faceva un freddo terribile ma l’entusiasmo era tale da farcelo scordare.
Poi portammo il Caipirinha a Como dove venne disalberata e caricata su un camion diretto a Genova.
Qui l’abbiamo rimessa in ordine e siamo partiti per Loano passando la notte di capodanno ’75/’76 in rada a Savona.
A Loano il 6 Gennaio del 1976, dopo aver svolto della burocrazia in Capitaneria di Porto sono partito con rotta isole Baleari.
All’ingresso est del golfo di Leone, vicino alle isole di Hyeres, il vento iniziò a calare sino a rimanere in bonaccia assoluta.
Per regolamento potevo usare il motore utilizzando solo 15 litri di carburante.
Mi preparai ad avviare il motore ma questo non partiva e perdeva olio e fumo dalla testata.
Giulio Ramoni, per non appesantire la barca, aveva fatto installare un motore diesel tutto in allumino.
Pertanto questo materiale non reggeva nella testata che si deformava con l’alta temperatura.
Non avevo la radio VHF.
Avevo il cosiddetto baracchino molto in voga tra i camionisti di allora.
Intercettati un camionista, in viaggio per Marsiglia.
Gli spiegai l’accaduto e lo pregai di fare una telefonata a Gilardoni dicendogli che stavo lì in attesa del vento. (Seppi da Gilardoni che il camionista aveva telefonato, un vero gentiluomo).
Anche le batterie stavano per esaurire la carica.
Avevo a bordo una lampada a petrolio e grazie al fatto che la bandiera italiana è formata dai colori bianco, rosso e verde, tagliai la bandiera cucendo in unione il rosso e il verde.
Fasciai con questi due colori il vetro della lampada ottenendo così delle fantomatiche luci di via.
Fissai la lampada a prua.
Il traffico marittimo era notevole.
Rimasi in bonaccia uno, due, tre, quattro, cinque e sei giorni.
Cosa può succedere nel golfo di Leone in gennaio, dopo sei giorni di bonaccia?
Arrivò il maestrale meglio conosciuto come mistral.
Il Caipirinha iniziò a correre macinando miglia e dimostrando la marinità di questa piccola barca progettata da Davide Castiglioni che aveva lavorato a Newport in Rhode Island presso lo studio Navale Sparkman & Stephens, allora ritenuto il numero uno al mondo.
Con il radiogoniometro che funzionava con le batterie a torcia, per fortuna e non con quelle di bordo, intercettai il faro.
Arrivai in serata dinnanzi al faro.
Sparai un razzo.
Nessuna risposta.
Il farista era stato avvisato da Pratella.
Rimasi alla cappa tutta la notte aspettando il nuovo giorno.
Dovevo fare delle foto per confermare il mio passaggio.
Avevo la randa ridotta al minimo e si ruppe una tasca di una stecca.
Al mattino udii una sirena fortissima e il farista spagnolo che si sbracciava dal terrazzo del faro.
Scattai numerose foto mettendo in primo piano i miei piedi nudi.
Salutai il farista sbandierando un asciugamano e ripresi la rotta per Loano.
Arrivato di notte al traverso del promontorio di Capo Mele, in mezzo tra Imperia ed Alassio di nuovo bonaccia.
Mancava   poco per Loano.
Avevo a bordo un lungo remo.
Fasciai un winch con un telo e lo usai come fosse uno scalmo.
Ho vogato tutta la notte tenendo la barra del timone fra le gambe. Al mattino arrivò un bel vento da terra e mi avvicinai al porto di Loano.
L’ingresso del porto, di allora, era piccolo e non volevo fare danni tentando di entrare a vela. Incontrai un pescatore che usciva.
Gli chiesi se poteva aiutarmi ad entrare.
Mi trainò dentro e subito vennero in banchina dei marinai della Capitaneria di Porto dicendomi che dovevo telefonare a Gilardoni e a mia moglie.
Per primo chiamai Gilardoni.
Sapeva del motore e mi disse che per la Ostar avrebbe installato un Volvo Penta.
Seppi così che avrei partecipato alla regata.
Non stavo in piedi dalla felicità.
Chiamai mia moglie la quale, con il suo solito ottimismo, mi disse che sapeva che tutto andava nella giusta direzione.
Avrei tanti altri fatti da raccontare, ma ho ritenuto corretto raccontare questi fatti salienti.

Il Caipirinha e altre barche sono state trasportate, via terra, da una nota ditta che si occupava di trasporti eccezionali.
Io ho viaggiato nel camion che trasportava la barca.
Siamo arrivati a Saint Malò, in Francia.
Da qui io e un mio amico siamo partiti per Plymouth.
Eravamo 123 barche provenienti da tutto il mondo.
C’era il meglio dei navigatori della vela oceanica mondiale.
Ebbi l’occasione di salire a bordo del Pen Duik la barca di Erik Tabarly.
Avevo le gambe tremanti nel muovermi in coperta di questa mitica barca.
Il 6 Giugno del 1976, dopo il colpo di cannone sparato da Filippo di Edimburgo, marito della regina Elisabetta II, siamo partiti.
Ero emozionatissimo ma attento a non fare danni.
Anche Giovanni Gilardoni era venuto a salutarmi e ad accompagnarmi per qualche miglio con una barca che portava i visitatori a vedere la partenza della regata.
Dopo poche ore ero solo.
Lasciata la Manica e le Isole Scilly inizio una perturbazione infinita.
Il mare era notevole.
Avevo davanti alla prua 3000 miglia da navigare in bolina.
Non avevo mai visto onde così alte.
Non c’era altro da fare che regolare la velatura ridotta al minimo, il timone a vento e attendere momenti migliori.
Con l’aiuto del club radioamatori di Bassano del Grappa avevamo installato una piccola radio con un bipolo che andava dal pulpito di poppa sino in testa all’albero. Pratella ogni giorno faceva l’appello e ci dava notizie circa l’eco che questa regata suscitava in Italia.
Ogni giorno c’erano ritiri al punto che delle 123 barche alla partenza siamo arrivati in 60.


La QSL inviata ai radioamatori che si collegavano con i navigatori italiani. Io sono : iNSH

Tre skipper sono morti in mare e mai trovati. Ho avuto anch’io momenti di sconforto ma non mi sono mai arreso.
Stavo giocandomi il futuro e non volevo deludere le persone che mi hanno sostenuto.
Allora non esistevano rulla fiocco e GPS.
In qualunque momento, sia giorno sia notte, andavo a prua a cambiare vela o ridurre la randa.
Avevo scelto una rotta diretta per non allungare il percorso.
La prima settimana non ho fatto calcoli astronomici, era impossibile.
La barca manteneva il suo ritmo di 120 miglia al giorno.


Dopo una settimana feci il primo calcolo.
La latitudine la calcolavo con il sistema classico alla meridiana.
Per la longitudine i metodi classici erano troppo complessi.
Avevo studiato molto leggendo molti manuali.
Poi un giorno si accese una lampadina nel cervello ed escogitai un sistema di calcolo molto semplice basato sulla differenza oraria tra il culmine del sole al meridiano di Greenwich, dato dalle effemeridi, e il culmine del sole nel meridiano dove stavo navigando.
Questa differenza, data in ore la trasformavo in gradi e primi ottenendo la longitudine.
È stato un sistema che ha avuto molto successo tra i navigatori al punto che venne battezzato Metodo Preden.
Poi sono arrivati i GPS e il sestante è andato in pensione.
Nel mio libro ho descritto come fare per non commettere errori.
Ho pescato anche un grosso squalo alla traina, immangiabile.
Invece ho mangiato molti pesci volanti che di notte cadevano in coperta.
Una notte incontrai un piccolo iceberg in fase di scioglimento, ma sempre pericoloso per la navigazione.
Una settimana prima dell’arrivo vidi un’enorme petroliera gialla, con rotta opposta alla mia.
Non avevo VHF.
Quando fu vicina iniziai a sbandierare un asciugamano, le braccia e issare e ammainare il genova.
La nave fece un giro enorme che non terminava mai.
Finalmente fu vicina e dalla coperta un ufficiale con megafono mi chiese se ero un solitario della regata.
Confermai e chiesi la posizione.
Scandendo le cifre mi disse la latitudine e la longitudine uguale al calcolo che avevo fatto qualche ora prima.
Mi disse che oramai ero arrivato e ci siamo salutati.
Non stavo nella pelle dalla felicità.
Dopo 44 giorni sono arrivato a Newport.
Mi sono venuti incontro polizia e barche private.
Uno di questi mi chiese da quale città italiana arrivavo.
Io risposi: Venezia e lui disse “Near Catanzaro”.
A terra venni accolto dal presidente dell’associazione Fratelli d’Italia di Boston: Thomas Perotti originario della Calabria.
Avevo promesso a Gilardoni che avrei riportato la barca in Mediterraneo.
Non volevo aggiungere altre spese caricando la barca in un mercantile.
Arrivò dall’Italia un mio amico, abbiamo sistemato e riordinato.
Perotti ci porto in un supermercato gestito da un italiano.


Saluto Thomas Perotti, presidente dei Fratelli d’Italia a Boston, prima della partenza da Newport per le Azzorre

Abbiamo riempito tre carrelli e alla cassa non volle essere pagato.
Ci disse portate un bacio all’Italia.
Una settimana dopo il mio arrivo siamo partiti per le Azzorre, questa volta con il vento in poppa.
Siamo arrivati a Punta Delgada in 19 giorni.
Qui si è aggiunto Giovanni Gilardoni che ha proseguito con noi.
Poi Tangeri, stretto di Gibilterra, Ibiza e Mentone.
Pratella aveva organizzato una festa a Loano per il nostro arrivo.
Dovevamo essere lì sabato.
A Mentone ci siamo dati una bella ripulita e ci siamo presentati all’ingresso del porto di Loano puntuali.
C’era ad attenderci tanta gente tra i quali mia moglie, mio figlio che mi chiamava in continuazione, i miei genitori, tanti conoscenti, il Sindaco, il Comandante della Capitaneria di Porto e anche la banda comunale.
Eravamo nel settembre del 1976.
La direttrice, di allora, del Salone Nautico di Genova ci chiese di esporre il Caipirinha all’ingresso della fiera che sarebbe avvenuta il mese successivo.
Gilardoni accettò.
Io e mia moglie siamo stati ospiti del Salone per tutto il periodo, parlando con tanta gente.
Gilardoni durante la fiera vendette 25 barche che poi sommate alle altre ne produsse più di 250, avverando le parole dell’imprenditore di Bassano del Grappa.
Io sono partito per una lunga carriera di skipper specializzandomi nella Scuola Vela d’Altura.
Ho attraversato 30 volte l’oceano Atlantico.
Ho trascorso 10 stagioni ai Caraibi nelle piccole Antille da Antigua alle Grenadines.
In Mediterraneo farei prima a dire dove non sono stato.
Ho insegnato a navigare a tanta gente.
Avevo la barca sempre piena, grazie a mia moglie che si è occupata sempre delle prenotazioni.
Ho programmato crociere scuola che oggi non si farebbero più.
Se non andavo ai Caraibi, organizzavo crociere scuola in Grecia sino a dicembre, Natale e Capodanno compresi.
Secondo me c’era più passione.
Oggi è solo charter estivo.

LEGGI L’INTERVISTA A ANGELO PREDEN