I racconti del Comandante
Proseguono i racconti del Comandante, così nomino Tony Coppi quando lo chiamo al telefono o quando parlo di lui.
Abbiamo trascorso molte serate assieme nel pozzetto del Fabinou, alla fonda in qualche baia della costa Turca, prima di cena a guardare il tramonto, oppure sotto le stelle davanti ad una bottiglia di Raki. Sapevo che gli piaceva raccontarci le sue esperienze di vita vissuta, aneddoti che gli hanno permesso di diventare un grande esperto di barche, di uomini, di navigazione di mare….e non solo…, esperienze che poi sono confluite anche nella scrittura…
Quella che segue è un’altra storia che assieme alle precedenti appartiene al puzzle della sua vita
12 Il TEAL si rivela l’unica ancora di salvezza
Lasciamo la idilliaca solitudine della baia di Iliça e mettiamo la prua a NW per addentrarci di nuovo, a distanza di quattro giorni, nel grande golfo di Gulluk Korfezi. Questa volta però con rotta perpendicolare alla prima, per lasciare a dritta Asin Korfezi e la baia di Iassos Kurin.
Questa rotta ci condurrebbe direttamente a Zonguldag e alla affascinante baia di Talianaki, ma non voglio privare il mio equipaggio delle piacevoli scoperte delle insenature di Cam limani e di Kazikli limani, entrambe immerse nel verde. Superate le gabbie degli allevamenti ittici che le fronteggiano e dopo due bordi lungo le rive di Cam limani, decidiamo di addentrarci nella baia di Kasikli. A un quarto di miglio dall’ingresso scopriamo sulla nostra sinistra un bell’agglomerato di ville nascoste tra i pini. Non ci facciamo attirare dai piccoli ridossi dove alcune imbarcazioni si godono la pace delle piane sponde alberate, ma proseguiamo verso il fondo della baia, che presenta un gomito che vira a nord. Lasciato a tribordo un piccolo isolotto cazziamo le vele per imboccare la nuova insenatura. Un paio di centinaia di metri più avanti un pontiletto fatiscente indica che i fondali si stanno pericolosamente abbassando. Avvolto il genoa e calata la randa con la rapidità e la competenza che caratterizza il mio equipaggio, diamo àncora su un fondale di sabbia e fango, ottimo tenitore.
Finita la manovra ci guardiamo intorno. Questa bella insenatura è abbastanza larga e allungata. Poco più avanti sulla nostra sinistra ospita sulla sua riva occidentale un agglomerato di abitazioni, precipuamente abitato da pescatori. Davanti al villaggio sono ormeggiati o fermi alla fonda i pescherecci tipici degli allevamenti ittici e un paio di piccoli rimorchiatori. Queste imbarcazioni fanno avanti e indietro tutta la notte, ma non disturbano molto l’ancoraggio.
Dopo il solito bagno e la lunga nuotata di Mario, siamo di nuovo in pozzetto, sotto il tendalino a goderci il tramonto. Allietati dal solito bicchiere di bianco fresco riprendiamo a chiacchierare ed io proseguo il racconto.
Pochi giorni dopo mi organizzai per consegnare la barca all’acquirente a Villefranche Sur Mer.Telefonai a mr. Clement, che volle naturalmente essere a bordo della sua barca.Tornò con la solita valigetta, ma mancava il venti per cento del saldo, che trattene a garanzia (e che a dire il vero mi accreditò puntualmente il trentesimo giorno dalla consegna). Si sistemò subito nella cabina armatoriale di prua e quella notte dormì in barca. La barca aveva bisogno di un minimo di braccia, perciò avevo chiesto a Roberto se conosceva qualcuno da imbarcare con noi e la mattina, non avendo trovato velisti liberi, era arrivato in banchina con un paio di amici carrarini, un ragazzo di nome Luciano che faceva il muratore e che di barche sapeva poco o niente, e un altro muratore, di cui non ricordo il nome. D’altra parte avevo bisogno solo di braccia.
Mr. Clement era sicuramente un bravo velista, ma con un carattere difficile e poco incline alla socializzazione. Aveva partecipato alla uscita dall’ormeggio e gli avevo spiegato e dimostrato perché si era verificato il problema dell’acqua che entrava in navigazione. Dovetti smontare il pannello di chiusura del vano di poppa, fargli vedere il tappo della losca e portare il motore al massimo di giri, con la barca a otto nodi. Appena si era convinto – e c’erano volute molte spiegazioni – si era messo più tranquillo. Il faro di Viareggio era ancora ben visibile a poppavia, quando alle otto gli lasciai il timone, indicandogli la rotta. Qualche ora più tardi avevamo mangiato un panino e lui si era ritirato in cabina.
Ad un certo punto nel pomeriggio venne sul pozzetto come una furia.”Il mio coltello, chi ha rubato il mio coltello…”
Io in inglese cercai di calmarlo e di farlo ragionare, ma riuscii solo a farlo rimuginare immusonito in un angolo: “ Italians are all thieves” “Gli italiani sono tutti ladri”… Appena tradotta la frase a Roberto e agli altri, si scatenò un fiotto di commenti irati e una serie di suggerimenti:
“Che aspetti a buttarlo in mare?” oppure “Cerchiamo il coltello e poi glielo ficchiamo su per…”
A metà del pomeriggio, eravamo al centro del golfo, lui si era messo a prua e tagliava un pezzetto di cima con un bel coltello da marinaio. Gli chiesi: “Ma non le era stato rubato?” Fu onesto: “Era caduto fra la murata e il materasso”.
Non chiese scusa a nessuno, ma Roberto mormorò un “Ah si?” forse più a sé stesso che agli altri. Quando Mr. Clement tornò in cabina, fece un cenno a Luciano, che ammiccò e scese in tuga. Un secondo dopo ritornò sul pozzetto con le scarpe dell’americano prese dal cesto sotto il carteggio, e gliele lanciò. Roberto, con un gesto fluido e senza soluzione di continuità le prese al volo e le filò in mare: “Cerca le scarpe adesso. Te le hanno rubate gli Italiani” disse fra le risate generali – io risi un po’ meno perché questa cosa mi aveva preso alla sprovvista, e mr. Clement era pur sempre un cliente. Ma non finì qui, perché subito dopo Roberto mi chiese di sostituirlo al timone e scese in cucina, dove l’americano aveva riposto un vasetto di marmellata di mirtilli, di un bel rosso scurissimo con tutti i frutti interi (“this is for my breakfast only”). Con un cucchiaio spalmò la marmellata sulle fette di pane e tutti io compreso, ci facemmo merenda. Lasciò per mr. Clement un solo mirtillo sul fondo del barattolo. La mattina dopo, quando lui stava cercando disperatamente la sua marmellata, Roberto gli disse in puro massese: “Se cerchi i mirtilli te li hanno rubati gli italiani”.
Fu così che l’americano mi chiese di farlo scendere ad Alassio; non ce la faceva più e dovette farsi mezzo chilometro dalla banchina al paese con due infradito di un numero più piccoli, che pescai dalla cesta delle scarpe per obbligo più che per compassione, perché nessuno volle imprestargli nemmeno gli zoccoli. Quasi due anni dopo il destino mi avrebbe messo di fronte ad una scelta di cui mr. Clement fu di nuovo protagonista e a suo onore devo dire che non mi fece pesare quella merenda di pane e marmellata e quel percorso in ciabatte!
Quell’anno cominciai anche a pensare alla piccola serie – cinque scafi da allestire contemporaneamente – che mi avrebbe fatto realizzare delle vere economie di scala. Ma ordinare cinque scafi, cinque motori, cinque alberi, tutto il teak massello e compensato, per non parlare del resto, a partire dalla manodopera necessaria – da assumere o da pagare quasi tutta in nero (queste erano le condizioni a Viareggio in quegli anni) – richiedeva una forza finanziaria che io non avevo. Naturalmente avrei potuto assumermi il rischio, scaricandolo sui fornitori (che te ne frega,se non va consegni i libri contabili, fallisci e pace!) ma questo non rientrava nel mio modo di pensare. Assumermi il rischio mi andava bene, ma senza coinvolgere altri e di questo sono orgoglioso. Qualche anno dopo, quando decisi di chiudere I Cantieri del Trasimeno tutti i debiti erano stati pagati e nessuno doveva avere niente da me. Dopo la chiusura tutti me lo hanno riconosciuto, i miei ex fornitori sono rimasti amici e quando li incontravano insistevano per offrirmi il caffè.
Ma torniamo al 1983. Da un paio di anni avevo conosciuto un certo George Bruynell, (belga, comandante di un grosso motoryacht) che si mostrava sempre molto interessato al mio cantiere e alle mie barche. Mi sembrava un tipo non troppo affidabile, ma conosceva molte persone e sapeva intrufolarsi dappertutto. Così mi capitò di parlargliene e pochi giorni dopo mi disse che aveva trovato una persona interessata. Mi portò sul lungomare di Viareggio in una bella pizzeria e mi presentò il titolare, G.P., che mi confermò di essere disponibile ad approfondire. Ci incontrammo diverse volte e io gli proposi di acquistare il 48% della società per la cifra che alla fine concordammo in quattrocento milioni. Un altro 1% sarebbe andato al Bruynell come commissione sull’affare. Naturalmente la prima cosa che feci fu chiedere informazioni alla sua banca, Il Banco di Lucca, che me le diede positive.
Concludemmo l’affare a Marsciano in Umbria, dove ancora abitava la mia famiglia e dove io tornavo regolarmente per i fine settimana. Lui arrivò puntuale all’appuntamento dal notaio e quando fu il momento di pagare tirò fuori dalla borsa un mazzo di cambiali da dieci e da venti milioni a scadenze progressive. Io rimasi di stucco e non volevo assolutamente concludere. Dopo un bel po’ di discussioni intervenne il notaio, che alle mie titubanze alzò le spalle e mi disse: “ci mettiamo salvo buon fine così lei non rischia.” Una frase che già pochi mesi dopo si dimostrò poco realistica.
Firmato il contratto lui e Bruynell erano proprietari – salvo buon fine – del 49% della società Cantieri del Trasimeno, non solo delle attrezzature, delle macchine, dell’importante magazzino, dello scafo in allestimento, ma anche del buon nome e dell’avviamento della mia società e io… avevo in mano circa un etto e mezzo di carta.
Loro ripartirono subito. Ci rimuginai tutta la notte e feci un piano di azione. Non avrei girato alcuna di quelle cambiali, ma le avrei consegnate di volta in volta al mio nuovo socio per effettuare ordini e pagamenti. In questo modo, se non fossero andate a buon fine avrei sì dovuto far fronte ai relativi debiti, ma non saremmo stati protestati né io né la società.
Passai il w.e a casa e la domenica sera ripartii per Marina di Massa.
La mattina dopo alle otto e trenta ero in Cantiere. Chiamai per primo Vincenzo Catarsi a Cecina, che mi stampava i gusci e le coperte in vetroresina e gli accennai alla possibilità di un ordine da 5 scafi e che avrei mandato il mio nuovo socio a dargli l’anticipo. Lui mi disse che non c’erano problemi e stabilimmo insieme i tempi per la consegna.
Poi chiamai G.P. e gli consegnai le prime due delle sue cambiali, dicendogli di andare a Cecina per l’ordine e nello stesso tempo per familiarizzarsi con il nostro fornitore.
Lo stesso feci nei giorni successivi con la Vetus di Limite sull’Arno per ordinare i cinque motori, che avrebbero però dovuto essere consegnati uno per volta man mano che le barche venivano prenotate. Tutti i fornitori mi dissero che avevo un socio simpatico e, sulla fiducia che mi accordavano, accettarono di buon grado le sue cambiali.
Il primo passo verso l’espansione dei Cantieri del Trasimeno mi sembrava fatto.
Era però destino che io con le cambiali non avessi molta fortuna.
Nell’ottobre di quell’anno avevo venduto uno dei miei CT43 ad un individuo di Roma, di cui non voglio fare il nome, che aveva pattuito con me, in cambio di uno speciale sconto, di riconsegnarmi la barca entro il trenta del settembre successivo per esporla al Salone di Genova, dove ormai non potevo più presentarmi con barche in allestimento. A barca finita e dopo che mi aveva liquidato i primi cento milioni, poiché io non gli consegnavo la barca prima di aver ricevuto il saldo, tornò un paio di settimane dopo con ventotto milioni in cambiali, che mi erano sembrate regolari. Una volta bancate risultarono però fasulle, ma io gli avevo già consegnato la barca.
Questo soggetto non solo mi aveva truffato ventotto milioni, ma non mi consegnò la barca per il Salone. Un gravissimo episodio pose fine alle mie pretese e quindi dovetti rivolgermi agli altri due proprietari e a seguito dei loro dinieghi mi rimase solo una scelta: chiedere a mr. Clement il suo Teal! E come ho già detto non mi fece pesare i trascorsi di due estati prima: mi chiese in cambio dei piccoli lavori di manutenzione, che fui ben lieto di garantirgli.
Lui diede incarico al cantiere di svuotare la barca dei suoi effetti personali e mi disse che potevo ritirarla. Eravamo a due giorni dalla inaugurazione del Salone.