martedì, Gennaio 14, 2025

Gennaio – Filippo Fernè

Ho fatto questa intervista a luglio, poco dopo il rientro in Italia di Filippo Fernè dal suo giro del mondo: lo avevo già incontrato subito dopo il passaggio di Bab el-Mandeb, quando di lui qui a Verona avevano scritto i media, con ridondanza, e anch’io ne avevo parlato su rotte di tutto il mondo.
Come è mia abitudine cerco sempre di mantenere lo slang del personaggio che intervisto, e questo consente anche al lettore di “sentirlo parlare”, e di fatto più che un’intervista diventa una chiacchierata.
Mi piace questa iniziativa di incontrare personaggi autorevoli che hanno vissuto grandi esperienze con il mare, e questo mi consente di rimanere in contatto con un ambiente, il mare, che ha insaporito e profumato di sale le mie giornate.
L’incontro con Filippo è stato spesso emozionante, sia per come lui racconta il rapporto che ha vissuto con le figlie, sia perché durante la chiacchierata ho rivissuto molti luoghi che ho visto con i miei occhi o con quelli di altri personaggi che ho incontrato.
L’intervista è un po’ lunga, ma (e mi ripeto) come spesso capita è stata per me una piacevolissima conversazione, e spero lo sia anche per voi.

Chi è oggi Filippo Fernè? Un manager, un consulente, un navigatore, un viaggiatore?

È un mix di tutte queste cose, perché alla fine ho fatto il gestore d’azienda e oggi faccio in parte l’imprenditore e l’investitore, sull’esperienza di aver fatto per tanti anni sia l’imprenditore che il manager, mentre la parte più romantica o accattivante è quella del viaggiatore navigatore.

Da dove viene questa tua passione e quando è iniziato il tuo rapporto con il mare

Prima è iniziato il rapporto con il viaggio, perchè sono sempre stato un appassionato di geografia e di storia, per cui io da piccolo leggevo Salgari, gli atlanti e mi guardavo tutti i posti del mondo con curiosità. Questa passione l’ho sempre avuta, ho fatto anche nella mia adolescenza e gioventù dei viaggi che alla fine degli anni 70/80 non facevano tutti, come quello in Australia nell’81 grazie ad una borsa di studio. Ho fatto il lavoro della borsa di studio in un mese, e gli altri due mesi ho girato tutta l’Australia. Poi nell’Hindu Kush nell’82 con amici canoisti, ed io a fare film e foto. Poi tutto il Marocco in 126…
Mio padre era del 1898… si è sposato tardino… nel 1928 ha passato 6 mesi in Africa risalendo il Nilo in battello e l’Etiopia meridionale a piedi, nel 1931 è andato in Indocina a Saigon a trovare amici suoi quando l’Indocina era francese. Era cacciatore, una passione che non mi ha passato: andava a caccia di elefanti a cavallo, a caccia di tigri, e io sono cresciuto con i suoi racconti. Ha girato un film sul suo viaggio in Africa, tutte storie che hanno caratterizzato la mia infanzia.
Ma il click è stato quando ho conosciuto mio suocero, che era un appassionato velista. Ha fatto l’Atlantico, le vacanze con la famiglia in Mediterraneo, in Adriatico, in Dalmazia, come veniva chiamata dei veneziani essendo lui di adozione veneziano, in Grecia… Le mie prime crociere le ho quindi fatte in età adulta, per cui io dico che la mia è una passione senile, parliamo della fine degli anni 80.
Tieni conto che per un incidente, quando ero piccolo, sono caduto in piscina in campagna e ho rischiato di affogare, per cui avevo un rapporto acquatico non facile. Dopo le prime crociere fatte con mio suocero, con mia moglie abbiamo fatto un corso di vela invernale a Porto S. Margherita. Quando mi è venuta la passione per la vela le ho detto che potevamo comprare una barca, perchè mio suocero, che è stato il mio mentore, mi ha detto che:
<<se volevo imparare ad andare a vela dovevo prendermi una barca e andare>>.
L’ho detto a mia moglie, che per tutta la vita è andata in barca a vela con suo padre e le sue sorelle, e mi ha detto: <<va bene, però impari a nuotare>>, per cui all’alba dei 35 anni mi sono iscritto alla Rana Azzurra a Conegliano e sono andato a fare il corso di nuoto con i ragazzini.
Alcuni miei amici mi hanno detto che sono proprio bravo!!!
Fatto il corso abbiamo alla fine comperato la barca; ricordo che la prima volta che sono andato in deriva era ai tempi dell’Università con un amico d’infanzia, Roberto Longanesi Cattani, velista e avvocato marittimo. Sapendo della mia poca confidenza con l’acqua, quando siamo usciti con la deriva, mi ha fatto mettere il giubbotto perchè non voleva responsabilità…
Poi con un altro amico, Francesco Cosulich, abbiamo affittato una barca con tre figli loro e tre figlie noi, ed abbiamo fatto le prime crociere in Dalmazia quando era ancora Jugoslavia…
Nel 2002 ho comprato la mia prima barca, un Contest 38. Siamo stati tre anni in Adriatico e poi mi è venuta la curiosità di andare in Grecia dove sono rimasto 11 anni.

La lettura dei libri di grandi navigatori? C’è un tuo riferimento, un tuo “idolo“ fra questi?

Da appassionato di geografia e di storia e di viaggi quando mi ha preso la passione per la barca ho iniziato a leggere di tutto, quindi sicuramente Moitessier, ma anche altri, perchè essendo un curioso lettore, ho un amico e cugino alla libreria Gulliver, Luigi Licci, e da lui recupero libri, non ultimo da Antonio Penati dove uno pesca a piene mani.

E fra i navigatori che girano il mondo o regatanti?

Per una situazione fortuita sono diventato amico di Giovanni Soldini: dopo un gin tonic siamo andati a cena con le rispettive famiglie e da lì abbiamo fatto 5 anni di vacanze assieme in Grecia d’estate. Grazie a lui ho conosciuto Paolo Martinoni. Credo che sia stato il primo Italiano a fare una solitaria, la Route du Rum nel 1978.
Quando Paolo è salito a bordo del mio HallbergRassy mi ha detto: <<se vai a fare l’Atlantico dimmelo che vengo con te>>. E così è stato, perchè Paolo e la moglie Cristina Gabetti sono venuti a fare la traversata atlantica, con anche mia figlia Aurora, Nicolò Orsini e Aimone Ferrario, facendo l’Arc nel 2016.


Paolo e io in Altlantico durante l’ARC

Qual è stata la tua evoluzione con la vela nel lago di Garda…

Non ho navigato molto sul lago, questo perché lavoravo troppo… In riva al lago come imprenditore e come manager, ma a vela sono andato poco, qualche uscita con il J24; le mie figlie facevano corsi di vela sul lago, io ho fatto qualche uscita con amici ma non ho mai fatto grandi navigazioni ne regate.

Quindi come conciliavi la tua professione “terrestre” con la passione della vela

Quando ero a Sirmione avevo già la barca in Grecia.  Spesso riuscivo a fare il fine settimana in barca per 2/3 giorni.  C’era il volo Linate –  Kos con scalo ad Atene. Alle 14.30 ero in barca, salpavo e riuscivo a fare 150/200 miglia da solo, nelle isolette lì attorno, Astipalea, Nisiros, Lipsi, Tilos.
E poi le vacanze con la famiglia, con le tre figlie e mia moglie ho fatto 10 anni di vacanze in Grecia tutte le estati. 

Quando poi raggiungevi la barca in giro per il mondo era una fuga dalla quotidianità o la continuazione di un viaggio

Era la continuazione di un viaggio. Non penso di aver mai vissuto la barca come la fuga dalla quotidianità, anche se è una interruzione forte, un’esperienza, infatti gestire la rottura fra lo stare in barca e rientrare in azienda non è sempre stata una cosa facile.
Diciamo dopo il 2011/2012, quando ho cambiato la mia vita professionale, ho cercato di adattarla di più ad una scelta di qualità di vita, di prendere il tempo per la mia famiglia, per me stesso e per le mie passioni e mettendo non in sub ordine ma sullo stesso piano l’attività professionale che prima era prioritaria.

La barca per viaggiare (alternativa ad altri mezzi) o la passione per il navigare?

Mi viene da rispondere che è un po’ tutte due, nel senso che la passione per navigare c’è, perchè una volta che apprezzi fare l’Oceano e quindi il navigare, è un qualcosa che a me da molto come valore, che non è solo il viaggio, inteso come il raggiungimento di un paese lontano con la barca a vela, ma è proprio la traversata in quanto tale che io associo un po’, non per andare su questioni metafisiche, ad una meditazione al cubo…
Quando stai in mezzo al mare e navighi è un po’ come quando fai meditazione, ti concentri sul respiro e tendi a staccarti dalla mente che invece continua a pensare; quando sei in mezzo all’Oceano hai la natura che ti sovrasta in maniera assoluta e hai solo tre cose da fare: portare la barca, mangiare e dormire… tutto il resto è superfluo… quindi è uno stacco totale e assoluto dalla quotidianità che uno vive a casa, dove ci sono il telefono, la mail, gli appuntamenti, tutto un bombardamento… che in mare e in Oceano non hai…

Anch’io ho iniziato ad apprezzare l’andare in barca quando ho capito che le decisioni che dovevo prendere erano collegate solo al tempo e alla barca

Hai sempre questo rapporto con la natura di cui io mi sono sentito parte, e mi sento messo al mio posto come essere umano: quando sei a terra sei nel delirio di onnipotenza, in corso nell’umanità, di cui anch’io faccio parte, invece quando sei in mare in mezzo all’Oceano sei un microbo, sei subordinato alla natura e a ciò che presenta, e sei veramente un microrganismo, e da quel punto di vista uno si rimette a posto

Quando sei uscito la prima volta dalle colonne d’Ercole?

Nel 2016. In realtà io ho fatto una prima traversata dell’Atlantico nel 2015, ma con la barca di un inglese che aveva charterizzato il posto (la cuccetta), facendo l’Arc, perchè volevo capire com’era.

Le sensazioni nell’entrare negli alisei, io ho avuto la fortuna di entrare nell’aliseo portoghese subito dopo Gibilterra

Direi di sì anche noi, perchè abbiamo fatto un passaggio molto veloce anche sotto spi; appena uscito da Gibilterra è entrato il vento e siamo arrivati quasi a Lanzarote…
È stato molto veloce, una sensazione bellissima. L’uscita da Gibilterra è abbastanza emozionante ed inquietante, perchè in effetti lo stretto ha questi mulinelli in cui vedi il mare che si increspa e dici: <<ma cosa sta succedendo lì >> e sono le correnti dell’Oceano che si scontrano con quelle del Mediterraneo che a seconda delle maree fanno mulinelli, abbastanza impressionanti…
La sensazione è bellissima: l’idea di uscire dal mediterraneo con il pensiero di fare la traversata dell’Oceano è qualcosa che, se ti piace quella dimensione, è impagabile come sensazione.

Quando e come è nato il tuo giro del mondo?

Come battuta dico che è nato nel 2015, quando una sera mia moglie mi disse: <<senti, con questa storia della traversata Atlantica – o la vai a fare o smetti di raccontare che la vorresti fare>>.
E allora io la sera stessa mi son messo su internet e mi sono iscritto a un format gestito dagli organizzatori della ARC e che fa il matching fra imbarchi e persone che sono disponibili a farlo, per cui dopo due mesi sono andato a fare l’Atlantico…
Come ho detto prima ho trovato l’imbarco e sono andato con un Beneteau Oceanis 50 a fare l’Arc in classe racing: eravamo in 11, una bella esperienza, ero l’unico italiano, e quando sono arrivato dall’altra parte mi sono detto:<<si può fare…>> e a quel punto l’anno dopo l’ho fatto con la nostra barca.


Equipaggio Falabrach alla partenza dell’ARC 2016  – da sinistra a destra Cristina, Paolo, Filippo, Aurora, Nicolò e Aimone

Quindi la decisione di fare il giro del mondo è una conseguenza della traversata. Ho pensato di fare la traversata con la nostra barca, dico sempre nostra perchè questa barca che abbiamo adesso è al 50% con mia moglie e quindi è connivente con le mie passioni: questo è molto bello, e così ho deciso di attraversare l’Atlantico.
Ma l’idea del giro del mondo è successiva, l’idea iniziale era: <<faccio l’Atlantico, arrivo dall’altra parte, facciamo un anno ai Caraibi, e poi si vedrà…>>
Il mio giro del mondo è stato rigorosamente costruito pezzo su pezzo senza pianificarlo tutto, perchè se pianifichi tutto prima rischi di non partire mai come fanno tanti, quindi la prosecuzione del giro del mondo è nata ai Caraibi.
A seguito di quell’estate mi son chiesto: <<cosa mi darebbe soddisfazione? Attraversare il canale di Panama e il Pacifico?>> e questo era nato anche dal fatto che il buon Antonio (Penati) mi aveva detto: <<Filippo, vai a fare il Pacifico, perchè non sai cos’è attraversare un Oceano finchè non hai fatto il Pacifico… ed è completamente diverso dall’Atlantico>>.
Quindi sono le due cose assieme, questo tarlo che mi ha messo Antonio nell’orecchio, non voglio dire con la consapevolezza, perchè è una parola un po’ importante, ma per dire cosa vuol fare uno con la propria vita e cosa vuol fare non con l’eternità ma domani mattina …
e io mi sono detto <<beh forse mi piacerebbe andare oltre all’Atlantico e fare il giro del mondo e quindi fare anche gli altri due Oceani…>>

Che cosa ti suggeriscono l’Oceano Atlantico e il Pacifico, o l’Indiano

Dipende con cosa lo paragoni. L’Atlantico per me, essendo stato il primo che ho fatto, è stato una esperienza in cui avevo un’aspettativa o un timore, però qualcosa di misurabile, in qualche modo, e non solo per le miglia.
Il Pacifico, a parte la dimensione oggettiva, è più del doppio dell’Atlantico, perchè alla fine uno non se ne rende conto finché non lo fai, lo puoi guardare anche sulla carta geografica, sono quasi 8000 miglia, l’Atlantico anche se lo attraversi sono meno di 3000, quindi più del doppio, un terzo della superficie terrestre complessiva.


L’equipaggio durante la traversata Atlantica

A me piace guardarlo sulle carte americane e sembra più piccolo, fa meno impressione, perchè hai le isole della Polinesia in mezzo e a dx e a sn due continenti, l’America e l’Oceania. Ne ho una nello studio e le Fiji, la Polinesia, le Marchesi e le Galapagos sembrano molto vicine… ma fra la prima e l’ultima ci sono almeno 4000 miglia.

Dici che lo vedi piccolo perchè sembra piatto sulla carta…e poi c’è l’effetto della dimensione e dell’assenza di terre emerse grandi. Si, c’è questa distesa sconfinata di acqua con pochissime isole …l’Atlantico è una cosa conosciuta, il Pacifico per la gran parte di chi ci va è un posto sconosciuto…

E dal punto di vista marinaro?

Questa è una domanda che mi sono posto o che mi hanno già fatto… non ho visto una gran differenza dal punto di vista Oceano.
Alcune differenze si: i tropici sono in tutti e tre gli oceani, l’aliseo nell’Atlantico è costante, l’aliseo nel Pacifico dopo la metà dell’Oceano, cioè dopo la Polinesia Francese non è più costante: mi sono trovato alle Cook, a Niue, alle Tonga a navigare di bolina, con perturbazioni anche importanti pur essendo nel pieno dell’aliseo.
Diciamo che dal punto di vista meteo e modalità di navigazione il Pacifico l’ho trovato più imprevedibile rispetto all’aliseo dell’Atlantico, dove magari ho trovato la bonaccia, ma poi tornava l’aliseo.

Io mi son trovato con l’Atlantico più capriccioso, più bizzarro, con la sua instabilità da sempre un minimo di ansia, perchè gli alisei sono potenti quando soffiano. Mentre Il Pacifico è pacifico, tu imposti e vele e vai, hai qualche groppo ogni tanto però è…pacifico… almeno fino alla Polinesia. Dopo invece concordo con quello che hai detto…ma è vero che con Antonio sul Lycia abbiamo trovato non solo groppi ma anche cambi di vento importanti.

Poi io magari riconduco alle rotture, ricordo che abbiamo avuto un problema con il vang che si è staccato dal boma con una strambata, in un groppo fra le Galapagos e le Marchesi……poi abbiamo fatto un vang tessile e siamo arrivati in Polinesia.

La scelta della barca

Era un po’ guidata, avendo un Contest 38, barca nordica con pozzetto centrale, la barca meno adatta per navigare in Adriatico ma che già iniziava ad essere a suo agio in Egeo, perchè in Egeo tutti riducevano ed io con il mio Contest da 8,5 t avevo tutta la tela a riva e andavo con grande soddisfazione…
Mia moglie ed in famiglia hanno sempre avuto delle belle barche e degli amici veneziani avevano un Hallberg-Rassy che consideravano il top delle barche,  in generale, da diporto.
Quindi quando mia moglie, che ha sempre avuto un ruolo fondamentale, ha detto che la barca di 38‘ era diventata piccola perchè le figlie erano diventate grandi, ragazzone alte 1,75, e non ci stavamo più sul 38’, abbiamo iniziato a cercare.
Abbiamo visto due Hallberg-Rassy 48 che avevano fatto il giro del mondo e per farla breve Falabrach  è stata la scelta su cui siamo finiti con grande soddisfazione.

Quindi l’approdo all’Hallberg-Rassy è stata una condivisione con la moglie

Certamente sul tipo di barca: pozzetto centrale, magari poco mediterranea, da crociera, ma molto sicura, molto stabile; considera che con il 38’ io andavo spesso da solo e quindi una barca che ti consente di fare navigazione con equipaggio ridotto e ti perdona.
Quindi alla fine siamo stati anche fortunati, perchè quando abbiamo cercato la barca era un momento in cui venivamo da tre anni di crisi del settore nautico, il 2014, ed entrambi i due 48’ che abbiamo visto erano in vendita da due anni…non si vendevano, adesso un 48’ non lo trovi neanche a pagarlo oro.

Quindi non hai dovuto fare molti lavori per prepararla

La barca dal punto di vista allestimento era pronta. I precedenti armatori, Danilo e Monica, avevano fatto il giro del mondo, per cui aveva tutto, dal dissalatore, al generatore. Ho messo l’AIS che non c’era, ho fatto controllare il rigging  e poco altro.
Sono stato un inverno a Monfalcone all’Ocean, ho messo la barca in secca, ho fatto le vele di prua, rifatto trinchetta e fiocco, la randa era stata fatta a metà del primo giro del mondo ed è durata fino in Polinesia.
La barca l’ho presa a novembre del 2014 e a marzo nel 2015 sono andato in Grecia, dove ho fatto la stagione estiva, e poi nel 2016 ho portato la barca alle Canarie.

   
Falabrach con il gran pavese in attesa della moglie – Neiafu- Vava’u – Tonga e Falabrach a Socotra – Yemen

Scelta dei compagni di viaggio, amicizie o competenze?

Sono arrivato alla conclusione, confrontandomi con Paolo, con cui avevamo deciso di fare l’Atlantico assieme, sulla modalità, e ci siamo detti che il criterio di valutazione è il carattere.
Quindi prima viene lo stare a bordo, perchè è ”bene” avere la persona più competente al mondo, ma se è un rompiballe o se vuole avere ragione sempre lui rischi di rovinare una traversata o una crociera. Quindi prima il carattere e se poi c’è anche la competenza ben venga…
Molti amici e amiche sono venuti con noi in barca, più di 70 dall’inizio del giro del mondo, miei coetanei ma anche tantissimi giovani, e questa esperienza di condivisione è uno dei valori di questo mio viaggio.

Dici una cosa sacrosanta, anch’io ho navigato sia sulla marina militare che mercantile, contratti con imbarchi da 11 mesi, e li impari a navigare, non tanto il mestiere, ma l’attitudine del saper stare in barca, che adesso ritrovo non tanto nei velisti, ma in coloro che hanno navigato, perchè se non hai fatto navigazioni “lunghe” ti trovi con persone che dopo tre giorni sclerano e possono dare problemi.

Alla fine le ho divise in due categorie: una parte sono i miei coetanei/amici, e un’altra, aspetto molto bello, amici delle figlie. Navigare con i giovani è una bellissima esperienza. Tieni conto che per motivi di tempo e logistici finchè fai l’Atlantico gli amici ci vengono, poi più si va avanti più è difficile.
A fare il Pacifico sono venuti Paolo e Cristina fino alle Galapagos, poi Marco un amico medico veronese, ma tutti gli altri erano le mie figlie: Aurora, la piccola, si è fatta l’Atlantico, dalla Polinesia francese fino a Tonga e tutta l‘Indonesia; sempre nei ritagli di università e di lavoro ci infilava in mezzo l’esperienza in barca. Anche la grande, Lavinia, ha fatto da Grenada a Panama e dalla Polinesia francese fino a Tonga. Quella di mezzo Ginevra è venuta diverse volte, ma non ha fatto traversate.


Con mia figlia aurora traversata Galapagos-Fatu Hiva (Marchesi is) – Oceano Pacifico

Quindi le figlie sono state parte integrante del viaggio e dell’equipaggio, ma le hai più influenzate tu o la loro è stata una scelta…d’amore

Mentre la mia è una passione “senile”, quando abbiamo fatto la prima crociera mia figlia piccola aveva tre anni, e la grande dieci, quindi le tre figlie sono cresciute in barca.
Quindi la vacanza estiva è in barca. Facevamo vacanze anche in mezza stagione, una Pasqua ortodossa a Patmos, ad aprile, un’esperienza bellissima per tutti.
C’è questo aspetto da evidenziare, che per le figlie la vacanza in barca è la vera vacanza.

Mi sembra quasi di capire che più che una vacanza è il bisogno di vivere il mare.
Per chi naviga è un pezzo di vita non vissuta quando non naviga. Quindi per chi vive a terra e vuol vivere il mare diventa quasi un’esigenza andare in barca

Con tutte tre le figlie comunque la barca è sempre stata un “momento” per stare assieme, specialmente quando io lavoravo tanto, per condividere una passione, il mare e le isole greche che sono posti unici e bellissimi….
Quando ho fatto la traversata Atlantica con mia figlia piccola, lei aveva 18 anni, ed ha scelto di fare un anno sabatico. Noi eravamo un po’ perplessi, o studi o vai a lavorare, ma il suo tutor in Inghilterra ha detto che si usa e si poteva fare. L’importante è che vengano rispettati i tre principi / elementi dell’anno sabbatico: esperienza di lavoro, esperienza di volontariato, esperienza di un progetto specifico. Mia figlia è andata a lavorare ed ha fatto un’esperienza di 2/3 mesi in Italia, è andata a fare volontariato in Peru con la sorella grande, aiutare a costruire gli asili, una bella esperienza di qualche settimana, e il suo progetto era la traversata atlantica.
Avendo fatto l’IB in Inghilterra aveva studiato arte, e per questo progetto aveva preparato un book di disegni della sua esperienza sulla traversata oceanica; lei, inconscia di questo, ha fatto domanda per Design in varie università, le tre migliori Università le hanno detto che l’avrebbero presa, ed uno dei motivi era che a 18 anni lei aveva fatto l’Oceano ed il book.
Venendo al rapporto padre-figlia fare con un figlio/figlia una traversata oceanica è una bella esperienza.


La famiglia – Neiafu- Vava’u  – Tonga is

Mi stai emozionando nel sentirti parlare: racconti come se la stessi vivendo mentre ne parli…invidio le tue figlie… In sette anni hai girato il mondo: qual è stata la sosta più interessante

È una domanda che temo sempre, perchè parlare del posto più bello è come parlare del posto più bello della Grecia…alla fine sono diversi posti.
Sicuramente sono tre i posti dove ho lasciato un pezzo di cuore… Uno è Mopelia, davanti a Bora Bora, è un atollo fuori dal mondo, una pass da brivido ad entrare, larga 25/30 metri: ci vivono tre famiglie, noi siamo stati l’unica barca per 3-4 giorni in questa laguna, finché poi è arrivato un catamarano di francesi che portavano alcune persone di una delle famiglie, perchè mancando il collegamento con Maupiti dovevano fare barca/stop…
È un posto di una bellezza incredibile, vai a terra a chiacchere con le famiglie, ti invitano la sera a cena, ed è tutto spontaneo…ma non per dovere di ospitalità… a parte il fatto che anche loro non vedono tanta gente e quindi fa loro anche piacere.
Un’accoglienza sempre con un sorriso, ti danno da mangiare quello che hanno loro, granchio del cocco, tonno, pesce al cocco, una certa fantasia pur nella sua semplicità.
Per raccontarti un aneddoto, in un posto semplice ma che ho trovato unico, uno degli abitanti dell’isola è passato dove eravamo ancorati noi, ed andava verso la pass con un amico a pescare.
Era il momento di cambio di marea, e le pass sono piene di pesci, e nel giro di mezz’ora è tornato indietro con 10/12 tonni sul fondo della barca.
Chiaramente si ferma di nuovo per fare due chiacchere, ed io gli dico: <<belli i tonni>> e lui:<<ne vuoi uno?>>. Io rispondo: <<è così grosso che per pulirlo faccio un disastro in barca>>
e lui:<<te lo pulisco io>>.  Gli ho dato il piatto, e me lo ritorna con tutti questi filettoni di tonno. <<Cosa ti devo?>>, questo mi guarda e mi dice: <<Con tutta la strada che hai fatto per venire qua cosa mi vuoi dare?>>.
È una cosa di una semplicità assoluta, ma ti dà la misura della gente che vive con poco, è contenta e ti accoglie con l’A maiuscola, cose che noi abbiamo perso… Sono posti unici nella loro basicità e semplicità


Galapagos Marchesi  a metà strada  (Davide, Simone, Filippo, Aurora e Luigi)

Mi ricordo di Mopelia, avevo già sentito parlare di questa isola da Antonio Sanson e Jasna Tuta, che si sono fermati in quest’isola durante il loro girovagare per il mondo …..il carattere di quelle persone la giovialità, l’ambiente, la serenità e poi…….sono sempre contenti…

Un altro posto molto bello sono state le isole Hermit e le Ninigo a nord della Papua Nuova Guinea, un posto incredibile, non c’è la banca, non c’è la connessione telefonica, o almeno a Ninigo c’è la parabola, ma siccome l’hanno montata male c’è la connessione un’ora al giorno…
Siamo arrivati nel giorno della festa nazionale, le partite fra le scuole, tutti a guardarci e a parlare, a chiedere da dove venivamo; poi una signora ci ha portato a visitare il villaggio, gente speciale.
Il terzo posto è Socotra, nello Yemen, un posto incredibile, gente bella e sorridente, un posto da rivedere.


Hermit – Papua  New Guinea

Fra i tre oceani cosa mi dici? Di due ne abbiamo parlato, ma mancava l’Indiano

Quello che mi ha colpito più di tutti è il Pacifico, per via di questi posti dove vai, Tonga, Fjgi, Vavau.
L’Indiano forse per una ragione psicologica è sulla via del ritorno: non sapevo se fare il Sud Africa ma alla fine ho deciso di fare il Mar Rosso, ed è stata una corsa.
Mentre l’Atlantico era l’inizio del viaggio, il Pacifico era Il Viaggio, l’Oceano Indiano, non perchè sia meno bello, era sulla via del ritorno ed è stato il più veloce.
Tieni conto che in Pacifico io sarei rimasto qualche stagione di più, però alla fine mia moglie non viene a fare le traversate. Mi raggiunge, viene in barca, le piace la vita della barca, ma non le traversate, ed il viaggio per arrivare in Pacifico, è pesante, sono 35/40 ore.
Alla fine la mia voglia di stare in Pacifico era per andare in Nuova Zelanda, dove avrei svernato, per poi tornare in Polinesia Francese.
Ci sarei rimasto un po’ di più perchè ci sono tante cose da vedere, ed ho visto tanti bei posti.
Quindi sintetizzando l’Atlantico è stata la partenza, il Pacifico il cuore del giro del mondo, l’indiano invece la via del ritorno.  

Per le grandi traversate avevi un router a terra o ti arrangiavi da solo?

Sostanzialmente mi son arrangiato da solo, ma in un paio di situazioni per un pezzo dell’Atlantico il modem dell’SSB si era spaccato e quindi ero senza comunicazioni, se non con il satellitare.
L’Iridium mi consentiva di fare anche la messaggistica, e lì ho avuto il mio amico e cugino Filippo Lancellotti, che mi ha dato una mano, perchè ero “cieco”.
Poi in Pacifico tra Panama e le Marchesi mi ha dato un aiuto Antonio Penati.
Poi è successo che pur avendo l’SSB ed il modem che funzionavano, il buontempone di Trump fra le varie amenità che ha fatto ha chiuso i ponti radio per i non americani/statunitensi, e quindi mi sono trovato con l’unico ponte radio alle Hawaii, per cui il posto più vicino era a 1500 miglia, e mi hanno risposto che a causa di questa normativa non potevano trasmettere le email, e mi sono quindi trovato isolato.
Non sapevo cosa fare, e tramite Antonio sono entrato in contatto con il romano Luigi, un ex velista che era in Polinesia, e mi ha passato lui le indicazioni.
Lui aveva la barca a Raiatea, dove io ho lasciato Falabrach nella brutta stagione, e quindi ho avuto questi tre aiuti, ma il resto ho sempre pianificato io.

 Situazioni impegnative: per il tempo o la barca?

Ho preso qualche groppo e ho avuto qualche rottura. In Atlantico abbiamo spaccato il tangone, ero il timone io, mi sono distratto, cosa che non bisogna mai fare, una strambata involontaria, ed ha preso un colpo forte. Era in carbonio, e quindi si è rotto, ma siamo riusciti a ripararlo e tangonavamo il fiocco.
Poi la rottura forse più grave, dove ho preso paura, è stata a Bab el-Mandeb, quando siamo partiti da Gibuti con il vento al traverso per fare Bab el-Mandeb di notte. Tendenzialmente i missili non sono mai stati sparati di notte, solo che parti con il vento al traverso, ma poi il vento passa in poppa. Ci siamo trovati all’alba con la randa e con il vento in poppa, e partendo non avevamo messo la ritenuta: io ho guardato la randa e ho detto: <<Gigi, non abbiamo messo la ritenuta… bisogna che la mettiamo>>. Sono passati 6 minuti, con 30/35 nodi di vento di poppa, mare formato, e è stata una botta, una strambata involontaria, un’esplosione…  non dico che ho preso spavento, ma la scotta ha divelto il terminale della rotaia, dietro al pozzetto, il carrellino della regolazione della randa si è sfilato dalla rotaia e quindi ci siamo trovati la randa ed il boma in alto a 3,5 metri, con il carrello appeso a 2,5 metri d’altezza.


Navigazione con mare grosso durante una delle traversate oceaniche

A vedere questa cosa ci siamo detti: <<e adesso che facciamo?>>, ma poi abbiamo risolto.
Anche fra Maldive e Socotra si è rotta la base di una sartia, ho sentito una scudisciata e ci siamo visti una sartia a penzoloni. In quel caso siamo riusciti a sistemarla perchè non era la landa rotta ma la forcella, abbiamo messo la sartia in tensione con il tessile e siamo arrivati a Gibuti dove è arrivato il pezzo direttamente da Velamania, che ha sede in Italia.
Per inciso: un Hallberg-Rassy è una gran barca perchè con 20t di stazza ti dà molta sicurezza…anche con mare formato, vento con raffiche a 40 nodi non c’è stata mai  una situazione di rischio, ho sempre percepito una situazione gestibile, una barca eccezionale.
Anche durante la traversata dalle Fiji alle Vanuatu, 700 miglia, in cui per rispettare un appuntamento siamo partiti due giorni prima della finestra migliore e ci siam beccati una bella scoppola con 30 nodi e passa di vento a causa di una perturbazione, onde 3 metri e anche di più, era gestibile: riduci e vai.

 La peculiarità che deve avere chi affronta il giro del mondo e la tua caratteristica – pregio che ti hanno permesso di compiere questa impresa

Mi hanno colpito alla partenza, dopo la mia uscita dal Mediterraneo, i racconti fatti da amici, conoscenti e persone incontrate, di gente che è partita per fare il giro del mondo ma…non è mai partita, o si è fermata prima. Dall’aneddoto di chi si è fermato prima aprendo uno ship chandler a Mentone, a quello che non ha varcato Gibilterra, piuttosto di quello che al Muelle Deportivo a Gran Canaria da 15 anni gestisce una birreria a metà del molo, dove vanno tutti a bere la sera.
Quando ci sono stato nel 2015, la prima volta, erano 17 anni che lui era lì con la barca ormeggiata al Muelle Deportivo e non ha mai attraversato l’Atlantico.
Diciamo che la caratteristica secondo me è che forse il partire per fare l’Oceano o per fare il giro del mondo può essere la passione per il navigare, la passione per l’ignoto, la curiosità.
Ma la voglia di partire è un mezzo per arrivare ad altre cose: la curiosità, la passione per il mare.
Una caratteristica “tecnica” è il carattere. Una persona non deve avere “un carattere di un certo tipo”, intendo dire che uno non deve avere un carattere difficile. Ho visto che questi tornano indietro e non finiscono il giro.


A Socotra con Gigi

Nel carattere ci metti anche la determinazione? Essere un…. diesel?  Quando prendi un impegno devi assolutamente andare avanti?  Fino in fondo, come anche nel lavoro?

A me hanno aiutato molto 40 anni di gestione d’azienda, imprenditoriale e manageriale: quando facevo i fine settimana in barca era perchè mi organizzavo con metodo.
Avere organizzato una traversata oceanica per conto mio, con l’aiuto degli amici, ma sostanzialmente avendola pianificata io, è perchè l ’ho fatto e ho continuato a farlo. Sono abituato a pianificare e organizzare: avere le carte giuste, le connessioni giuste, scrivere in anticipo a tutti gli agenti, questa è organizzazione, questo credo sia una parte importante per fare il giro del mondo, anche se poi dipende dal tempo che hai.

 Incontri durante il viaggio che ti hanno arricchito particolarmente

Arrivando in un gruppo di isole prima di Guadalcanal, provenendo dalle Vanuatu, ci fermiamo vicino alla barca di un amico italiano, Gianluca Pistoni, con cui ci eravamo incontrati alle Salomon, e arriva il capo del villaggio dell’isoletta vicina… Era già buio, al tramonto, e ci chiede:
<<…vi serve qualcosa? >>…
<<…ma, se mai un po’ di frutta e verdura… >>
<<…domani lo dico a mia moglie e ve la portiamo…>>
 Il giorno dopo arriva la mattina: TOC TOC, bussa sullo scafo, esco e lui con la piroga piena di frutta e verdura…e anche lì:
<<…Cosa ti devo? >>
<<niente, figurati..>>
Ecco, anche lì la conferma di questo tema, l’accoglienza, l’ospite è sacro…gli dico di nuovo:
 <<…posso darti qualcosa? >>
<<…magari vengo più tardi a farti vedere un po’ di lavori di legno che faccio io>>
Io immaginavo già che questo sarebbe arrivato con la paccottiglia da vendere ma non immaginavo questa sarebbe stata l’apoteosi, la scena non di come siamo abituati noi a ragionare……do ut des.
Arriva, tira fuori la statuetta, la maschera, delle cose anche carine, non so se tutte fatte da lui ma artigianato locale, bello… allora prendo questo, quello, Gianluca lo skipper dell’altra barca, prende anche lui un vassoio, e alla fine:
<<quanto ti devo? >>
<<ma, non so, perchè dei soldi qua non me ne faccio niente, perchè non c’è niente da comprare, hai degli utensili? >>
Ho una cassettina delle chiavi inglesi, doppini anche arrugginiti … lui comincia a guardarli…. <<questo no, quest’altro no…ma per lavorare il legno?>>
Per farla breve…ha messo lì tutte queste cose sul pozzetto e alla fine mi dice:
<<no, non c’è niente che mi può essere utile>>.
Capisci? Se fossimo stati a casa nostra uno prima si pigliava tutto quello che gli davi, e poi avrebbe visto cosa fare. Lui invece mi ha ridato tutto dicendo che non sapeva cosa farne o non poteva essergli utile.
Quindi le cose che lui mi ha dato me le ha regalate e alla fine emergono l’ospitalità e la relazione, dove ancora la relazione umana ha un valore, perchè alla fine io la racconto in pochi minuti, ma saremo stati due ore a vedere le maschere, a parlare, a raccontarci come le aveva fatte.

Come in Turchia

Si, però magari in Turchia fa parte di una trattativa, mentre qui l’aspetto interessante è che il denaro è assente, il denaro è lontana dalla relazione, e ti rendi conto che l’assenza del denaro fa emergere i valori

Hai mai pensato di fermarti in un posto e non tornare?

È vero che ognuno si fa la propria esperienza, Moitessier è uno che si è fermato nei posti, ma poi è tornato in Francia…
Diciamo che si e no, nel senso che arrivi in posti di una bellezza tale poi dici:
<<che bello sarebbe stare qua…>>..
Poi razionalmente uno si fa il discorso e si dice:
<<ma poi cosa faccio qua, vivo qua, ma se hai famiglia e se hai degli interessi tutto diventa un po’ difficile>>.

Anche io mi sono posto la domanda, mi sarebbe piaciuto fermarmi alle Tuamotu, ci sono stato 3 volte, però dopo sono arrivato alla conclusione che: si alle Tuamotu, come posto ma per starci quanto? Un mese, due mesi, poi torni a casa perchè bene o male ti manca, non tanto l’Italia, ma ti manca il continente, ti manca casa tua, perchè siamo nati qui

Oppure bisognerebbe fare delle scelte drastiche, che però secondo me fai in età diversa: se vai via a 30 anni puoi permetterti di fare delle scelte che sono più forti, dire passo un pezzo della mia vita in un altro posto, facendo qualche attività o qualcosa di nuovo, ma facendolo alla mia età che era superiore ai 60 è un pochino più difficile


Hermit – Papua New Guinea

Una decisione saggia che hai preso e una che non hai preso, se ce ne sono

Saggia…pensando all’ultimo tratto del giro del mondo, avevo 6 mesi di tempo per preparare la navigazione nel Mar Rosso, ma non avevo preventivato la tragedia del 7 ottobre con l’attacco di Hammas a Israele, per cui i miei piani si sono evaporati come neve al sole.
Quindi avevo un dilemma: faccio il Sud Africa e l’Atlantico di nuovo, 13.500 miglia, o faccio il Mar Rosso con 5/6000 miglia ??…
Io sono partito per le Andamane il 21 gennaio con l’idea di lasciare la barca alle Seychelles come primo pezzo, e poi andarla a riprendere e portarla alle Mauritius, e fare l’anno seguente la risalita dell’Atlantico.
Cosa è successo: alle Seychelles mi hanno detto che non c’era posto nel marina, e quindi non vivendo in barca 6 mesi all’anno non potevo lasciare la barca all’ancora, e mi hanno risposto.
<<ci contatti fra due settimane e vediamo>>.
Già questa cosa mi era andata un po’ di traverso: devo dire che avendo scritto al centro della flotta europea e al servizio commerciale di assistenza alle navi commerciali inglesi, che fa riferimento alla flotta inglese presente nell’area, avevo i report di entrambi e mi ero fatto l’idea che, rischioso era rischioso, guardando le cose come stavano, però poteva essere un rischio calcolato, gestibile. Fondamentalmente perchè nessuna barca da diporto, anche se non era la stagione giusta, era comunque stata attaccata. Gli attacchi sono stati non più di 1-2 alla settimana con qualche centinaio di navi che passavano, quindi statisticamente il rischio è molto basso e di notte non hanno mai sparato missili. Quindi mi sono detto che se passavo di notte potevo farcela.
Ma la decisione vera è stata che dalle Andamane alle Maldive ho scritto agli agenti, con cui ero già in contatto da ottobre, e ho chiesto se c’erano barche a vela che facevano Bab el-Mandeb, e mi rispondono che c’erano 3 barche a vela in porto a Gibuti ed una era partita il giorno prima.
Chiedo se mi danno il numero di telefono dello skipper, ho chiamato questo Dimitri, skipper russo su un catamarano inglese, che era in navigazione sul Mar Rosso… saremo stati al telefono 45’. Ci siamo sentiti 2-3 vote nei giorni successivi e di fatto lui era passato, e l’unico incontro sospetto era stato un peschereccio al largo di Gibuti che come lo hanno visto hanno cambiato rotta e sono scappati.
I pescatori veri ormai hanno paura di essere scambiati per pirati, e quindi scappano. Ogni 2-3 ore le navi militari lo chiamavano per sapere se andava tutto bene, e con questo sistema lui è passato, con un passaggio relativamente facile.
Con il senno di poi noi siamo stati fra i primi……… oggi sono passate più di 50 barche per Bab el-Mandeb, non sono poche, non sono tantissime ma neanche poche.
Ecco questa esperienza in due, Gigi ed io, dalle Maldive all’Egitto,  più di 3.000 miglia con rotture, turni faticosi…, incontri interessanti e luoghi fantastici come Socotra, è stata forse una delle più interessanti e gratificanti del giro.


Alla fine del mar Rosso con Gigi e navigazione in Mar Rosso

Adesso che sei alla fine del tuo giro del mondo ti senti diverso?

Dipende in relazione a cosa. Io mi sento diverso come persona, nel senso che ho più consapevolezza, non in termini meditativi, ma se vuoi della mia gestione della barca. Quando sono partito di motori sapevo molto poco, adesso non è che sappia chissà che cosa, però so.

La consapevolezza si abbina ad un’altra cosa: nel mio caso, non voglio chiamarla paura, ma timore e rispetto.

Sicuramente mi sono aumentati il timore e rispetto per l’Oceano e per il mare, nel senso che io son partito, e magari mia moglie dice che sono un po’ incosciente nel dire parto e vado a fare una determinata cosa. Oggi, forse perchè ho fatto certe esperienze, ho avuto certi imprevisti meteorologici, di rotture etc, ho aumentato il rispetto.
Un aneddoto che mi riguarda: inizio la traversata e chiedo sempre il permesso di passare, proprio per questo aspetto di rispetto delle forze con cui ti vai a confrontare.

 Quindi se ti chiedessi cosa ti ha dato questa esperienza

Diciamo sicuramente ho una percezione degli elementi, della natura e delle relazioni con il prossimo diverse da quando sono partito, anche i casi che ti ho raccontato sono alcuni delle tante esperienze che ho avuto nelle relazioni umane e di rapporto con la natura e con gli elementi.
Io penso che ognuno di noi questo sentimento ce l’ha dentro, ma questa esperienza mi ha reso più consapevole di queste cose: le vedo e le percepisco. Forse prima ero confuso dal bombardamento della quotidianità, oggi mi trovi più sensibile alle sensazioni, il sentire è molto più sensibile di prima.

In sintesi la tua filosofia di vita…direi CARPE DIEM

Sicuramente, nel fare una traversata oceanica sei comunque un microbo rispetto agli elementi, e quindi non puoi che vivere alla giornata affrontando passo dopo passo quello che implica attraversare l’Oceano e fermarsi nei vari posti…avere le rotture e la meteo…

Progetti per il futuro

Adesso la barca, visto che è al suo secondo giro del mondo, ha bisogno di un po’ di riposo, e anche un po’ di rimessaggio.
Penso che staremo in Mediterraneo, sicuramente avrò un rapporto con le distanze diverso da prima che fossi partito, prima pensavo alle 100 miglia come qualcosa che andava oltre alla giornata, adesso ho già fatto 5.500 miglia prima della prima metà dell’anno quindi…
Progetti futuri non lo so, vedremo, diciamo che questo progetto si è completato con grande soddisfazione.
L’idea sarebbe di scrivere qualcosa, magari sull’esperienza contingente di quest’anno del Mar Rosso, anche perchè dalle Maldive, attraverso questo pezzo dell’Indiano fino al Mar Rosso, con il fatto che lo abbiamo fatto in due, è stata una bella sfida. Sicuramente una grande soddisfazione ma anche una grande fatica: con le rotture, un minimo di stress anche per la contingente situazione geopolitica ….vedremo….

 Filippo feerne