Racconti dal pozzetto
Cari amici, credo che molti di voi seguano la regata intorno al mondo Global Solo Challenge, nella quale sono impegnati tre nostri connazionali: Mura, Tosetto e Tosetti. Mi sono sempre fatto coinvolgere da queste imprese, e pensando alle condizioni meteo che hanno trovato nel Sud del Pacifico trovo interessante proporvi un brano tratto dal libro di un grande navigatore, Luciano Làdavas, che descrive l’evoluzione di una depressione…
Trentotto traversate oceaniche, due volte Capo Horn, primo italiano a navigare a vela nei canali della Terra del Fuoco, per sei anni skipper di Giorgio Falck, amico e compagno di navigazione di Bernard Moitessier e Eric Tabarly, architetto, traduttore, scrittore ma soprattutto un animo errante alla perenne ricerca di un orizzonte. Impossibile circoscrivere la vita di Luciano Làdavas in una biografia ufficiale. La sua storia, che racconta per la prima volta in questo romanzo autobiografico, appartiene piuttosto al mondo inquieto e appassionato dei vagabondi degli oceani, uomini in perenne “punto di vita” dotati di uno sguardo dissacratore ma appassionato sulla realtà.
Da quando siamo nel Grande Sud non smette di stupirmi la rapidità con cui l’oceano ingrossa fino a raggiungere una forza che sembra sproporzionata rispetto al vento.
Ci senti dentro una potenza tutta sua, primordiale, non ostacolata dalla presenza di alcuna terra continentale e hai l’impressione che il vento dia solo l’avvio al furore di quelle acque, le risvegli, come l’abbaiare di un cagnolino può ridestare la forza selvaggia di un leone.
Il meccanismo di questi rapidi risvegli è relativamente semplice e si ripete uguale ogni volta che passa una depressione.
A intervalli di trenta-trentasei ore, le depressioni viaggiano da ovest verso est a una latitudine di circa 55° sud. Il barometro scende al loro avvicinarsi, il vento soffia da nord-ovest e rinforza. Il sole sparisce dietro una coltre uniforme e bassa di nembostrati colore grigio piombo. Questa prima fase è accompagnata da pioggia, ma può anche nevicare o grandinare, mentre il mare ingrossa con frangenti sempre più frequenti. La barca inizia a planare su ogni cresta.
La depressione continua la sua corsa, fino a trovarsi a sud della barca nel punto più vicino: il vento rinforza ancora e l’onda da ovest, più alta e più potente, frange per lunghi tratti accendendo sulla superficie isole di spuma bianchissima. Le planate diventano entusiasmanti e inquietanti al tempo stesso. L’onda alza la poppa e proietta in avanti il Guia come un modellino soffiato sul palmo di una mano gigantesca. Per circa trenta secondi la barca avanza sulla cresta dell’onda che le rotola sotto, vibra tutta e vola stabile in un corridoio aperto fra due muri d’acqua. Stimiamo punte di velocità attorno ai 16 nodi.
(È una velocità che può far sorridere oggi, soprattutto a chi è abituato alle carene plananti e ai giri del mondo in meno di ottanta giorni.
Ma il piccolo Guia era uno scafo a dislocamento – come lo erano tutte le barche della regata – con una velocità limite teorica di poco inferiore agli otto nodi). A bordo i timonieri fanno a gara a chi lancia la barca nelle planate più lunghe e più veloci e urlano di gioia, ma anche per scaricare la forte tensione, quando la barca corre tra due pareti di spruzzi che a volte s’innalzano fino alle prime crocette.
Nel suo spostamento verso est la depressione sorpassa la barca; il vento gira quindi a sud-ovest.
È la fase finale della tempesta. Il tetto delle nuvole s’innalza, il cielo si squarcia e s’illumina di un azzurro purissimo, mai visto prima. Il mare, già enorme, diventa ora più pericoloso: sull’onda principale da ovest vengono a incrociarsi i frangenti residui della prima fase. Per il timoniere diventa quasi impossibile prevenire uno di quei frangenti. Il Grand Luis, goletta francese, sarà disteso da una di queste onde piramidali e romperà il boma. Il giorno dopo il Sayula, il ketch messicano che vincerà la tappa e anche l’intero giro, metterà gli alberi sott’acqua, per fortuna senza danni.
Oramai il centro della depressione si è allontanato verso est, il barometro inizia a risalire e la forza del vento raggiunge di norma l’apice. Per una decina di ore (durata media dell’ultima fase) il vento può soffiare a sessanta nodi e oltre. Due mani di terzaroli nella randa e un fiocco tangonato a prua, il Guia è spinto nel cavo dell’onda con la prua che cerca nervosamente sotto il pelo dell’acqua come il naso di un cane da tartufi.
Più volte la prua s’infila sotto la coltre di spuma, allora dell’attrezzatura di coperta emergono solo le teste dei candelieri.
Sono momenti di massima tensione e di grande fatica, vissuti dall’equipaggio con la consapevolezza di navigare al limite delle proprie capacità fisiche e morali; al limite della propria incolumità e di quella della barca. Momenti sofferti e goduti pienamente dal timoniere di turno che, legato, se ne sta in pozzetto aggrappato alla ruota del timone in un isolamento ora inquietante e ora esaltante, mentre i compagni sono sottocoperta, vestiti con stivali e cerate, pronti a intervenire…
…ma indovinate perché questo brano: Riccardo Tosetto mi aveva scritto della navigazione nel Grande Sud, e così gli ho mandato alcune pagine del libro di Làdavas, alle quali così mi ha risposto
… Dalle 4 pagine che ho letto mi sembra scritto bene, è il genere di scrittura di mare che piace a me mescola una descrizione visiva tecnica a delle emozioni senza però andare nel superfluo solo per riempire pagine. Comunque il Sud è rimasto come lo descrive lui, a differenza che noi a livello tecnologico siamo molto ma molto ma molto più fortunati. Ho una grande stima per quelli che lo hanno fatto senza strumenti o senza bollettini meteo in generale… a volte qui a sud diventa una pura sopravvivenza, le rotte i calcoli le miglia percorse passano in secondo piano e si cerca di uscire
dalla perturbazione incolumi. Come dice il libro il mare è sproporzionato, in più non dice che l’aria molto fredda fa si che la spinta del vento risulti molto più forte e quindi i 30 nodi qui sono i 40 in mediterraneo… solo per dirti che in Atlantico sono sceso con 20 nodi di vento e avevo tutta randa e spi da 200mq… qui ho già una mano alla randa e uso il solent… la velocità è pressoché uguale… l’onda naturalmente fa la sua parte…